sull'opera di
GIANFRANCO POGNI
E’ ricorrente, nei dipinti di Gianfranco Pogni, la dominante del grigio, che Kandinsky intendeva quale rappresentazione dell’immobilità. Questo colore è poco usato dai pittori perché non facile da trattare.
E’ cenere, nebbia, può evocare motivi di mestizia. Tutto, però, consiste nel giusto dosaggio tra il bianco ed il nero, ma il Nostro sorpassa ogni remora negativa ricorrendo all’aggiunta di altre luci più o meno insistenti, ad esempio quelle tenui del verde, una velatura del giallo, una irrorazione lieve del rosa con declinazioni verso la brezza dell’azzurro, del celeste o i tepori del rosso-marrone.
Nell’arco della produzione i soggetti più frequenti sono i paesaggi. Risultano interpretati, vale a dire anche impostati in una maniera sua particolare. Basta al proposito considerare la linea dell’orizzonte. E’ molto alta sulla tela, così che la vista trascorre radente sulla fuga dei campi e l’attenzione spazia, si sofferma sulla morfologia del terreno più che nel cielo, del quale spesso compare solo una striscia.
A volte il paesaggio è introdotto da una natura morta, così che sulla ribalta si vedono limoni, girasoli, foglie. Qua e là, ma raramente, compaiono e poi si perdono lucciole di rosso, rintocchi improvvisi e piacevoli.
Ogni quadro, sia esso la proposta di una campagna aperta, di un interno, di una composizione floreale od altro ha sempre il respiro di quella sua intonazione cromatica e offre al lettore il cuore del silenzio, della concentrazione. Gli argomenti sono efficacemente proposti con l’alfabeto del genere figurativo, ma c’è aria di attesa, come se in certe solitudini dovesse verificarsi qualche apparizione.
(Franco Ruinetti)