sull'opera di
VITTORIO ANGINI
Le luci trascorrono in momenti successivi, come sfaccettature cromatiche sulla ribalta della storia umana. Salgono verso l’epilogo della tragedia, verso la morte intesa al rinnovamento della coscienza e della vita.
L’opera pittorica di Vittorio Angini si qualifica per lo scatto dell’originalità. Gli argomenti rappresentati appaiono soggetti al movimento e da esso animati, ma è chiaro che non derivano dalle file postume del futurismo. Potrebbero essere considerati quali esiti di proiezioni effettuate da più punti di vista, ora interni, ora esterni e cioè quello svolgersi di vedute, accavallarsi di luci informi evocherebbero altre esperienze, non ultima quella del cubismo. Ma nessuno di questi riferimenti è convincente. E’ vero: nelle proposte c’è il movimento e c’è pure, in certa parte, il superamento o, che dir si voglia, un inizio di dissoluzione della forma, ma le immagini, così viene da credere, hanno accensioni sempre nuove. Sono dei lampi che, come accennato, si svolgono nel tempo e vivono con le intensità ed i colori delle emozioni. In ogni dipinto si vede la realtà, ora è solo un breve, ma acuto, riferimento, altra volta è una descrizione più diffusa, così che il figurativo si coniuga, in uno spartito perfettamente accordato, con i termini estremi dell’astrazione.
Il racconto di ciascun quadro è subito chiaramente leggibile. Questo motivo collega l’artista alla nostra tradizione pittorica ed evidenzia un linguaggio grafico, in genere essenziale, di rara efficacia. E nell’ambito contestuale si affermano sprazzi improvvisi di luminosità simultanee a chiarori, lembi di blu, frange di rossi, albe di giallo, come suoni vicini e lontani di colori che sorgono dai luoghi profondi dell’interiorità.
(Franco Ruinetti)