lunedì 13 settembre 2010

Storia del concorso



Le prime edizioni del Premio di pittura, negli anni Ottanta e oltre, sono estemporanee e a tema.
I pittori stazionano con i cavaletti nei campi e nelle piazze, sui greppi e nelle strade. Numerosi da sempre perché trovano accoglienza e interesse.
Protagonista assoluto il paesaggio. Che non di rado va inteso quale forma visibile dello stato d’animo. Non pochi quei premiati che poi continuano ad affermarsi e ottengono consensi di critica e di mercato. Talvolta risulta difficile, da parte della commissione giudicatrice, stabilire la gerarchia dei valori. Possono esserci delle opere, fino a quattro o cinque, che si distinguono e fanno accendere discussioni. Altrove, in certe circostanze, si trova la scappatoia con la soluzione dotta e comoda degli “ex aequo”. Ma quando si proclama una pluralità di vincitori non c’é un vero primo e il merito diventa una frazione.
Il Premio è stato un’invenzione di Americo Casi.
Sicuramente lo volle per far più bella, e a colori, la sagra paesana. O forse perchè Fighille é poesia, che l’artista sente e partecipa a chi non ha il linguaggio per dirla.
Si é perso il conto dei dipinti realizzati all’aria aperta che sono rimasti in loco, acquistati dalle famiglie e dagli istituti.
Essi vanno ascritti, in gran parte, al filone figurativo, che richiede notevoli capacità tecniche, che viene dalla tradizione e non preclude, all’operatore di talento, la creatività.
In certe realizzazioni il tempo é tutto presente, il passato non é spento, è dato incontrare memorie e risentire le voci di quelli che sono “poco lungi, in cimitero”.
I campi che si alternano nella pianura, le case sparse, le macchie della vegetazione suonano come tastiera di pianoforte. Quiete, dolcezza; in queste vedute gli artisti avvertono il ritmo dell’equilibrio, che ciascuno interpreta col proprio stile.
C’é anche qualche quadro che va oltre la dimensione iconografica. Sembra che tali autori vedano nel cielo l’anima di Fighille, con lembi di rosso, laghi azzurri, col giallo del grano e col bianco che vuol dire libertà.
Un bell’anno, il regolamento cambia ed il Premio assume una nuova fisionomia. Diviene concorso per opere da studio. A tutt’oggi, però, si vedono dei pittori che arrivano col loro armamentario e si mettono a dipingere lontani dai rumori e dalla fretta. Ora ai partrecipanti é consentita la più assoluta libertà sia tematica, che tecnico-linguistica. La mostra, frequentata, offre una varietà di proposte che vanno dagli scenari campestri alla penombra sopita degli interni, dalle composizioni floreali, concento della campagna e della tavolozza, alla donna-dea elegante e vera nel paese della mente.
Si possono vedere quadri surreali, con atmosfere stordite e rarefatte, non si vedono di certo l’happening o altre estrosità. Capita invece di restare sorpresi per qualche visione familiare e consueta considerata in termini originali. Allora si può prendere sottobraccio Picasso per sentirgli ripetere che l’arte é una menzogna, che ci insegna a concepire la verità.
In anni di fermento e chiasso culturali mai un autore ha presentato un lavoro provocatorio, esaltazione della negatività. Gli artisti sentono lo spirito del luogo.
L’arte, a Fighille, é quella di sempre, può parlare di serenità o sofferenza, ha i filtri della poesia.
                                                                                                                                                   Franco Ruinetti

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