sull'opera di
SECONDO VANNINI
Guardando i dipinti di Secondo Vannini viene voglia di correre, saltare nei campi fino all’orizzonte dove la vista si perde. La poesia in genere, la sua di sicuro, quella scritta col pennello, sgorga da una sensibilità che ha conservato intatti, pur nel maturare degli anni, i lampi degli stupori che abbagliano i fanciulli. Questo artista è il nuovo cantore della Romagna “solatia”, così diceva il Pascoli, ma non tanto della capitale delle vacanze, quanto di quella d’altri tempi, che tornano ancora con le musiche popolaresche di Fellini.
I colori, che si risolvono in un’armonia piacevole e duratura, si levano alti, hanno echi lontani, ma pure suggestive dissolvenze nel variare dei toni. Le luci sono forti, soprattutto quando intonano la grancassa del solleone oppure quando le nuvole e le piante risuonano sullo specchio del fiume o quando la campagna è addormentata sotto una coltre di neve nello splendore del silenzio.
Ma non basta affermare che questi colori sono carichi di energia, di giovinezza, che sono solari. Portano anche dolcezza e nostalgia, quasi segrete, che però la bellezza del giorno e dei panorami non sanno disciogliere completamente.
Il pittore viene presentato come paesaggista e figurativo. Non è soltanto questo, perché nella sua produzione si possono vedere le figure umane, poi s’incontrano le nature morte, le composizioni floreali. Sono argomenti sempre interpretati con le sonorità cromatiche ariose e in piena luce. Non mancano nemmeno gli approdi in un’astrazione più o meno spinta. Ecco, al proposito, il Cristo nella stazione della Via Crucis. Non è completamente descritto, ma non è solo movimento cromatico muto di significati. Il volto preme sulla terra, le spine della corona sono sparse, si intravede il legno della Croce. Il rosso che evoca il sangue confina col buio della morte, con la grande luce del bianco. In questa tavola c’è la verità e c’è inoltre il mistero.
(Franco Ruinetti)