lunedì 27 febbraio 2023

Gli spilli di maneglia (547)

 

            

 

Un mondo alla rovescia ci aspetta nel piatto... fra grilli e pesce crudo presto i cari vecchi scarafaggi .....

martedì 21 febbraio 2023

Il convertito (by Franco Ruinetti)

IL CONVERTITO

 

Era diventato un individuo solitario, un asceta controvoglia. I colleghi lo ritenevano superbo, con la puzza sotto il naso, gli altri abitanti del bosco, quando capitava che lo incontravano, cedevano il passo. Lui credeva si comportassero così per rispetto, ma poi gli venne il sospetto, presto maturato in convinzione, che facesse loro paura.

Gli umani stavano alla larga il più possibile. Una volta vide un uomo lontano un centinaio di metri. Aveva il fucile a tracolla eppure gridò: “Al lupo, al lupo!” e scappò a gambe levate.

Di notte dormiva poco. Sempre solo nella sua tana. Chissà dove era il branco a fare agguati? Col calare del buio pesto la tristezza si incupiva. Mentre la luna, quando c'era, col suo sorriso di luce, gli  dava un po' di coraggio.

Notti di tormento, piene di pensieri. Rifletteva: “Sgozziamo qualche agnello, è vero, anzi qualche volta facciamo stragi e anche io, in passato, ho preso parte a tali spedizioni macchiando l'anima e la  famiglia di colpe gravi, peccati mortali, ma allora perché non si condannano gli umani che li mangiano tutti? Hanno inventato anche la storia del lupo mannaro pur di denigrare, gettarci fango addosso.”

Era come un'isola lontana. Non andava d'accordo con nessuno, si era, col tempo, pentito, era diventato un pacifista, un voltagabbana malvisto e perfino deriso da quelli del suo rango. Una sensibilità sconosciuta lo assaliva come una brezza improvvisa. Gli venivano perfino le lacrime quando l'usignolo gorgheggiava cantando gli strazi dei tramonti. Si appartava, eppure desiderava   conoscere qualcuno con cui parlare, lo pensava, sognava spesso. Odiava la fama, sia quella buona che quella cattiva. Riteneva che l'indifferenza fosse la condizione migliore, cioè appartenere alla 'gente comune', che non ha volto, è ignota. Fino a che, giunto al culmine della disperazione, prese una decisione irrevocabile, quella di cambiare casacca.

“Smentirò il detto 'il lupo perde il pelo, ma non il vizio’.  Non farò più paura. Sarò vegetariano.”

Pensò bene di non apparire più lupo, di darsi un'altra identità. Si mise in testa un cappello nero di feltro per nascondere le orecchie, fece un papillon con una striscia di stoffa rossa, sistemò sul naso gli occhiali da sole. Queste robe le aveva trovate tempo indietro nel girovagare di bosco in bosco. Si sentì nuovo, elegante e subito, come si presentò in un giardino alla soglia del paese, gli venne incontro una cagnetta di mezza taglia col pelo rosso lungo a forma di gonnella. Dopo varie chiacchiere, seduti dietro una siepe di bosso, lui, confidando in lei, aprì il suo animo e, per un momento, vide, di giorno, brillare le stelle.

“E tu che mangi?”

“Carne, solo carne di ogni tipo, ma non ho mai ammazzato nessuno. Me la danno i miei padroni, loro possono uccidere sia per nutrirsi, quanto per difendersi, che per divertirsi.”

“L'ingiustizia, pensò, è legge”.

Ora lui non aggrediva nessuno neanche per fame e mangiava erbe, radici, frutti del  bosco.

Un giorno la cagnetta non si presentò al solito appuntamento, allora lui si fece coraggio e andò nella piazza del paese. Si fermò davanti al negozio che presentava, a portata di bocca, tanta bella frutta. Addentò una mela pensando che fosse lecito, ma uno spicciolo cagnolino da passeggio, ridicolo per il pom pon in cresta, si mise ad urlare. “Al ladro, al ladro!”

Il bottegaio, che aveva il bastone perché era zoppo, lo colpì in testa facendogli saltare il cappello, così le orecchie lo tradirono.

“Al lupo, al lupo!”

Il lupo, smascherato, cercò di scappare  e di difendersi:

“Ho preso solo una mela, non l'ho uccisa. Io sono pentito, non faccio del male a nessuno.”

Ma fece poca strada perché una pallottola gli trapassò l'onda del cuore.

Soltanto la cagnetta gli andò vicino. Gli rimise il cappello e gli occhiali. Lei, che fino dal primo incontro sapeva tutto, ora sapeva che il suo amico era certamente migliore di ogni giudice improvvisato e soprattutto di quel cecchino criminale. Pensò che un lupo, anche se si converte, farà sempre paura.


Franco Ruinetti

lunedì 20 febbraio 2023

Gli spilli di maneglia (546)

            

 

Dopo le elezioni regionali piu' scontate degli ultimi 50 anni il paese resta alle prese con i problemi di "sempre" .....

lunedì 13 febbraio 2023

Gli spilli di maneglia (545)

             

 

Terminato il Festival di Sanremo, riprende il Festival della Politica Italiana, fra molte stecche e pochi acuti .....

lunedì 6 febbraio 2023

Artisti di strada (by Franco Ruinetti)

ARTISTI DI STRADA

Sono tanti. Non sempre sono considerati con la giusta attenzione per il loro valore. La categoria è varia. Ci sono pittori, tra gli altri i monotematici madonnari, scultori, declamatori, le statue viventi, mimi, danzatori, improvvisatori, satiri del burlesque e così via.

Questi autori, le cui opere e performances sono destinate a consumarsi nell'arco di poco tempo, qualche ora, sono presenti in ogni latitudine.

Però è più appropriato parlare al passato, infatti attualmente è raro incontrare al lavoro qualcuno di tali artisti perché la maggior parte di essi ha dovuto temporaneamente cedere il passo alla prepotenza del coronavirus. Ma è certo che la loro arte cova sotto la cenere e prima o poi tornerà a nuova vita nelle strade e nelle piazze soprattutto delle grandi città. Perché è, senza alcun dubbio, più forte della pandemia.

DAVID MOSCONI

David Mosconi è pittore figurativo. E' stato, per tanti anni, artista di strada e, come tale, ha viaggiato in Italia e all'estero facendo della vita un'avventura. Ora, anzi dal '19, da quando è esplosa la pandemia covid, si è fermato e risiede a Sansepolcro.

Le sue opere pittoriche, come tutte quelle che destano l'attenzione, prendono per mano, portano altrove. Apertamente comprensibili, cioè facili, mai però superficiali, hanno il segreto di essere piacevoli mentre accendono emozioni che restano. Al proposito capita di ricordare il fermo credo di Matisse che voleva un'arte immediatamente comprensibile. La tecnica è mista, personale. L'artista spiega che, oltre ai consueti mezzi quali olio, acrilico, può usare anche collage, prodotti e apporti vari.

 

Sono numerosi i soggetti di una produzione costante. L'ispirazione è una molla sensibile che scatta e urge di esprimersi. Tra i vari argomenti ricorrono scorci di paese, vedute a perdita d'occhio, soste e meditazioni nelle solitudini dei boschi.

Sono quadri che raccontano la bellezza delle stagioni, ora la giovinezza della primavera, ora il trascolorare dell'autunno, ma in primo luogo parlano dell'autore che insegue la libertà nell'evasione, nella poesia della natura. Ogni opera è un racconto, ma anche interpretazione, ha l'intonazione dello stato d'animo. I colori sono vibrazioni come corde di violino, possono significare abbandono nella bellezza, ma dicono anche sofferenza, sono linfa, luce, vita.

In un dipinto si vede una nave sbattuta dalle onde, dall'infuriare dei venti, “in gran tempesta”, dice il sommo poeta. Il cielo è scuro, chiuso, non c'è futuro. L'autore, in un certo periodo, come normalmente a tutti può succedere, ha incontrato il male di vivere e ha cercato sfogo nell'arte.

Un paesaggio innevato ha una particolare forza.. In esso insiste qualcosa di magico, il tempo si nasconde e tace. E' culla del silenzio, la solitudine è amica. Tale veduta, che potrebbe pur essere stata dipinta in studio e cioè venuta a galla nel mondo della memoria, diventa visione.

Altro esempio: un panorama marino. Fa balzare in mente Ungaretti; “M'illumino d'immenso.” Lo sguardo corre subito al limitare dove finisce il mondo e inizia il mistero. Bello il gioco dei colori. I bianchi delle onde che si infrangono armonizzano con il trascorrere degli azzurri che hanno scaglie di bianco e risonanze di verde provenienti dalle alghe del fondale. Poi c'è quel marrone del promontorio, forse improbabile, ma suggestivo accordo di luce.

Ecco un quadro che presenta un albero in primo piano, alle soglie del bosco. E' appena adolescente, in fin di vita. Le foglie gialle e rosse ancora appese e quelle sparse in terra sono grida, voci dei colori alte come quelle degli impressionisti.

Quindi si può vedere una pittura, di dimensioni contenute. Si tratta di una copia, ridotta in scala, di un affresco di Piero della Francesca nella basilica di San Francesco in Arezzo. E' una riproduzione perfetta. L'autore dice che i grandi maestri non muoiono e frequentandoli c'è sempre da imparare.

Franco Ruinetti

Gli spilli di maneglia (544)

            

 

Siamo finalmente a Sanremo e si sente già il profumo della primavera in lontananza.....