lunedì 25 gennaio 2021

martedì 19 gennaio 2021

Era un ragazzo del 99 (by Franco Ruinetti)

 

ERA UN RAGAZZO DEL '99

Nino, mio lontano parente, è morto nel 1990, a 91 anni. E' stato un testimone del XX secolo, ma anche un attore in prima linea. Io l'ho frequentato poco e me ne dispiace. Ricordo quella volta verso il '70. Ero andato da lui nella casa in mezzo ai campi e, quando arrivai, mi disse che anche la seconda moglie lo aveva lasciato all'improvviso, appena da un mese. Si strinse nelle spalle. "Dio ha voluto così."

Insistette perché restassi a pranzo.

"Grande piacere che tu sia venuto, ripeteva. Ora non so cosa farò. Tirerò avanti, vedi, non ho più quasi nessuno, neanche le vacche, neanche il cane. Andrò in un ricovero, penso che mi prenderanno in cambio della mia pensioncina e di questo poderetto. Ho detto 'quasi' perché ho un fratello emigrato in Francia da quando aveva vent'anni, sposato con figli, più giovane, anzi meno vecchio di me di sette anni, ma lo vedo, se va bene, ogni morte di papa."

Mangiammo pastasciutta con la pommarola fatta dalla defunta, e formaggio con le fave. Bevemmo il suo vino che lasciava nella bocca un gusto rotondo dolce e amaro, che era più vero, buono, di quelli famosi, nobili.

Parlammo a lungo, ma soprattutto parlò lui.

"Vacci piano, mi ammonì. Questo vino scivola svelto, ma batte in testa a chi non lo conosce."

Cominciò a farmi, per sommi capi e dietro mia richiesta, la sua autobiografia. Non si fece pregare.

Ascoltavo con interesse. Ora, secondo i motivi che le sue parole dipingevano, mi fumigava nell'animo la rabbia, altra volta mi inondava la commozione. Certamente quel vino evidenziava i sentimenti. Così conobbi la storia di Nino.

Ricordo.

Era un ragazzo del '99. Ricevette la cartolina precetto nel '17 e fu coscritto anche con la sua altezza, piuttosto bassezza, di 1,64.

Lassù, negli scenari della guerra, il silenzio tremava di paura per la morte in agguato. La trincea era la prima fossa dei morti, che venivano raccolti al buio, furtivamente.

Nino si soffermò, come fosse, di botto, caduto in trance, su un episodio che avvenne in una notte di luna nuova, col cielo in buona parte coperto dalle nuvole. Quella volta, col fucilone '91, che con la baionetta in canna era alto quasi quanto lui, lo mandarono di guardia, in un posto abbastanza riparato, vicino ai cavalli di Frisia. Ad un tratto vide un'ombra avanzare cauta oltre i rotoli del filo spinato. Lui si strinse di più nel nascondiglio e si dispose a sparare. Vedeva e non era visto. Il lampo di un bengala rimbalzò sull'elmetto del nemico. E gli apparve un ragazzo pressappoco della sua età. Era a portata di tiro, gli bastava prendere la mira e piegare l'indice sul grilletto. Ma non aveva la forza di dargli la morte, sarebbe stato come rubargli la vita. E non poteva proprio perché aveva l'impressione che le sue dita della destra fossero paralizzate, percorse dalle formiche in fuga. Vide anche la madre di quel soldatino, che poteva essere suo fratello. Così rimase a lungo col fiato sospeso fino a che, finalmente, spuntò la prima luce dell'alba all'orizzonte. Quindi strisciò come una lucertola e tornò al sicuro nel budello della montagna.

Tante volte Nino aveva rivissuto questo fatto in solitudine. Solo in un'altra occasione lo aveva raccontato durante una veglia in un inverno fascista, intorno ad un gran focolare. Gli chiesero di parlare della sua Grande Guerra ad uno studentello che la stava studiando. Ma lui, tra un bicchiere e l'altro di mezzo vino, cercava di divagare. Disse che, tornato dal fronte, gli era saltata addosso la 'spagnola'..."

"No, Nino, torna al fronte."

Allora non poté scantonare e, quando disse di quella volta, la Menchina, commossa, si alzò dalla sedia e gli stampò un bacio sulla guancia. La qual cosa non piacque a Gero, che, dopo avergli sparato parole come smidollato, sfascista e compagnia bella, se n'andò di fretta senza salutare.

Di seguito Nino visse per qualche tempo sulle spine per paura della spiata. All'epoca erano di moda le spedizioni punitive, l'olio di ricino e il manganello.

Dopo poco tempo sposò la Menchina e toccò il cielo con un dito quando la sua sposa rimase in stato interessante. Ma il cielo gli crollò addosso subito dopo perché il parto generò la morte della madre e del figlio.

Dopo qualche anno, in seconde nozze, per evadere dall'immensità della solitudine, si unì a Concetta, una brava e operosa vedova. Ma anche questo matrimonio durò poco tempo perché la febbre 'asiatica' gli portò via la moglie. Così lui, di nuovo, affogò nella solitudine.

La sua vita è stata all'insegna del lavoro, sempre lavoro. Mai un periodo, neanche breve, lontano da casa, soprattutto la stalla glielo impediva. I suoi giorni erano pressappoco tutti uguali, con poche novità, pieni di ricordi.

Passati un paio di anni io Nino l'ho rincontrato. L'ho visto da lontano nella fotografia all'incrocio della croce. Era al cimitero, nell'ultima trincea.

E mi capita di vederlo lassù, in alto, dove non tramonta il sole, in compagnia del soldatino austriaco, anche lui scampato dalla guerra, dove non ci sono lingue né stati diversi e non ci sono neppure i cavalli di Frisia a dividere le genti col filo spinato.

Franco Ruinetti

 

lunedì 18 gennaio 2021

Gli spilli di maneglia (442)

   

...il Covid ha stravolto anche le previsioni farlocche dei chiromanti....

sabato 16 gennaio 2021

Un'opera di Vezzoli per il Piccolomuseo di Fighille

 


Siamo particolarmente felici di annunciare l'arrivo della prima opera 2021 per la collezione permanente del Piccolomuseo di Fighille. L'opera giunge da Sarezzo in provincia di Brescia ed è dell'artista Giuseppe William Vezzoli, figura originale ed importante dell'arte contemporanea a cui va il nostro sincero ringraziamento ed apprezzamento.
L'opera di dimensioni 50x60 cm, tecnica mista con assemblaggio, si intitola: "Della memoria....Cassetto n.14":
 
L'opera donata al Piccolomuseo di Fighille

L'artista nasce a Sarezzo nel 1954. Il precoce amore per l’espressione artistica lo conduce ad affiancare allo studio e al lavoro la pittura. Dalla metà degli anni settanta inizia una ricerca artistica sempre più approfondita grazie anche alla frequentazione del “Gruppo Moretto” e all’incontro con il pittore Gianni Parziale.

I suoi dipinti in questi anni sono essenzialmente frutto di uno scandaglio legato alla pittura “en plein air” della geografia della Val Trompia, in “frammenti, testimonianze e omaggi alle mie origini”, afferma, e “sono vissuti personali che costruiscono e ricostituiscono la mia esperienza; le prime ispirazioni nate ritraendo la natura e l’ambiente della valle in cui sono cresciuto”.

Dalla metà degli anni Ottanta inizia l’esperienza in premi di pittura estemporanea e in vari concorsi, interrompendone però la partecipazione, nonostante fosse risultato primo classificato in oltre trenta manifestazioni artistiche, tra cui il primo premio al concorso “Città di Ravenna” nel 1996.

Nel 1995 la prima partecipazione alla manifestazione nazionale di pittura “Marina di Ravenna”, appuntamento che si ripeterà per i cinque anni successivi, utile tassello formativo che contribuirà alla successiva crescita tecnica e alla definizione di uno stile personale, che lo porterà a esplorare il raccordo con una moderna tessitura paesaggistica, ma rimane nell’alveo di artisti capaci d’innovazione e va oltre nell’aggiungere progettualità e simboli, metafisiche atmosfere, e modellati dal colore che campisce e impregna tutta la superficie. E comunica costanza e uniformità, in un tratto artistico e in un orientamento fatto di tele, o altri supporti, come territori su cui “mi piace pensare - dice - che dove finiscono le mie dita, possa in qualche modo cominciare un pennello”. Sarà l’avvicinamento a uno dei suoi temi, spazio-tempo, a specificare il suo processo di mediazione con l’arte, insieme a quello dei “viaggianti”. 

 


Sarà un leitmotiv a generare il visibile dell’invisibile nel filtro del silenzio che parla nell’ultimo passo del suo itinerario creativo che sta in quel gesto dada che innalza l’objet trouvé a opera d’arte. Infatti, del 2000, la scelta di continuare il proprio cammino usando l’accumulo dell’esperienza acquisita, nei luoghi e nella trepidazione per un “come” dipingere uno stato d’animo turbato dal “che fare” nell’attuale società dell’incertezza. Questo è il suo assunto che preserva il reale per abbandonarsi a una sorta di concettuale memoria che saccheggia nello stupore di un richiamo all’infanzia oppure nel gioco di assonanze e consonanze ricordi da raccontare. E archivia l’accademia, il figurativo degli anni Settanta, per intrattenere una relazione verso altre forme, altri mondi, altre tracce di attitudini da valorizzare mentre coniuga la sua arte con l’assenza di quella “di genere”.

 

Importante l’incontro con il compianto artista e amico Giovanni Tomasoni, che aveva saputo ascoltare e apprezzare il profondo mutamento della sua pittura, curando la realizzazione di due brevi monografie e coinvolgendolo in importanti iniziative, stimolando continuità a dimensione narrativa e ricerca coerente.

Dal 2003 al 2006 s’impegna con la “Galleria Immagina” del mensile d’arte “Stile” in varie Expo a: Bari, Catania, Forlì, Malpensa (Varese), Montichiari (Brescia), Reggio Emilia e Viterbo. Espone, inoltre, in molte collettive con il “Centro Arte Lupier” di Gardone V.T. e, oltre alle iniziative in sede, mostre itineranti, fra cui all’Accademia dei fiori G. Balbo di Bordighera, a simposi internazionali, e ad “Agorà” grandi formati in piazza (2002) e “Provocazioni” (2006). Poi importanti personali e fiere come la Expoarte di Padova, nel 2015 e 2016, con la “Galleria Spazio 6” di Verona, e approcci all’estero come per la “Crypt Gallery”,  a Londra in novembre del 2015. Da citare anche collaborazioni con il comune di Sarezzo (Brescia): laboratorio di pittura con ospiti R.S.A. 2007 e 2016, e quelli con alunni scuola primaria dal 2008 al 2011. Poi è stato componente di giuria del “Premio Pittura Sarezzo”, dal 2008 al 2016, e nel 2007 artista rappresentante lo stesso Comune nel gemellaggio francese con la città di Oberhaslach.

 

L'artista Vezzoli con il critico Philippe Daverio
Ed oggi è autore di una nuova pittura che considera il reale nel concetto che lo fa apparire, nel continuo uso di monocromie senza interventi che l’autodefiniscano, e poi l’oggetto che però non firma in sé per sé, allontanandosi dal Dada ma restando come riferimento, perché integra nel suo lavoro creativo l’apporto dell’era industriale come contributo a un diverso mezzo espressivo.

Alla sua attività artistica è stata dedicata nel 2018 una importante monografia a cura di Andrea Barretta ed edita da ab/arte dal titolo “L’arte aniconica di William Vezzoli”. Il libro è stato acquisito anche dalla biblioteca del Metropolitan Museum di New York.

 

 

martedì 12 gennaio 2021

Al confine (by Franco Ruinetti)

 

AL CONFINE


"Eccomi, sono un cittadino dell'universo, buona giornata."

"Perché sei venuto? Qui non si chiede il documento d'identità."

"Che ne so! Sono partito ad occhi chiusi."

"Dire buona giornata è usanza di voialtri abitanti in quella boccia che rotola laggiù, la vedi?"

"Vedo anche se ho abbassati i sipari degli occhi. Vedo."

"Qui è sempre giorno, la luce non tramonta, dovrai adeguarti, questa è un'altra dimensione."

"Dov'è il mio corpo? Non lo sento più, me lo avete rubato, c'ero affezionato... ladri!"

A questo punto scoppiò una risata, cui seguì il galoppo lungo dell'eco.

"C'è poco da ridere, il corpo è la cosa più importante che posseggo... tenuto e amato per tanto tempo... rendetemi almeno gli occhi per piangere."

Altra risata fragorosa con i soliti rimbalzi dell'eco.

Poi, con sorpresa, vidi, sempre senza la vista, il mio corpo. disteso sul letto mentre galleggiavo nell'aria, immobile come un falco ad ali aperte.

Vedevo, di certo con la mente, (prodigio, visione, realtà, miraggio?) delle presenze pressappoco umane, ora più, ora meno definite. Erano delle sculture modellate con brandelli di nuvole, alcune bianche, altre di un azzurro sfocato.

"Ma insomma, chi siete e io dove sono?"

"Siamo quelli che eravamo. E tu sei nel vestibolo."

"Ne so quanto prima, non ho capito niente."

Dopo una sosta la voce anonima diffusa, con cadenza musicale, forse canzonatoria, continuò:

"Tu sei alla dogana, nella zona che non è là e ancora non è il dopo."

"Avevo letto in un libro che per venire qui dovevo attraversare un tunnel, rivedere velocemente il film della mia vita e approdare in un lago di luce. Ma per me non è stato così..."

"Hai grandi curiosità, neanche noi sappiamo tutto... accontentati di quello che già conosci, cioè che tutte le strade portano a Roma."

 

A questo punto ero incerto se continuare a parlare perché quelle entità rispondevano a modo loro ovverosia rispondevano senza rispondere. Poi pensai di rivolgere domande pratiche, su argomenti spiccioli.

"Ma nel definitivo versante dell'essere o, che so io, nel non essere, ci sono le poste, c'è il postino?"

Scoppiò puntuale la risata con le risonanze dell'eco.

"Ridete pure, il postino porta solo guai e sfortuna. Spero che non si fermi. Lascia ansia, atti giudiziari a 56 - 57 km orari, tasse varie, multe dell'Agenzia delle entrate perché il commercialista ha sbagliato la dichiarazione dei redditi, ma dà la colpa a me e così via..."

"Sei ancora collegato con quella boccia laggiù."

"Ma ora che faccio, torno indietro, vado avanti?"

"Non lo sappiamo."

Tanto c'ero chiesi:

"Il mio corpo è trafugato, porca miseria! Ma io qui chi sono: l'anima, lo spirito? Ho sempre fatto confusione."

"Sei l'una e l'altro."

"Capisco di non capire e non inizio a capire al contrario dell'antico saggio."

Mi balenavano tante domande, ma temevo le sghignazzate.

"Di là, nella dimensione definitiva, ci sono i dolori, i virus, la vecchiaia?"

La risposta fu:

"Niente di tutto questo. Nell'infinito non esiste il tempo che è il vostro grande padrone e tutto consuma, inghiotte. E' un invisibile buco nero."

"Bene, riflettei, questo mi piace, vengo, fatemi passare... Ah, ma gli appetiti ci sono, per esempio le polpette fritte, il sesso?"

Esplose la risata universale seguita dal fastidioso tamburello dell'eco.

Quindi silenzio. Le presenze lattee e le altre con sfumature azzurrine su cielo celeste con un accenno rosa di aurora all'orizzonte, si stemperarono gradatamente. Allora sentii più urgente la voglia di diventare cittadino dell'aldilà, quando mi fece sussultare l'abbaiare del cane del vicino. Quegli acuti tenorili pazzi strappavano l'aria. Così, tutto d'un tratto, mi ritrovai affogato tra le coperte. Ero ripiombato nella 'boccia'. Non fui contento dell'esito. Ed ebbi la riprova, se ce n'era bisogno, che di qua sono in affitto e che proprio conto un bel niente.

 
Franco Ruinetti

lunedì 11 gennaio 2021

Gli spilli di maneglia (441)

   

...anno nuovo usanze vecchie: non sembra che, a breve, potremo liberarci dal Covid....