Avevo
tanti amici al paese, erano la mia ricchezza. Il trascorrere lento dei decenni,
che si sono ammucchiati, li ha decimati e ora, nelle strade e in piazza,
incontro solo volti anonimi, senza festa. Alcuni di quelli veri, cioè compagni
di classe delle elementari, sono sparsi nel mondo, i più sono sparsi nei
cimiteri, altri li ho persi nella memoria. Un paio ne vedo ancora, raramente,
sopravvissuti (uno in malo modo) alle intemperie del tempo e della salute. Ma
l'amicizia è il sale della vita e io l'ho rinnovata frequentando, alcune volte,
l'Isola Serena, il pensionato alto sulla collina, che non mi piace definire ricovero
per vecchi. La maggior parte di questi collegiali, maschi e femmine, mi supera
per età, ma ce ne sono anche giovani. Quando vado lassù mi intrattengo ora con
questo ora con quella, con chi mi chiama o si avvicina per primo. Avverto con
piacere d'essere atteso, accettato. L'amicizia, che fa bene sia a me che a
loro, non è volontariato.
Raffaello
"Mi chiamano Lello per risparmiare il fiato."
Dicono di no, invece a me sembra persona intelligente,
almeno ogni tanto. Passiamo il tempo parlando, in genere del passato. Le sue
parole rotolano come ruote di un carro nell'acciottolato. A volte,
d'improvviso, il discorso frena, si impantana in un vuoto di silenzio, si
risveglia, riparte. E' interessante, almeno non è mai banale.
"Sono ospite dell'Isola da un paio di anni perché
avevo spolverato mia moglie, macelleria dell'anima, col battipanni, ma roba
leggera, senza farle danno... invece si scatenò l'inferno..."
"Tua moglie è viva, hai dei figli?"
"Ho due femmine e un maschio, lavorano, non hanno
tempo per venire a trovarmi. Mia moglie viene, è sempre molto bella e sempre
puttana... molto..."
"Non dire cattiverie."
Raffaello era un falegname, che, da giovane, emigrò in
Svizzera dove si specializzò tanto da dare suggerimenti agli architetti. Il suo
ultimo lavoro è stato un grande portone di cipresso schietto, m.1,60 di base e
3 di altezza per una chiesa a mezzo monte. Un portone, sormontato dal timpano,
che, a suo dire, è bello, bugnato, un monumento, ancora nuovo, su una facciata
di pietra serena.
"E' stata una spesa inutile perché il tetto
dell'edificio è crollato e in quella frazione non abita più neanche un vecchio."
Mi stringe un braccio:
"Tutto finisce, solo l'amore per la vita non
finisce, anzi è sempre più forte."
La signora Iolanda
L'ho sempre vista in quella poltrona, vestita distintamente, con una grossa spilla d'oro sul bavero, mai in piedi, forse ha problemi alle gambe. Mi siedo vicino, le bacio la mano.
"Signora Iolanda, come sta?"
"Sto bene, caro amico, la vedo con gioia."
Ha una vaporosa chioma di capelli, nuvola bianca fresca
di parrucchiera. Provo suggestione per quelle pupille che lanciano lampi come i
vetri delle finestre quando batte il sole del tramonto. Non so quanti anni ha,
alle signore non si chiedono. Penso ne abbia tanti, ma la pelle del volto non
ha ombre di rughe e le labbra svelte spiccano evidenziate dal rossetto.
"Ho fatto la madre e la casalinga. Quattro figli mi
hanno molto impegnata e il poco di tempo libero l'ho dedicato a dipingere rose,
tulipani, gardenie, fiori e fiori. Se avessi posseduto un'aiuola, anche
piccola, li avrei voluti vivi, non li avrei soltanto sognati con l'acquarello.
Una volta la trovai cupa, con gli occhi spenti.
"Non sta bene signora?"
"Sono triste, soltanto triste."
C'erano diverse persone nella grande sala, alcune intorno
al tavolo, altre nelle poltrone. Io e la Iolanda, seduti come al solito, l'uno
a lato dell'altra, eravamo appartati in un angolo. Mi raccontò, a voce bassa,
la sua storia.
"Avevo un marito stupendo. Fu il primo ed è stato
l'ultimo amore. Eravamo una bella famiglia, contenti del nostro appartamento..."
"Signora, se parlare di questo la fa soffrire,
parliamo d'altro..."
"Non si preoccupi... Dopo 30 anni di matrimonio e i
nostri figli tutti sistemati, lui, tutto ad un tratto, non è più lui..."
"Cade in malattia?"
"Sarebbe stato meglio... No. Perde il senno per una
ragazza polacca, si indebita anche, non è più lui..."
Intervenni, ero a disagio:
"Ad una certa età può accadere di rincorrere
un'illusione."
La mia interferenza non la distrasse.
"Si confidava con me, mi chiedeva perdono e aiuto,
ma io compresi tutto..."
"Cosa?"
"Quella polacca era la maschera del maligno e mio
marito era posseduto. Soffriva poveretto, era innocente."
Non sapevo che dire, guardavo la spilla.
"Allora immersi nell'acqua santa una medaglietta di
stagno del Cristo risorto, gliela cucii nel risvolto dei pantaloni, poi pregai
intensamente perché il Salvatore cacciasse il demonio. E così avvenne: mio
marito tornò da me, ma per pochi giorni perché il cattivo, lasciandolo, gli
aveva lacerato il cuore."
A questo punto seguì una pausa di silenzio e io ne
approfittai per alzarmi dalla sedia e baciarle la mano.
"Torni presto, l'aspetto."
La Iride e la briscola incompiuta
Con la Iride scherzo, ma non sempre perché qualche volta deraglia col pensiero. Può cambiare umore all'improvviso. Quando è schietta, serena, se mi vede mi chiama con voce alta come quando era dietro al banco nel mercato, anche se sono lì vicino:
"Franco, fai finta di non vedermi?"
Una volta mi sorprese:
"Sono passati gli anni, ma l'amore non si scorda..."
"E' vero!"
"Parlo di noi, di me e di te, Franco..."
Evidentemente era un altro Franco.
Non sapevo come comportarmi, cosa dire. E lei continuò a
voce bassa, come chiusa in se stessa, rassegnata.
"Da allora, che mio marito ci sorprese mano nella
mano e ci pagò il caffè, io lo persi, siamo stati separati in casa, mai più una
parola e perdetti anche te..."
A questo punto arrivò l'infermiera con le medicine in una
mano e nell'altra mezzo bicchiere d'acqua.
Che pena! Approfittai per cambiare rotta. Andai fuori nel
giardino, e, dopo un poco, mi sedetti all'ombra del tiglio per giocare a
briscola con tre ospiti amici di vecchia conoscenza. Tonio, il mio compagno di
partita parlava, parlava mentre giocava con poca convinzione.
"Stai più attento, così si perde."
"Raccontagli, interloquì Giorgio, di quando facevi
la medicina."
Tonio mise nella tasca della giacca le carte che aveva in
mano per modellare le parole con i gesti.
"Facevo le pillole per le emorroidi con le castagne
dinde, (dell'ippocastano) non era semplice, avevo imparato da mio nonno..."
Si dilungava nella spiegazione, diceva che non poteva
dire il segreto del collante, eccipiente e così via.
"Ma questa cura era efficace?"
"Efficacissima, ne vendevo tante confezioni, le
pillole erano miracolose. Le comprò anche la farmacista. "
Gli chiesi:
"Guarì?"
"No, disse Giorgio, rimase incinta."
Franco Ruinetti