FINCHE'
CAVALCO IL GIORNO
Qualche
volta è piacevole, altre volte è noioso fare quelle camminate, che
mi impegnano a giorni alterni, per combattere l'ipertensione
arteriosa. Sono una cura durante la quale ragiono il più delle volte
da solo, poi contro-ragiono: ho ragione. I motivi che mi saltano in
mente sono molteplici: riflessioni, tesi e antitesi, lampi di
immagini, ripetizioni di parole tipo tormentoni spesso senza senso.
Certe volte scandisco le sillabe al ritmo dei passi.
Stamattina,
ad un certo punto, mi sono proposto un argomento, vale a dire lo
svolgimento di un tema: 'Perché scrivo?' Ho risposto alla domanda
pressappoco così: scrivo per non pensare, non essere io, evadere.
Però, per scrivere bisogna impegnarsi, attivare la mente. E' vero,
ma scappo da me stesso e scompare il dolore provocato dai chiodi
fissi, plurali, piantati in fronte, incrostati di ruggine.
Mentre
camminavo l'unica parte di me che sentivo pesare, in un alterno
dondolio, era la testa. D'improvviso mi ha sorpassato un uomo alto un
paio di metri, che con quelle gambe lunghe aveva una marcia in più.
L'avevo incrociato qualche volta. Ci conosciamo solo di vista, ci si
saluta:
"Buona
giornata, come va?"
"Finché
il mondo gira e non inciampa, va bene."
"Speriamo
che non si stanchi, buon appetito!"
Parole
al volo, buttate là, per riempire il vuoto dell'aria, piccola
vacanza per il cervello, come un seme di zucca per l'appetito.
Quando
sono arrivato alla panchina a mezza via e a mezza faticata, mi sono
seduto per qualche minuto di sosta, per rifornimento di energia.
Ho
continuato il tema.
Scrivo,
ho argomentato, perché l'architetto sparge i miei scritti in
tutte le direzioni tramite il computer. Dice che la mia penna parla
da sola. Lui è quello che, con le sue iniziative, ha rotto il
silenzio di Fighille. Gli mando i testi per abitudine inveterata. Una
volta, soprattutto da giovane, nel vedere pubblicati i miei
vagabondaggi mentali in giornali e riviste, provavo un certo
solletico. Poi no. Ora, che viaggio negli anni pesanti, man mano
disperdo per strada gli entusiasmi che mi hanno fatto compagnia e
sostenuto. Abbandono quasi inavvertitamente questa dimensione terrena
nella quale mi trovo immerso, mi sto spogliando della voglia di
apparire e mi preparo per la residenza definitiva, che è senza
limiti, eterna. L'architetto mi dice di scrivere di arte, di Fighille, di
quello che mi pare perché nel giornale telematico c'è spazio e
allora io intervengo ogni tanto dato che ancora gli argomenti mi
balzano in testa e qualcuno lo prendo al volo così come gli
entomologi catturano le farfalle col retino.
E
poi m'è capitato, nella ribalta dell'attenzione, Enzo, l'umorista
fine disegnatore, che si firma 'Man', amico saldo
come una quercia, originale interprete e illustratore, che strattona
la realtà per volgerla in un gioco serio. Prende le mie idee, le
strapazza più o meno, le veste con la sua luce tutta nuova. Scrivo
perché sollecita il mio impegno, così vedo come mi vede ed è
sempre una scoperta.
Insomma
sono arrivato al termine della camminata e la conclusione ovvia è
che scrivo perché ho scritto da sempre, continuo anche se sono in
avanzato stato di pensione e ho la mano rallentata, forse perché non
so fare altro. Scrivo perché respiro.
Franco Ruinetti