martedì 14 aprile 2020

Finchè cavalco il giorno (by Franco Ruinetti)

 



FINCHE' CAVALCO IL GIORNO


Qualche volta è piacevole, altre volte è noioso fare quelle camminate, che mi impegnano a giorni alterni, per combattere l'ipertensione arteriosa. Sono una cura durante la quale ragiono il più delle volte da solo, poi contro-ragiono: ho ragione. I motivi che mi saltano in mente sono molteplici: riflessioni, tesi e antitesi, lampi di immagini, ripetizioni di parole tipo tormentoni spesso senza senso. Certe volte scandisco le sillabe al ritmo dei passi.

Stamattina, ad un certo punto, mi sono proposto un argomento, vale a dire lo svolgimento di un tema: 'Perché scrivo?' Ho risposto alla domanda pressappoco così: scrivo per non pensare, non essere io, evadere. Però, per scrivere bisogna impegnarsi, attivare la mente. E' vero, ma scappo da me stesso e scompare il dolore provocato dai chiodi fissi, plurali, piantati in fronte, incrostati di ruggine.

Mentre camminavo l'unica parte di me che sentivo pesare, in un alterno dondolio, era la testa. D'improvviso mi ha sorpassato un uomo alto un paio di metri, che con quelle gambe lunghe aveva una marcia in più. L'avevo incrociato qualche volta. Ci conosciamo solo di vista, ci si saluta:

"Buona giornata, come va?"

"Finché il mondo gira e non inciampa, va bene."

"Speriamo che non si stanchi, buon appetito!"

Parole al volo, buttate là, per riempire il vuoto dell'aria, piccola vacanza per il cervello, come un seme di zucca per l'appetito.

Quando sono arrivato alla panchina a mezza via e a mezza faticata, mi sono seduto per qualche minuto di sosta, per rifornimento di energia.


Ho continuato il tema.

Scrivo, ho argomentato, perché l'architetto sparge i miei scritti in tutte le direzioni tramite il computer. Dice che la mia penna parla da sola. Lui è quello che, con le sue iniziative, ha rotto il silenzio di Fighille. Gli mando i testi per abitudine inveterata. Una volta, soprattutto da giovane, nel vedere pubblicati i miei vagabondaggi mentali in giornali e riviste, provavo un certo solletico. Poi no. Ora, che viaggio negli anni pesanti, man mano disperdo per strada gli entusiasmi che mi hanno fatto compagnia e sostenuto. Abbandono quasi inavvertitamente questa dimensione terrena nella quale mi trovo immerso, mi sto spogliando della voglia di apparire e mi preparo per la residenza definitiva, che è senza limiti, eterna. L'architetto mi dice di scrivere di arte, di Fighille, di quello che mi pare perché nel giornale telematico c'è spazio e allora io intervengo ogni tanto dato che ancora gli argomenti mi balzano in testa e qualcuno lo prendo al volo così come gli entomologi catturano le farfalle col retino.

E poi m'è capitato, nella ribalta dell'attenzione, Enzo, l'umorista fine disegnatore, che si firma 'Man', amico saldo come una quercia, originale interprete e illustratore, che strattona la realtà per volgerla in un gioco serio. Prende le mie idee, le strapazza più o meno, le veste con la sua luce tutta nuova. Scrivo perché sollecita il mio impegno, così vedo come mi vede ed è sempre una scoperta.

Insomma sono arrivato al termine della camminata e la conclusione ovvia è che scrivo perché ho scritto da sempre, continuo anche se sono in avanzato stato di pensione e ho la mano rallentata, forse perché non so fare altro. Scrivo perché respiro.

Franco Ruinetti