REALTA' O
IMPRESSIONE?
Il sole transitava nella costellazione del leone
e, nelle strade strette del paese, l'aria pesava bollente. Allora, in
quel meriggio, decisi di tornare ragazzo, cavalcai la bicicletta e
andai al Gorgo Buio dell'Afra, torrente tributario del Tevere,
profondo, con la leggenda del vitello d'oro nascosto in una sua
grotta dai Goti tanti secoli fa e chissà perché. Mi tuffai nelle
acque fresche, quindi mi distesi sopra un grande scoglio per
soffriggere al sole. Ero immerso nella solitudine, cullato dal
lamento della cascatella, prigioniero del violino ripetitivo,
disperato, straziante delle cicale.
Tutto
d'un tratto mi sorprese e ruppe l'incanto silvestre un tonfo sordo
seguito dallo sciacquio. Mi girai nel giaciglio rupestre e vidi una
adolescente o poco più in mezzo allo specchio del gorgo, che si
volse verso di me. La pelle bruna, bagnata, rifletteva i raggi del
sole. Era di una bellezza fulgente, irresistibile. Tanto che,
automaticamente, mi alzai in piedi leggero, come se il mio corpo non
avesse più peso, quindi feci un volo, più che un tuffo, per cercare
di raggiungerla. Lei nuotava agile, mi sorrideva invitante, scivolava
veloce come se avesse le pinne; i lunghi capelli neri le danzavano
sul dorso a fiore dell'acqua. E mentre la inseguivo, senza
raggiungerla, in un gioco che desideravo non finisse, mi
trascorrevano nella mente lampi di immagini e pensieri. Rifiutai
subito, come inadeguata, la giostra del gatto col topo. Mi apparvero,
in rapida successione, le ninfe delle fonti, dei fiumi, dei laghi e,
di esse, sostò di più Dafne. Poi mi si presentò davanti quel
monumento della fanciulla mitologica con Apollo scolpito da Gian
Lorenzo Bernini su marmo bianco lucente, che avevo conosciuto
soltanto sul libro di storia dell'arte. Intanto la nuotatrice
scappava da me che faticavo e sudavo freddo. Sentivo il cuore in gola
per correre appresso ad un desiderio impossibile. La vedevo come un
fiore in boccio e, nello stesso tempo, vedevo me stesso come un uomo
che ha disperso nel tempo la giovinezza, lo specchio, il senno.
Procedevo
sguazzando senza volerla veramente intercettare per il sospetto di
essere respinto, ché sarebbe la fine: meglio l'incertezza piuttosto
della certezza di un rifiuto definitivo. Lei era luce, non potevo
abbracciare lo splendore dell'aria. Era come una stella così fredda,
che mi ricordava la donna cantata nella poesia provenzale o siciliana
del Duecento. Ma che andavo a pensare? Spaziavo nel mondo onirico o
ero desto? Mi toccavo, ero sveglio e lei era ancora là, però la sua
presenza, piano piano, veniva avvolta in una matassa di nebbia. Che
sensazione strana! Non ero più in acqua, mi ritrovavo ancora di
nuovo disteso tutto lungo sopra lo scoglio crudo, battuto dal sole
implacabile. Poi Apollo abbracciava Dafne e mi pareva di essere lui.
Era sul punto di baciarla, ma la ninfa si trasformava nell'albero
dell'alloro, con i tralci del quale si facevano i serti per cingere
le teste dei poeti, degli eroi, il cui nome allude alla festa della
laurea. Infine, dopo essere stato nell'altalena tra il sogno e la
veglia, aprii gli occhi, mi chiesi: 'ci sono o non ci sono? Il mondo
è realtà o solo un'impressione sfuggente?' Rimbalzai in me stesso e
guardai verso la sponda scoscesa del torrente dove non vidi il
sempreverde odoroso lauro della gloria, bensì c'erano prosaici
giunchi e cannicci, cespugli di ginestre. E guardai il pioppo alto
sul greppo che, trapassato dai dardi di sole, rideva di me. Ma come
si permetteva?
Franco Ruinetti