ESULE
PER AMORE
All'anagrafe
era Antonio, ma i più lo conoscevano come Tonino, altri lo
chiamavano Nino. Io lo avevo frequentato spesso, era mio coetaneo ed
amico.
Correva
l'anno '56 e, da qualche settimana, passavo assieme a lui,
soprattutto al bar, più tempo del consueto. Mi sentivo euforico per
lo scudetto della Fiorentina, che aveva distaccato il 'suo' Milan di
12 punti. A quel tempo non affogavo nei pensieri e mi potevo
permettere certi entusiasmi.
"Non
ti angosciare perché il Milan si prenderà la rivincita, forse tra
vent'anni!"
Volevo
sfotterlo, ma lui sfuggiva, le mie frecce non lo colpivano. Pensava
ad altro, cioè aveva il petto e la testa assediati dall'amore.
"Mi
evita! E' quasi un anno che le ho fatto una mezza dichiarazione, anzi
gliel'ho detto apertamente, mi risponde che ci deve pensare, tira per
le lunghe, traccheggia, ma io ho capito... è una pena, una gran
pena!"
"Allora
tu cambia ragazza... l'amore passa!"
Il
piagnisteo mi stancava, quindi insistevo:
"Ce
ne sono tante di ragazze, deciditi!"
"Lei
è il mio sole. il sole è uno solo... è eterno!"
"Non
è vero."
Ma
Tonino era irremovibile.
"Invece
è vero, ma così non posso vivere... vederla e non averla... tanto
vale, a te lo dico, ho deciso: me ne vado. Vado il più lontano
possibile. Per le pratiche e per il posto di lavoro ci pensa mio zio,
che è esperto, viaggia in tutto il mondo... Me ne vado, il dado è
tratto."
Non
pensavo che se ne andasse davvero, invece non lo vidi più e solo
dopo 4 o 5 mesi ricevetti una cartolina laconica da Lakselv,
Norvegia: 'Saluti - Antonio'.
Da
lì a poco anch'io fui esule, andai a lavorare lontano, ma pur sempre
in Italia, come a dire 'al confino'. E, per le ferie estive, tornavo
a rivedere gli amici, la valle, i miei monti.
Dopo
quattro anni, la mattina di ferragosto, trovai Tonino al solito
vecchio bar dove ero andato per fare la colazione e per leggere il
giornale. Faticai a riconoscerlo perché s'era fatto crescere dei
baffi cespugliosi.
"La
sua consumazione è pagata," disse indicando me e rivolgendosi
alla barista.
Ci
salutammo come due amici che si sono lasciati il giorno prima, senza
effusioni, né troppe esclamazioni. Poi sedemmo ad un tavolo e ben
presto riprendemmo i nostri discorsi sospesi da così lungo tempo.
"Ti
trovo bene, ma anche diverso."
"Ho
fatto crescere i baffi, compensano la stempiatura. E adesso ti
rispondo: il Milan non ha aspettato vent'anni, ha vinto il campionato
subito dopo la Fiorentina, il grande Milan!"
"Ma
tu pensi ancora a quella ragazza, sei sempre disperato?"
"Non
me ne parlare, giorni fa è stata lei a fermarmi, io non avrei potuto
riconoscerla, adesso ha i capelli biondi, in così poco tempo è
diventata doppia, s'è imbarcata, m'ha detto: quella risposta che
aspettavi ce l'ho per mano, infatti si appoggiava a lei una bella
bimba con le treccine. Ora ti dico che la fuga m'ha salvato. Il fiore
è subito appassito."
"Mi
sembra che tu esageri, comunque il tempo è galantuomo, passa per
tutti."
"Non
esagero, non ho mai smesso di pensarla, ho sofferto e quando l'ho
rivista, l'altro giorno, è stata una delusione fredda come le terre
artiche."
"Va
bene così, sei guarito."
"Per
forza, sono guarito due volte, la prima perché lei non è più la
stessa, la seconda perché si è sposata."
"Per
te era il sole..."
"Lei
era il mio sole, è vero, ma basta, è tramontato. Ora ho capito che
il vero sole è un altro, questo bello, alto nel cielo italiano,
gratis, che, invece oltre il circolo polare, dove sono andato a
finire, è basso. Vedi: lassù, al nord estremo dell'Europa, ci sono
varie cose belle, tra l'altro le donne non appartengono ad un altro
pianeta..."
"Che
vuoi dire?"
"Non
c'è bisogno che spieghi, tu mi capisci. Però manca il sole, che è
la cosa più importante... ma no, sbaglio, non è esatto dire così.
Infatti non manca, c'è e si vede laggiù verso il sud, però appare
strano, quasi stordito, per mesi è come in agonia e mi sembra anche
sul punto di cadere."
Franco Ruinetti