BALLATETTA INTORNO AI CASTELLI
Ogni castello ha la sua storia e la sua leggenda. Molti di essi sono crollati sotto i colpi lenti, ma inesorabili, del tempo, alcuni sono stati sventrati dalle bombe nel corso della 2^ guerra mondiale, altri, sopravvissuti e ben conservati, sono presenze suggestive, vigili e austeri testimoni di fatti lontani veri o che forse sconfinano nella credulità.
Comunque c'è da pensare che la leggenda non nasca per caso, ma è come una pianta che nasce da un seme e diventa grande o grandissima in modo più o meno lontano dalla sua natura, dalla verità.
Ecco: nella maggior parte dei castelli, maestosi e solitari nei silenzi dei pleniluni, abitano, si aggirano i fantasmi. Ai quali è bello credere. Essi sono come favole che vivono di notte, ci conducono lontano dalla ragione per farci tornare fanciulli impressionabili. La fantasia è bella anche se segnata da qualche brivido e non importa se può fare rima con bugia.
Ora mi balza a vista, nel breve archivio della mente, la 'storia' di Azzurrina di Montebello, Torriana. La fanciulla scomparve nel solstizio d'estate e, allo scadere di ogni lustro, nella notte più corta dell'anno, salgono dei rumori strani e gemiti dai sotterranei del castello.
Azzurrina era albina e a quel tempo la superstizione la definiva di possessione diabolica. La madre le aveva tinto i capelli, ma il risultato non fu quello voluto. I capelli furono azzurri come gli occhi.
Poi la ragazza sparì, nessuno seppe che fine fece e nel tempo, nei secoli, si avvicendarono varie ipotesi, delle quali non è peregrina, non è da scartare la più atroce. Quella che la ritiene soppressa perché diversa. E si può pensare che il probabile omicidio della poveretta rispondesse alla convinzione mostruosa, allora e a lungo imperante, che il diverso, chi mostrava qualche menomazione fosse vergogna.
Risaslendo la Valmarecchia, verso Novafeltria, appare il cono del monte del castello di Maiolo, che non c'è più, ma resta la sua 'storia', dove una volta salii scarpinando su un sentiero tortuoso e scosceso. Da lassù vedevo il maniero di San Leo, dove fu imprigionato, in una stretta cella e vi morì, il celebre Calliostro. Sembra vicino, ad un tiro di schioppo.
Del castello di Maiolo c'è rimasto poco, anzi meno. Dicono che fosse dirupato per punizione divina insieme ad una parte del monte durante uno dei soliti festini col ballo angelico.
Il motivo del crollo sarà diverso (un terremoto, una scarica di fulmini), ma può essere vero che certi signorotti fossero licenziosi, nobili porconi.
Sono molti i castelli crollati, ridotti in un cumulo di pietrame e conci, spesso depredati per nuove costruzioni. In seguito sono spariti, morti, anche i loro ultimi abitanti, i fantasmi.
Quello di Brancialino, a mezza costa del monte, salendo dalla valle del Tevere verso Viamaggio, era ridotto a mal partito, battuto dai secoli e dall'abbandono.
Quando seppi che era risorto andai a visitarlo approfittando dell'occasione che transitavo nelle vicinanze per tornare a casa. Era di notte e il sonno della natura si adagiava nel silenzio sconfinato. Sentivo la mia solitudine in una dimensione surreale. L'intero castrum mi sovrastava imponente, suggestivo. Pensai che l'architetto Gino Tavernelli, responsabile dei lavori, per risuscitarlo, avesse fatto un balzo da gambero fino al basso medioevo per vederlo non visto, per conoscerlo bene.
Il castello era inaccessibile. Tutto era fermo, non si muoveva foglia. Lo guardavo da sotto e mi sentivo piccolo pervaso dall'inquietudine. La luna batteva sulla vetrata della loggia tra i due torrioni. I fantasmi stavano all'interno nella loro dimora richiamata a nuova vita. Non li vedevo, li percepivo.
Ora mi sovviene un'altra
vicenda che è quella del giovane conte Manfredi di Montedoglio, il quale
s'innamorò perdutamente di Rosalia, figlia del podestà di Colcellalto, un
nobiluccio dei greppi della Valmarecchia. La fanciulla rispondeva con
altrettanto slancio: "a nullo amato amar perdona".
Il potente conte padre
si oppose all'amore del figlio con un veto definitivo, indiscutibile.
Manfredi andava a trovarla e i due, da un balcone guardavano il monte, l'Alpe, che baciava la luna.
"Vedete messere, dicono che lassù ci sia un tesoro, ma quelli che ci sono andati non sono tornati. Se noi lo trovassimo potremmo sposarci senza attendere ad alcun consenso."
Andarono, non tornarono, furono antesignani, come tanti altri di Giulietta e Romeo.
Anche la montagna li ricorda, porta il nome di Alpe della Luna e quando comincia a far buio, sui sentieri che tagliano i calanchi, i boscaioli sentono il galoppo di due cavalli.
Ora si fa largo nella mia mente Matelda, la Vedova Nera dei conti Guidi di Poppi. E' il 1200 o giù di lì. Il signore lasciava spesso sola la bella moglie. Partecipava a guerre e tornei, mentre a lei pesava la solitudine delle lunghe notti. Ma ben presto si dette da fare invitando nel talamo nuziale chi le capitava a tiro. Poi, perché non si sapesse in giro del suo comportamento fedifrago, faceva uscire l'occasionale amante da un passaggio segreto con trabocchetti dove cadeva su spuntoni acuminati.
Dopo qualche tempo, però, i paesani, soprattutto le paesane, forzarono i gendarmi di guardia, presero Matelda e la murarono viva. Così si dice.
Ma non morì il vizio. Infatti nelle notti, nel vano di una finestra del castello, appare il fantasma della donna. Guarda voglioso i giovani che passano.
Ma insomma: esistono i fantasmi? Io professo lo scetticismo di San Tommaso: "Se non vedo non credo."
Quindi, con certezza, credo a quello che m'è capitato.
Transitavo in macchina per l'antica via che da Sansepolcro porta alla riviera adriatica. Ormai ci ho fatto un solco per le volte che la percorro. Come al solito era con me mia moglie. Saranno state circa le ore 23 quando, superato il valico di Viamaggio, si scendeva nell'altro versante e bacino idrografico della Valmarecchia.
Il cielo era nascosto da una spessa coltre di nuvole e noi s'era immersi nella solitudine, nel silenzio, nel buio intatti.
Andavo piano, mi pareva d'essere sull'altare del mondo.
Ad un tratto volsi lo sguardo a sinistra e, alto sul fianco del monte opposto, mi apparve un gran palazzo rinascimentale con una loggia a grandi archi. Rallentai. Andavo a passo d'uomo. Quella costruzione pareva fatta con la leggerezza di un vapore bianco latteo incastonato nella notte.
Pensai fosse una memoria che si era realizzata in una visione. Strano, però, perché in quel posto non c'era mai stato niente, solo sterpaglia, rovi, ginestre.
Chiesi a mia moglie: "Vedi qualcosa lassù?"
"Certo, " rispose e mi descrisse esattamente quello che io vedevo.
Forse quel palazzo, cioè fantasma di palazzo, aveva avuto esigenza di tornare, ma, dimenticatosi dove sorgeva in origine, era capitato su quel monte.
E non l'ho più visto, ma quella volta c'era perché io credo ai miei occhi e credo alla conferma di mia moglie.
Raccontai questo fatto durante una cena.
"Avevi bevuto?"
I discorsi rotolarono nelle risa e negli scherzi.
No. Non avevo bevuto, non è mia abitudine bere alcolici. Inoltre mia moglie è astemia, non beve neanche a Natale, per brindare, mezzo bicchiere di spumante pieno di bollicine. Che sono il sorriso del vino.