lunedì 13 settembre 2010

Scorci critici di F.Ruinetti su Franco Chiarani


sull'opera di

FRANCO CHIARANI

Prevale, nella produzione pittorica di questo artista, l’interesse per la dimensione umana. 
I protagonisti non sono indagati nell’identità esteriore, cioè rappresentati ripetendo con attenzione le fisionomie, ma sono riferiti sveltamente e fanno pensare a delle ombre con qualche sommesso sentore cromatico. 
Non interessa il ritratto, ma l’interiorità e ciascuna figura è la risultante di una forte tensione emotiva. L’arte può parlare perfino con i grandi silenzi e accende suggestioni anche con aspetti che non emergono per la bellezza fisica. 
Ecco, gli ambienti e gli sfondi di tali opere evocano proprio le radure del silenzio con colorazioni labili, tendenti ora a valori cinerei, ora a luminescenze che vaniscono in grigi estenuati con veli di altre cromie. 
Le immagini sorgono coerenti con il tutto, da esso traggono le luci del loro essere.
Le sonorità dei colori sono ben lontane dal linguaggio pittorico di Franco Chiarani, sarebbero stonature e recherebbero distrazione. Certi quadri con pronunciamenti accennati talvolta fino ad essere incerti, chiamano dentro il lettore. L’ordito dei rimbalzi chiaroscurali, pur lievi che siano, è invitante, sollecita l’attenzione.
In ogni opera spesso compare un’unica figura. Tali presenze sono sfuggenti, abbozzate. Raffigurano le emozioni che non hanno volto.
In alcuni di questi scenari spogli nell’ultima luce del crepuscolo scatta la sorpresa. Si tratta di una sottile lingua di rosso che ridesta improvvisa la vita e la speranza. Questo accade, ad esempio, in “Handicap”, mentre, diversamente dal solito, il Cristo deposto nel sepolcro in una stazione della Via Crucis è interpretato con disegno essenziale, ma completo, perché la morte ha il volto, invece le persone intorno non hanno fisionomie leggibili perché il dolore dell’anima non ha forma.
(Franco Ruinetti)