Il compagno, che viveva con lui in quella stanza breve, era
contento e lo accusava dicendo che la cultura gli aveva rovinato il cervello.
Credeva nella bontà del porcaro che li governava con pranzi
saporiti senza chiedere nulla in cambio.
Non riteneva di essere in prigione perché non si possono mettere
le catene al sogno, che è leggero e, mentre riposi, ti rende libero nel bosco delle
favole, dove, invece, nella realtà, ci sono fatiche e rischi. Il compagno mangiava,
dormiva, ingrassava. Lui no. Pensava sempre. Indagava sugli istinti.
Talvolta, per svagarsi, ricordava i giorni felici della
giovinezza, quando lo portavano al pascolo dove s'inebriavacol profumo dei tartufi e sentiva le vene dell'acqua scorrere
sotto terra.
Ora era prigioniero, stretto tra le sbarre del porcile e del
pensiero. Aveva smesso di bofonchiare, di parlare con quel collega
insensibile.
La natura non gli aveva dato lacrime per sciogliere la
disperazione. Vedeva con chiarezza il nemico suo e di tutta la specie
nell'uomo,che lo alleva quasi fosse un familiare, ma lo disprezza.
Gli capitavano percezioni extrasensoriali e, tramite esse,
navigava nella storia. Così sapeva che anticamente il maiale era un messaggero
degli dei,meritava rispetto perché derivante da Maia, dea del fuoco e
dell'amore. Poi il nome 'maiale' è diventato un'offesa e il suo assassinio è
sempre una festa.
La gente ride delle tragedie, vive della morte.
Una mattina, mentre fuori diluviava, venne il padrone che, con
parole gentili e calci nella pancia, fece uscire l'amico.
Fuori del cancello c'erano due sconosciuti e il poveretto non
ebbe scampo.
Quelli lo afferrarono per le orecchie e l'altro per il codino,
che quasi glielo strappava. Lo portarono nel locale attiguo. Le urla, lo strazio
superavano i tuoni.
Poi un colpo secco. Poi nulla. Il destino, presieduto dal
porcaro, fu compiuto.
In seguito la solitudine fu densa, popolata da incubi e
frequenti apparizioni di fantasmi o scene ora labili, ora vive.
Vide, come se fosse presente, come una mosca che svolazzava
alta, squarciare l'amico, farlo a pezzi, triturarlo, insaccarne le carni nelle
sue stesse budella, mummificarne le parti. Vide, viaggiando nel prossimo futuro, le
sottili fette delle cosce e dei salami, rosee e bianche, saporite farfalle del
gusto.
Osservò il cadavere perdersi in piatti prelibati e la brutta
parola del porco trasformarsi in piacere.
“Ecco, sospirò il sopravvissuto, la cultura mi ha allungato un
po' la sofferenza della vita.” E concluse: “Il mondo e la vita stessa sarebbero
belli. Se non ci fosse l'uomo”.
Franco Ruinetti