I VIAGGI
D'ISTRUZIONE
Non sono
gite scolastiche, come a dire soltanto divertimento vacanzaiolo, perdita di
tempo, queste uscite sono soprattutto istruttive e, ancor di più, educative. Io
ho spesso dato la mia disponibilità per il ruolo di accompagnatore o primo
responsabile ben sapendo che di notte avrei dormito poco e i rischi che
correvo. Nei molti anni del mio servizio ho svolto questa attività scolastica
dalle Alpi alla Puglia, dalla Spagna all'Ungheria. Talvolta gli alunni
partecipanti erano così tanti da impegnare tre pullman. I viaggi, per gli
iscritti alla scuola media, si limitavano al campo nazionale e la durata era al
massimo di tre giorni. Gli alunni non davano grossi problemi anche se spesso
qualche maschio si comportava come se fosse rapito dal vento della libertà e
della contentezza. Le ragazze dimostravano maggiore equilibrio, procedevano a
gruppetti, le amiche si tenevano per mano.
Ricordo
diversi episodi carichi di un'ingenuità paradossale. Come quando uno studente
mi disse sottovoce:
“La Luana
non mi vuole, mi dica come posso fare.”
“Ancora è
troppo presto, aspetta tre o quattro anni, vedrai che il tempo sarà tuo
alleato.”
Mi guardò
serio, poi deragliò senza scomporsi.
“Anche le
pollastre invecchiano.”
Un altro
studentello, eravamo a Bussolengo in visita allo zoo, mi confidò in gran
segreto:
“Le ho dato
un bacio, sarà incinta?”
“Sì,
risposi, tra una decina di anni.”
Piccoli
episodi spesso strampalati che sorprendono anche nel ricordo e recano sempre le
luci del sorriso e della tenerezza.
Per alcuni
di questi ragazzi era la prima uscita dal paese, la prima volta che si
affrancavano dalle briglie dei genitori, i quali li avevano accompagnati alla
partenza per affidarli agli insegnanti nascondendo nel silenzio la loro
preoccupazione.
Anche le
notti erano animate. Fino a tarda ora c'era chiasso sia nelle camere o nei
bungalow dei maschi, come nei reparti delle femmine. Poi, quando i ragazzi si
accorgevano che il professore di turno non sostava più nei corridoi c'era un
fuggi fuggi da una stanza all'altra, sbattere di porte, chiasso, quindi il
portiere notturno si lamentava con qualche insegnante e così via fino a quando
la stanchezza, verso le prime luci dell'alba, finalmente, calava a tutti le
palpebre, sipari del sonno. Al mattino l'appello era verso le sette. Qualcuno,
renitente al risveglio, saltava la colazione.
Poi passai
ad insegnare nella scuola superiore, all'Alberghiero di Rimini, dove per anni
ebbi l'incarico di direttore. I giovani delle ultime classi, essendo già
maggiorenni, avevano diritto ad una maggiore libertà e fiducia. Spesso, però,
ritardavano agli appuntamenti e facevano stare in pensiero. Una volta, un
alunno, a Budapest, mi chiese il permesso di andare a trovare una zia. Glielo accordai.
Andò a giocare al casinò, tornò tardi e l'aspettai sulla porta fino a notte
fonda. Al ritorno mi chiese di perdonarlo e m'abbracciò. Era stato fortunato,
aveva vinto una discreta somma. Offrì a tutti tartine con caviale e vino.
Qualche
tempo dopo raccontai l'episodio e quanto ero stato sulle spine al mio vicino di
casa, vigile urbano, il quale scosse la testa lentamente e disse:
“Quando
rinasco faccio il professore.”
La
programmazione scolastica degli Istituti alberghieri prevede oltre alle visite
di interesse storico e artistico anche quelle a rinomate strutture ricettive e
della ristorazione sia in Italia che all'estero. I libri sono importanti,
l'esperienza lo è altrettanto.
A Parigi,
previo accordo telefonico, andammo nel famoso ristorante Chez Maxim's. Il
direttore ci ospitò accogliendoci a braccia aperte. Era originario di Napoli.
“Sono
contento che siate italiani come me. Se eravate napoletani sarebbe stato ancora
meglio.”
Ci fece
accomodare ai tavoli, chiese a due ragazzi e ad una ragazza di seguirlo. Quando
tornarono i tre giovani indossavano la divisa della casa. Mi sembravano belli
come il sole. Servirono, con serietà professionale, gli antipasti e l'aperitivo
gentilmente offerti.
Quattro
volte, per quattro anni consecutivi, accompagnai alcuni alunni ai campi di
sterminio, dove mi premeva l'angoscia, sempre più: al peggio non ci si abitua.
Uno dei custodi, Pablo, di origine spagnola, quando mi rivedeva, mi
abbracciava. Era stato lì internato, a Mauthausen e vi era rimasto anche dopo
la liberazione. Lo salutavo con un fiasco di Sangiovese. Spesso rivedo quella
biondina. Somigliava a “La ragazza con l'orecchino” di Verneer. Era nella
piazzola sopra il muro dei paracadutisti, dove dei prigionieri, quasi
scheletri, con quella specie di pigiama a righe, nel mezzo dell'inverno, puniti
per avere salito la scala della morte con una pietra giudicata piccola, irrisi,
venivano spinti nel precipizio di una settantina di metri per finire a
sfracellarsi sugli scogli.
Non riusciva
a nascondere i rivoli delle lacrime che le solcavano le guance.
Memorabile
anche il viaggio a nord est della Francia. Sostammo a Strasburgo, dove senza
prenotazione, non fummo ricevuti al Parlamento. Ma fu interessante l'incontro
con un prete che parlava italiano e ci presentò la cattedrale dentro e fuori.
Non volle neanche un caffè, disse che quello era un giorno felice per averci
conosciuti.
A Reims fui
io a spiegare la famosa cattedrale gotica. Mi ero preparato la lezione a
puntino.
Poi andammo
alle cantine dello Champagne, dove eravamo attesi e fummo ricevuti con
cordialità. Ci fece da guida una signora che mescolava l'italiano e il francese
come un mazzo di carte. Ci parlò a lungo del vino che è forse il più nobile del
mondo. Impressionante la cantina, enorme budello lungo una ventina di
chilometri, scavato al tempo dei Romani a 25 metri sottoterra, dove c'è sempre
la stessa temperatura.
In uno
slargo la presentatrice andò a parlare con un gruppetto di persone e tornò
tenendo sottobraccio un uomo sulla trentina, forse più. Quando lo presentò i
ragazzi esplosero in un applauso. Era un attore la cui fotografia compariva sui
tabelloni di tutto l'occidente, Fu simpatico, ci rivolse un saluto quasi in
italiano. Poi tutte le ragazze lo assalirono per l'autografo. Meno una.
“Perché non
ci vai?”
“Che ne
faccio di un scarabocchio?”
Prima di
partire un cantiniere regalò un cestello di sei bottiglie al nostro istituto
scolastico. Non arrivò in Italia. Una sera brindammo con lo Champagne.
Una mattina
io, altri due accompagnatori e una quarantina di studenti si fece sosta a
Innsbruck. Mi sfugge quale fosse la meta finale. S'era nel mezzo della
primavera. In un lato della piazza si svolgeva il mercato, in quello opposto
sorgeva una chiesa grande con due guglie e davanti al portale, profondamente
strombato, stazionava un gruppetto di persone. Ci avvicinammo. C'erano gli
sposi che posavano per le ultime fotografie. Mi parevano ancora ragazzi.
Indossavano vestiti tirolesi tradizionali dai colori vivaci che il sole
esaltava. Li guardavamo ammirati, in rispettoso silenzio. Poi i parenti e gli
amici, ad uno ad uno si avvicinarono a loro per abbracciarli e baciarli. Lo
stesso fecero gli studenti che animarono la scena intonando o meglio berciando:
“Branca Branca Branca – leon leon leon.” Pensai che anche il mio collega
accompagnatore provasse il desiderio di mettersi in fila per lo sposo, ma non
lo fece. I tempi non erano maturi. Invece lo sentii dire: “I soliti italiani,
ci facciamo riconoscere!” Io fui rapito da tanta bellezza, dalla festa,
dall'occasione. Mi girai, vidi a portata di mano l'insegnante di ginnastica,
luminosa ad alto voltaggio, l'abbracciai e le stampai due baci. Scoppiò un
applauso. Quella ci rimase come un baccalà, ma stirò le labbra in un mezzo
sorriso.
La verità è
che, stando con i giovani, si resta giovani fino alla pensione. Pertanto
condivido il desiderio del vigile Claudio mio vicino di casa: quando rinasco
faccio il professore.
Franco
Ruinetti