I 'corvi neri'
Eravamo appena ragazzi nei primi anni '50 e subito
dopo aver pranzato si correva nell'alberato Parco della Rimembranza, per
giocare al pallone. Tutti i giorni una sfida. Quando s'era in numero dispari,
uno faceva il direttore di gara, altrimenti eravamo contemporaneamente
giocatori e arbitri. Talvolta s'accendevano discussioni, non esisteva né il
fuori gioco, né il calcio d'angolo. Non si poteva dare cazzotti. Il campo
presentava delle irregolarità. Le dimensioni contenute consentivano di segnare
molti gol. Quando il calciatore aveva la palla, difficilmente la passava al
compagno di squadra, procedeva verso la porta avversaria, zigzagando tra gli
oppositori che cercavano di ostacolarlo. Doveva scartare non solo i ragazzi e
uno o due ippocastani, capitava dovesse dribblare persino il cane di Menchino
quando faceva un'incursione e correva come pazzo.
Successero anche fatti, che, di certo, chi li ha
vissuti, non li ha dimenticati. Una volta Tonio tirò un calcio con tutta la
forza, ma la palla finì oltre la strada e centrò la testa di una giovane che
stava amoreggiando seduta all'ombra su una panchina di pietra. Il fidanzato
s'alzò di scatto e cominciò a rincorrerci gridando e gesticolando. Ma noi,
recuperata la palla, che non era pesante perché di gomma, ci sparpagliammo
fuggendo, così l'energumeno, disorientato, sembrò calmarsi e tornò all'ufficio
bruscamente interrotto.
Si urlava, sudava, ci scambiavamo, ma
involontariamente, calci sugli stinchi, si litigava forte, però la rabbia
evaporava con la fine della partita.
Una volta il solito Tonio sferrò una poderosa pedata
a vanvera e la palla finì nella strada addosso al corteo dei seminaristi
(allora a Sansepolcro c'era il seminario), che tutti i giorni uscivano in
ordine per godere di un'ora d'aria. Erano i 'mezzi preti', in schiera a due per
due. Indossavano la talare, li guidava un prete vero alto come un cipresso.
Quella palla, capitata tra le tonache, fu una tentazione irresistibile,
un'improvvisa ubriacatura collettiva. I pretini ruppero le righe, fecero invasione
di campo, precipitarono come un'orda alla volta dell'ultimo difensore Gigetto,
che si riparò dietro il querciolo, un palo della porta, e gridò a tutto fiato:
“I corvi neri, i corvi neri!”
Il prete-cipresso, durante la sedizione non si
mosse, rimase come piantato in mezzo alla strada e i seminaristi, segnato il
gol fuori ordinanza, si ricomposero in fila a testa bassa. Dopo quel giorno non
si videro più sfilare nella strada che costeggia il Parco della Rimembranza.
Nella piazzetta
Nel '47, l'anno prima del terremoto e delle decisive
votazioni, io frequentavo ancora la scuola elementare. La mattina mi sbrigavo
per andare nella piazzetta di Santa chiara almeno venti minuti prima che la
bidella aprisse il grande portone della scuola. Mia madre apprezzava questa mia
premura. Poveretta, non poteva immaginare che quella fretta non derivava dalla
voglia di studiare. La piazzetta, di prima mattina, per me era magica, piena di
vita, mi piaceva. In un lato s'apriva il fondo del maniscalco, un antro
annerito dal fumo, dove talvolta si vedevano gli animali portati a ferrare. Il
maestro disse che si chiamava mascalcia. Ero contento e mi sentivo importante
quando giravo la ventola della forgia, per il quale piccolo servizio fui
compensato con un ferro di cavallo porta fortuna, che prima tenni nella
cartella, poi lo misi sotto il guanciale e infine non lo ritrovai.
Talvolta capitava che alcuni di noi ragazzi, chi
c'era c'era, all'improvviso ci si disponesse per saltare la cavallina. Deposte
le cartelle, balzavamo sui gropponi di quelli che s'erano accovacciati in fila
fino a quando la catasta crollava con urli e battimani. Il gioco era corale, di
certo non istruttivo e anche un po' pericoloso, ma allora bastava poco per
divertirsi, poi nessuno si faceva male.
Altro gioco abbastanza praticato nella piazzetta era
il battimuro con le monete avanzate dal fascismo. Ci si inginocchiava, si
scagliava la moneta da una certa distanza e vinceva quella che restava più
vicina al muro. Io vinsi e mi ritrovai un barattolo di soldi di varie leghe, da
pochi centesimi fino alle due lire. Li tenevo da conto, poi non so che fine
abbiano fatto.
Una mattina la Nella, più tonda che alta, litigava
col marito seduto a fumare sul parapetto della vasca al
centro della piazza. Lei ad un tratto si mise a gridare forte, ad agitare
le mani, ma lui faceva l'indifferente, volgeva lo sguardo in alto, da un'altra
parte. Allora lei, di scatto, lo prese per i piedi e lo rovesciò nell'acqua.
Così quella mattina io scrissi nel diario, sul quaderno di classe, che quella
donna aveva inzuppato il marito, gli aveva fatto fare il bagno, il bucato e gli
aveva spento la sigaretta. Conclusi sentenziando che le mogli grasse e corte
sono pericolose.
Franco Ruinetti