lunedì 5 giugno 2023

sabato 3 giugno 2023

Segnalazione d'arte (265) - Castrezzato

Segnaliamo questo importante evento d'arte che si svolgerà a Castrezzato (Brescia) il prossimo 24 giugno. Un premio importante da non perdere!


lunedì 29 maggio 2023

Gli spilli di maneglia (561)

   

...in archivio la maglia rosa, ora sguardo verso la maglia gialla....

 

martedì 23 maggio 2023

Ramov (by Franco Ruinetti)

        

RAMOV


Non so quale fosse il suo vero nome. Lo chiamavano Ramov, di certo perché aveva partecipato alla campagna di Russia. Era uno dei pochi reduci che, sopravvissuto alla guerra delle arni e dell'inverno era ancora tutto intero. Aveva, però, gravi limitazioni mentali e fisiche. Camminava con cautela perché il gelo gli aveva intormentito i piedi. Per tornare ci aveva messo un paio di mesi. Lo trovarono seduto sull'ultima panchina del giardino, fuori porta, il giorno successivo alle votazioni del '48. Nei primi tempi, qualche volta  ragionava  bene o quasi, soprattutto a luna calante, altrimenti  la sua mente, come il vino, s'intorbidiva.

Io lo conobbi qualche anno dopo. Aveva il viso solcato da profonde rughe. Mi dissero che lo aveva raccolto un parente, ma compresi, non so se a ragione o torto, che per lui la guerra continuava e  ora il nenico era la stessa vita quotidiana.

Ramov usciva tutte le sere, col tempo buono o cattivo, verso le nove e si adagiava su quella panchina, che considerava sua. Avrebbe potuto prenderci il domicilio per le prime ore del buio. Se c'era una coppietta a parcheggio lui la spintonava, rivendicava tacitamente il proprio diritto di proprietà.

C'era sempre qualcuno che s'intratteneva con lui per cercare di dialogare, ma la maggior parte dei passanti tirava dritto; forse, vedendolo in malarnese, lo pesava come uno scarto umano.

Ramov non  rispondeva a tono, ma con parole sciolte e rumori, che io rimuginavo e mi facevano pensare alle pagine del futurismo, da me appena conosciute, ai quadri nebulosi dell'astrattismo con risonanze e significati in lontananza.

Mi compare ancora il suo sorriso di due o tre denti nel vano della bocca quando gli davano le sigarette. Allora si toglieva il berretto di colore marrone incerto, floscio e accennava un inchino. Mi faceva tristezza e, nello stesso tempo, simpatia. Quello che so di lui lo intuii, anzi lo supposi, ma forse ero fuori strada o me lo riferirono.

Capitava che tra i suoi mugolii formulati a strappi e spesso musicali, componesse delle locuzioni.

“Inverno vincitore, inverno Mussolini”. E poi: “Invisibile diavolo, via.. via (urlava) tutto bianco, non morire, no.. no.. no.”

“Tapum mamma tapum...”

Al suo ritorno lei non c'era più. Quando lo seppe pianse, si disperò, disse che era tornato soltanto per lei. Ma non aveva fatto in tempo ad abbracciarla perché era morta con 'una fucilata d'amore'.

E poi, una specie di ritornello: “Alina doppia... brava, doppia...”   Va a capire! C'era chi diceva che Alina era stata la sua compagna, che l'aveva curato e salvato, quindi, quando lui cominciava ad inciampare col corvello, l'aveva spedito, eccetera, eccetera. 'Doppia' poteva valere come apprezzamento, ammirazione che equivalevano a grande e anche bella.

“Vino, chiedeva, no vodka, insisteva, vino.”

“No, no Ramov,” era la risposta  secca.

Se beveva un bicchiere s'immalinconiva e piangeva. Le lacrime copiose scendevano nei solchi delle rughe.

Una mattina di dicembre era su quella panchina con la bocca storta, gli occhi aperti, inbiancato dalla prima neve.

Mi capitò per caso, dopo diverso tempo di rincontrarlo al cimitero. Sulla lapide, sotto il nome in stampatello c'era scritto, in corsivo, Ramov. Non l'avrei di certo riconosciuto. Era castano, ricciuto, pelle liscia con la luce dei vent'anni, in giacca e cravatta.

Era un bel giovane.

Franco Ruinetti

lunedì 22 maggio 2023

Gli spilli di maneglia (560)

   

...la protesta sul caro affitti per universitari italiani ha catturato le prime pagine dei giornali....

martedì 16 maggio 2023

Persistenza (by Franco Ruinetti)

        


PERSISTENZA


Come eri bella!

Quando l'ombra grande

della sera

si adagiava nella valle

sciogliendo lentamente

i colori del giorno

i  tuoi capelli

tesi sulla testa

con le onde della coda

si accendevano

come una cometa

bionda.

Non sei dispersa nel tempo

che per incantesimo

talvolta

quando mi fermo

si rompe

e mi appari ancora

nella favola dell'adolescenza.

Ci sei sempre

sola tra tutti.

Ti vedo

luce lontana

poesia senza tramonto.

Come sei bella!

Franco Ruinetti


 

lunedì 15 maggio 2023

Gli spilli di maneglia (559)

  

...si continua a parlare di inutili riforme istituzionali senza capire che il problema non è "la scatola in cui il politico si muove" ma, bensi', "il politico stesso" !....

martedì 9 maggio 2023

La finestra (by Franco Ruinetti)

 

       

LA FINESTRA


Il locale più frequentato, vissuto, di casa mia è la cucina. La finestra, grande, che dà sulla strada, è un occhio aperto, un quadro animato con la gente, le macchine, cani, uccelli, aerei, nuvole, stagioni, con la luna che passa in rassegna il firmamento, con la tramontana, che spazza il cielo, col vento del sud carico di nuvole e dolori. Sempre la stessa eppure sempre nuova.

Mi siedo lì accanto con i gomiti sulla tavola. Mi piace. Davanti c'è la televisione che sveglio solo per il giornale delle 20. Sulla sinistra ho quell'infisso, come uno schermo a tre ante, che mi fa partecipare in diretta alla realtà prossima, ma offre anche l'universo fino ai confini della vista. Chiudo il sipario della serranda solo nelle notti più fredde. Sono spettatore in incognito: guardo, penso, m'incanto, mi distraggo, mi riposo dagli impegni e dal vagabomdare.

Nel mio breve scoperto, confinante con la strada, sorge un albero di fico. Ci sale di scatto, come un fulmine, il gatto, adolescente di un anno, il quale è mio per metà perché è anche dell'inquilina di sopra, la sua preferita, che, per accattivarselo, gli compra gli omogeneizzati dei bambini. Il felino, battezzato “Felix” dalla veterinaria, non partecipa alle battaglie d'amore e penso che, se incontrasse un topo, gli darebbe la precedenza. Dorme. Non sa di essere un eunuco e spero sia Felice di nome e di fatto.

Le mie sedute avvengono, il più delle volte, verso mezzogiorno e nei dopo cena, ma non  regolarmente. Le prime durano uno spicchio di tempo, nel quale celebro da solo il rito dell'aperitivo con mezzo bicchiere di vino bianco frizzante, scherzoso, che fa il solletico all'appetito. Le altre, che possono durare fino a una ventina di minuti, insistono nelle notti giovani.

Ho visto più volte camminare, a passi lenti, due ragazzoni che si tengono per mano. Due teste bionde come il grano maturo. In un tempo, non lontano, erano sbagliati. Ora il giudizio è cambiato e il papa ha detto che anche loro sono figli di Dio. Penso a quanto hanno sofferto quando vivevano nell'ombra.

 

Fanno tenerezza. Sono belli, passeggiano sereni, col sole in fronte.

Tempo fa una coppia di passerotti era sul bordo della gronda della casa di fronte: creaturine fragili, poesie che frullano nell'aria, ma soprattutto assatanate, spudorate acrobate del sesso. Lui le saltava addosso, la scuoteva rapido sull'orlo del vuoto, scendeva, risaliva e di nuovo, ancora... Ma insomma! Gli umani si nascondono per fare quelle cose, loro no, le fanno a cielo aperto e coram populo.

Prima di pranzo passa la postina. E' una giovane molto bella, ma la sua bellezza è soffocata dalla divisa che indossa durante il servizio: giubbone impermeabile di colore giallo-chiassoso e casco. La sento quando è ancora lontana, forse   il suo scooter ha la marmitta sfonda. Mi fa ricordare la dea Iris, luninosa come l'arcobaleno, messaggera degli dei, che non era motorizzata, ma aveva in dotazione le ali. Portava sempre notizie infauste. Pressappoco come la postina, che recapita, in buona percentuale, bollette, multe, inposte. Per i saluti e i baci ormai ci sono cellulari e  tablet.

Dopo la cena, anche per il contributo dell'ora legale, nel solstizio d'estate e vicinanze, in fondo alla strada c'è uno scorcio del tramonto;  spesso è un'agonia stupenda e triste, che raccoglie l'ultima vita del giorno e la porta altrove. D'inverno, invece, alla stessa ora è buio pesto e nel cielo sereno ci sono le stelle, che sono tante, ma non si sa se ancora esistono tutte. Gli astronomi dicono che potrebbero essere morte e la loro luce, resta perché, pur velocissima, ci mette tempo, anni o secoli, a superare la distanza cosmica. Quella luce è come il ricordo che corre nel tempo.

Il cielo è sempre uno spettacolo, anche quando non c'è la luna ed è coperto dalle nuvole. Il buio è un gorgo senza fondo dove annegano, spariscono anche i pensieri, ma non è il nulla perché ha il germe dell'attesa, che  nasconde la nuova vita.

M'è capitato di vedere dei balenii lontani che squarciano la notte, ma, normalmente, nelle ore tarde non succede niente.

Il cielo è come una bella donna, mi attira. E, mentre sono in contemplazione, possono saltarmi in mente brandelli di frasi o di poesie, che, dopo tanta incubazione, capisco meglio.

Di notte la strada è il dormitorio delle macchine. Vi transita solo qualche gatto perché è libero. I cani no. Devono essere accompagnati dai padroni che, in nome della civiltà, gentilmente raccolgano i loro depositi.

Durante la seduta serotina, col tempo buono e la finestra aperta, ripetutamente, sento litigare i vicini, marito e moglie ormai stagionati. Lei  bercia forte: 'buono a niente, vattene, mi fai schifo!'. Ma la notte porta consiglio e la mattina dopo mi capita di incontrarli tranquilli  al supermercato.


Franco Ruinetti

lunedì 8 maggio 2023

lunedì 24 aprile 2023

Gli spilli di maneglia (556)

E' durata poco la "fusione fredda" Renzi-Calenda. Siamo al "tana libera tutti".....


lunedì 17 aprile 2023

Gli spilli di maneglia (555)

       

Ci lasciamo alle spalle una settimana post pasquale con temperature invernali...la primavera si fa attendere

martedì 4 aprile 2023

Chiacchierata (by Franco Ruinetti)

       

CHIACCHIERATA


Dopo cena mi insacco in poltrona davanti alla televisione e, se non pesco un programma che mi interessa, cosa frequente, dormo a strappi. Acceco lo schermo, navigo tra le onde del cuore ascoltando il silenzio e penso in marcia ridotta. Penso che quel barattolo racconta la vita, la inventa, la ruba. Una volta lontana, almeno per me, al suo posto c'erano i compagni di scuola, di giovinezza. Ieri sera, invece, sono andato al bar, cosa abbastanza rara. Mi sono seduto ad un tavolo  dove, su una sedia, parcheggiava Romeo, pressappoco mio coetaneo, quasi amico, conosciuto di recente. Abbiamo giocato a briscola e scopa la bevuta: mezzo bicchiere di vino  rallegrato dalla gassosa.

“Perché ti chiamano Romeo se, come tu stesso mi dicesti, all'anagrafe sei Salvatore?”

“La storia di questo secondo nome, che non è un soprannome, te la racconterò quando ne avrò voglia. Adesso, se vuoi ti racconto un'altra storia, la riesumo spesso, anzi viene da sé senza che io la chiami, all'improvviso; è quella dell'Alba, che tu non hai conosciuto anche perché è di sessant'anni fa.”

“Non la conoscevo  di certo. Chi era o chi è, se è ancora viva?”

“Era, per me, l'alba dell'amore, compagna di quarta liceo...  un sentimento nuovo...  una vampata.”

Parlava lento, ispirato, come recitasse a teatro.

“A quell'età succede, la prima botta ti stordisce... Parla pure, ma  continua a giocare.”

Nell'ampia sala c'erano altri giocatori piantati seduti intorno ai tavoli. Ogni tanto usciva dal bancone una bella giovane dalla chioma rossa, luminosa e con uno spacco generoso sul lato sinistro della gonna, più bello di quelli dell'artista Lucio Fontana.

Un cliente, schierato in una postazione al tavolo del tressette, la chiamò:

“Rossodisera, porta mezzo litro.”

“Chi è? , chiesi a Romeo.”

“E' l'aiutante in campo, penso sia l'attuale compagna del proprietario, che cambia spesso... Ma non mi interrompere...”

“Scusa, parlavi della tua alba dell'amore. Guarda come giochi”

“Sì... qualche volta l'accompagnavo a casa, Una mattina le dissi: 'Ti firmo io la giustificazione, così stiamo un po' insieme. Non se ne accorgerà nessuno'... Eravamo nel viale dei tigli che porta alla scuola...  verso la metà d'aprile, il sole rideva tra le foglie giovani.”

“Vai avanti, non fare la poesia.”

“Andammo al giardino, ci sedemmo su una panchina di quelle con le stecche di legno... c'è ancora... al riparo dietro una siepe alta. Le dissi che non mi faceva dormire, proprio così... Con la destra le carezzavo i capelli...”

“Ci stava!”

“Aspetta... la mano sinistra, come automaticamente, andò a frugare sotto la gonna.. fu il finimondo...”

Lo guardai interrogativo.

“Cominciò a tremare tutta, ad urlare aiuto, aiuto...era invasata... Mi alzai, misi le mani nelle tasche, come fossero manette, guardai intorno, meno male che non c'era nessuno... Finalmente si calmò e ci lasciammo... lei da una parte e io dall'altra. .. Non l'ho mai più rivista.”

“Gioca, pensa alla partita che va per le lunghe. Come non l'hai rivista se eravate nella stessa classe!?”

“Quella stessa sera io ebbi un incidente. Con la Lambretta non presi bene una curva della strada imbrecciata e andai a rovinarmi contro un carro agricolo. Stetti ingessato dal collo al grillo per tre mesi che ero un monumento ambulante... Gli amici, scherzando davano la colpa alle vacche che correvano in presa diretta... Il segnalibro, del testo di filosofia, è ancora nelle pagine di Kant.. “

“Tu sei più bravo a chiacchierare che a giocare. Hai perso.”

“Lo so... contro vento ci si va, contro culo no.”

“Non è solo questione di fortuna.”

Quindi mi rivolsi alla cameriera e le feci cenno che portasse altri due bicchieri di vino annacquato.

“Questo lo pago io.”

La barista arrivò col cabaret. Indossava una giacchetta bianca con  ombre di caffè e pompava la sigaretta tra le labbra.

Romeo che, di certo, ci aveva  confidenza, le disse:

“Le galline non fumano.”

Botta e risposta:

“Le galline non bevono vino.”

La guardavo. Si volse verso di me, sollevando interrogativamente le sopracciglia:

“Buonasera!”

Le dissi:

“Non l'avevo mai vista, è nuova?”

“No, Sono un usato sicuro.”

Quando uscimmo Romeo mi prese sottobraccio e, sempre con fare ispirato, incise nella mia attenzione le seguenti parole:

“Prima di andare a letto, se è sereno, mi fermo per  qualche minuto a guardare il cielo perché noi veniamo dall'universo e ci torneremo. Quella è la nostra vera casa... Quando è tutto nascosto dalle nuvole è come se mi sbattessero la porta in faccia.”

Risposi:

“Adesso la porta è tutta spalancata, ma io non ho fretta di andare in quella villa lassù... Buonanotte.”

Franco Ruinetti

lunedì 3 aprile 2023

martedì 28 marzo 2023

Le prime uscite (by Franco Ruinetti)

      

LE PRIME USCITE

Da Pasquale

Finita la guerra regnava il silenzio. Non più cannonate, né allarmi, né aerei. Dopo tante percosse il mondo era stordito. Ricordo un agosto col sole alla massima potenza quando un pomeriggio, a me e a mio cugino Romano, ragazzini di seconda e terza elementare, le madri, dopo le raccomandazioni del caso, affidarono l'incarico di andare a comprare le uova da Pasquale, contadino che abitava in una casa nel bel mezzo della pianura, lontana dal paese tre chilometri più o meno. Eravamo leggeri, liberi come le rondini. Quell'uomo, dal cappello a larga tesa, sbertucciato e rincalcato fin quasi alle sopracciglia, che qualche volta era venuto a portare il pollo o le patate, svegliava la nostra curiosità. Di lui avevamo talvolta sentito parlare. Lo definivano santone  o stregone.  Il mio cugino ne sapeva più di me. Mi disse, mentre si camminava, che era stato lui a salvare una vacca, non il dottore.

“E come fece?.”

“Col prezzemolo. Glielo mise nella natura:”

“Come sarebbe a dire?”

“Nel culo.”

“Ah!”

Rimasi perplesso, sospettai che curasse così anche le persone.

Dopo una delle tante curve, che annodavano la strada, ci fermammo, Non avevamo resistito all'invito di un gelso dalle more nere mature, che ci macchiarono dita e labbra, come fossero fatte con l'inchiostro di china e dall'ombra rinfrescante. Quando fummo a destinazione si restò in piedi nell'aia con le galline un bel po' ad aspettare il nostro uomo, che, pur avendoci visto, continuava a zappare nell'orto. Prima che ripartissimo Pasquale strappò delle foglie da un pioppo prossimo al pagliaio e ce le spalmò dentro i cappelli. Disse:

“Così non prendete colpi di sole.”

L'umiliazione 

Una domenica andai al campo sportivo per vedere la partita. Non avevo una lira  e non potevo entrare, Poi notai due ragazzi girare l'angolo, Li raggiunsi e imitai arrampicandomi a fatica sulla recinzione. La squadra del mio paese vinse e io scrissi 3 a 1, col dito, sulla polvere della corriera degli avversari, quando m'arrivò un calcio nel sedere. Guardai quell'uomo e presi a correre, come a scappare dall'umiliazione e non dal dolore che non avevo sentito. Poco tempo dopo lo rividi, era proprio lui  in fotografia che sorrideva da un annunzio funebre del giornale. Mi guardava mentre mi parve di sentire una carezza scivolare sui capelli.

I tuffi

La libertà mi ubriacò. Un paio di volte, invece che alla dottrina, andai a vedere alcuni calciatori che si gettavano dall'alto di un ponte nel sottostante gorgo. Volavano. Ogni tuffo uno scroscio di applausi. Mia madre, quando seppe che ero andato al Tevere e non in chiesa, mi disse che m'avrebbe mandato in seminario, che, per me era il carcere dei ragazzi. L'eco della minaccia m'inseguì per qualche giorno. Pensavo alla gonnella nera come  castigo a vista.

La liberta'

Frequentavo ormai la quinta elementare e, dopo pranzo, avevo il consenso per uscire. Spesso andavo al parco a giocare, sennò salivo sulla collina. Mi pareva di scoprire il mondo e di respirare la libertà. Una volta mi fermai nei pressi di una casa colonica. Mi attrasse la presenza di un cane che mi guardava a testa bassa, non mi abbaiava e mi salutava con la coda. Era al pagliaio dove gli avevano scavato la cuccia. Il suo mondo corrispondeva a quello di una breve catena fermata ad un caviglio piantato in terra.  Fu subito amico e presi a carezzarlo. Gli parlavo e lui mi riaspondeva con mugolii. Aveva le costole a vista. Guardava il sole con gli occhi torbidi. M'accorsi che era cieco. Dopo qualche giorno tornai a trovarlo, ma non c'era più, la cuccia era un buco vuoto.Poi lo rividi e fu lui a venire da me una mattina tra il sonno e la veglia. Aveva gli occhi limpidi e, mugolando, mi disse che dove ora si trovava non esistono le catene e che quel posto, dove non possono comandare gli umani, è la patria della libertà.

Franco Ruinetti

lunedì 27 marzo 2023

Gli spilli di maneglia (552)

   

va in archivio il reddito di cittadinanza e con lui tante vane illusioni

martedì 21 marzo 2023

A richiesta rispondo su Man e sull'umorismo (by Franco Ruinetti)

 

    

A RICHIESTA RISPONDO SU MAN E SULL'UMORISMO
 
M'arriva la richiesta da uno studente, per una tesi, di qualche 'ragguaglio' su MAN e sull'umorismo. Rispondo al giovane che può trovare informazioni al riguardo su varie enciclopedie, ma non svicolo e mi fermo a rispondergli anche se liberamente e veloce.
Enzo Maneglia, come fanno molti artisti, ha sfrondato nome e cognome ribattezzandosi MAN, che è sbrigativo e suona bene. E' nato in Turchia, sulle sponde del Mar Nero, da padre piemontese e madre greca, DNA internazionale, non conosce una parola di turco, la sua prima lingua, quella della matita, è universale; si è sposato una sola volta, amore, non pigrizia. Sua moglie Lidia testimonia che è un bell'uomo, però io non lo possso avallare dato che non ho competenza nel genere maschile. Il ritrattista Giuma gli ha fatto le sopracciglia come siepi. Tali specialisti sono bravi a celebrare i particolari. Cominciò a disegnare da ragazzo. Realizzava talvolta fanciulle in fiore nei cieli dell'immaginazione e le ragalava ai compagni di classe, che gliele chiedevano, per incontri al chiaro di luna. Si è affermato collaborando con settimanali illustrati, quotidiani, riviste umoristiche, storiche, degli anni '60/'70, partecipando a mostre e concorsi nazionali e internazionali della vignetta e illustrazione. E' primo redattore del blog Fighille Arte.  
L'umorismo è una brezza lieve,   carezza del sorriso, appena un accenno a fior di labbra, nel cui campo si accendono visioni spesso sorprendenti, godibili, serene. Si può collocare tra la satira, che arriva ad essere aggressiva, campo minato, irriguardosa e la comicità ridanciana. Spazia nella zona franca dell'equilibrio: in medio stat virtus. E', lo dice il papa Francesco, una medicina che fa bene.
Con frecciate di arguzia piacevoli e originali, con un segno che corre fluido e incisivo, con felice e facile creatività, con benevolenza indulgente e nella continuità dello stile, si esprime MAN. Prende di mira gli accadimenti sociali, interviene nel settore del gossip (termine di alta moda, per chiacchiericcio, pettegolezzo), nel movimentato mondo della politica, si trastulla con i volti dei personaggi che balzano sulla vetrina della popolarità manomettendoli, ma sempre con rispetto, cercando di andare oltre la superficie, dell'apparenza.
Periodicamente inventa nuove generazioni di pupazzetti. Quelli recenti hanno nasi grossi, pantaloni con le gambe enormi a sacco, piedi così piccoli da doverli cercare per trovarli. Parlano tramite le nuvolette d'ordinanza, ma quando le parole non compaiono, il mutismo è ugualmente e  forse ancor più espressivo.
 

Quello che l'artista realizza nelle ribalte delle vignette è un mondo parallelo. Talvolta le sue figurine, specie di marmocchi,  interpretano gli stati d'animo, l'interiorità. Sono colpi d'ala, di leggerezza. Al proposito s'incontra  una bambina-bambolotto vispa e scapigliatella che ti guarda con occhi luminosi. Ha calzato scarpe con i tacchi a spillo della madre, due barchette squillanti di vernice rossa. La scena accende simpatia e dolcezza.
I personaggi di MAN, le ambientazioni possono apparire prossimi alla realtà,  sennò sembrano provenire dai cartoni animati o uscire dai sogni, dalla fantasia, dalle lande del surreale. Perché la vita, che è movimento continuo, corre come il tempo, non si ferma neanche di notte  ad occhi chiusi.

Franco Ruinetti

lunedì 20 marzo 2023

Gli spilli di maneglia (551)

  

Le barzellette non invecchiano mai e periodicamente ritornano a circolare ma quella sul Ponte di Messina non fa ridere....fa solo piangere ! 

martedì 14 marzo 2023

Sul fare del giorno (by Franco Ruinetti)

    

SUL FARE DEL GIORNO
 
Notte di tregenda. Ogni tanto guardo la sveglia dalle lancette azzurre. Le ore passano pesanti, quintali di tempo pieno di silenzio in agguato, col cervello senza le briglie, che sbanda dal mondo dei sogni all'aldiqua. Ad un certo punto  mi ritrovo fermo e  cerco la luna nella finestra, ma lei, amica del cielo pulito e degli animi sereni, non c'è. Allora si apre un siparietto. Compare un serpente con gli occhiali da sole. Certamente li indossa per civetteria. Scodinzola al ritmo del piffero che suona  dispiegando nell'aria una nenia noiosa.  Io cammino, lui mi segue. Eppure sono nel letto. Che Succede? Vattelappesca! Ecco la  ninfa con un turbante in testa e nient'altro, col sesso vestito da un ciuffo di capelli biondi come la Venere degli Uffizi. Bellezza seducente, vuole apparire vereconda come quello che tira il sasso e nasconde la mano. Lecco il dito e giro  pagina.  Passa un trattore, mi scanso, non è lui che fa  rumore, sono io che russo. Lo sento riemergendo dal sonno. Ora c'è un maiale che, svolazzando goffamente mi viene dietro. E' enorme, oltre un ippopotamo. Sta per infornarmi in bocca. Il cingolato scompare, però il motore continua a battere forte nel petto. Mi giro, ho la fronte fredda,  cerco l'interruttore della luce e non lo trovo. La finestra è ancora spenta o quasi, sento che mi perdo nel vuoto. 
Poi gli incubi svaniscono. Da lontananze impossibili,  balza alla riva del presente il mio amico Checco, che è inquilino del cimitero da un paio di anni. Aveva la parola veloce, sembrava gli ballasse in bocca. Lo portò via il cancro in quattro e quattr'otto, E' immobile davanti a me, c'è e non c'è, ad intermittenza come le lampade di Natale, incerto, tra il sonno e la veglia. 
“Sei una bella sorpresa, è un gran piacere vederti, ma finiscila di giocare a nascondino, mi fai girare la testa.” 
“Non posso perché sono ancora in zona neutra, in sala d'attesa o, se preferisci, nel vestibolo.” 
“Non sei né vivo, né morto?” 
“E' certo che la dimensione dove sei te è solo un viaggetto, una vacanza, un esilio. Dopo poi il corpo si perde e resta l'ombra, chiamiamola così, come una traccia ora lattea, ora scura, ora fosforescente. Insomma volevo dirti, non so o non posso spiegarmi meglio, che io sono vero e il morto temporaneo sei tu.” 
“Vai di palo in frasca. Sei sempre lo stesso filosofo dai discorsi randagi. Cerca di venire a trovarmi ogni tanto, mi piacerebbe che ci frequentassimo come capitava quando s'era ancora giovani.” 
 
 
“Stavolta sono potuto venire, con un permesso speciale, sul fare del giorno e allora mi vedi e senti. Quando vengo in piena notte sono confuso col buio e non mi vedi. E non mi senti perché dormi.” 
“Ti ricordi... 
“Ricordo tutto.” 
“Volevi la prova d'amore.” 
“La chiesi con insistenza alla Rosalba, che era la mia fidanzata putativa e non me la concedeva. Si professava innamorata cotta di me, diceva che il nostro amore doveva essere puro, come quello di Dante per Beatrice.” 
“E non eri contento?” 
”No, perché io rimanevo digiuno mentre la prova d'amore la dava da tempo e a profusione ad un certo Roberto.” 
“Sei ancora arrabbiato con lei? Che fine ha fatto?” 
“No, le sono grato perché mi accese un sentimento nobile, che mi travolse. Non so che fine ha fatto perché qui si perdono i corpi, ma la dolcezza dell'amore resta.” 
“Capisco,” 
“Non puoi. Capirai quando ti slegherai dal corpo, Ora concludo: di prove d'amore, in seguito, ne ebbi molte. Tutte a pagamento. Che è cosa turpe perché il commercio del sesso  fa essere gli umani peggiori delle bestie.” 
D'improvviso Checco, sospeso a mezz'aria, s'allontana dicendomi “Ciao ciao” con la mano. 
Gli chiedo al volo: 
“Ma questo nostro incontro è sogno o verità?” 
“Non c'è differenza.” 
Apro gli occhi. Ho l'impressione che quelle visioni così articolate siano durate a lungo. Guardo la sveglia. La quale mi dice, invece,  che tutta la realtà  rivelatami nel faticoso riposo, è durata poco, pochissimo. Forse nel sogno il tempo è concentrato. Sui vetri c'è un chiarore con qualche velatura colore di rosa. Il nuovo giorno fa i primi passi. La luce è mite come il sorriso di un bambino.
 

Franco Ruinetti