ERA UN RAGAZZO DEL '99
Nino, mio lontano parente, è morto nel 1990, a 91 anni. E' stato un testimone del XX secolo, ma anche un attore in prima linea. Io l'ho frequentato poco e me ne dispiace. Ricordo quella volta verso il '70. Ero andato da lui nella casa in mezzo ai campi e, quando arrivai, mi disse che anche la seconda moglie lo aveva lasciato all'improvviso, appena da un mese. Si strinse nelle spalle. "Dio ha voluto così."
Insistette perché restassi a pranzo.
"Grande piacere che tu sia venuto, ripeteva. Ora non so cosa farò. Tirerò avanti, vedi, non ho più quasi nessuno, neanche le vacche, neanche il cane. Andrò in un ricovero, penso che mi prenderanno in cambio della mia pensioncina e di questo poderetto. Ho detto 'quasi' perché ho un fratello emigrato in Francia da quando aveva vent'anni, sposato con figli, più giovane, anzi meno vecchio di me di sette anni, ma lo vedo, se va bene, ogni morte di papa."
Mangiammo pastasciutta con la pommarola fatta dalla defunta, e formaggio con le fave. Bevemmo il suo vino che lasciava nella bocca un gusto rotondo dolce e amaro, che era più vero, buono, di quelli famosi, nobili.
Parlammo a lungo, ma soprattutto parlò lui.
"Vacci piano, mi ammonì. Questo vino scivola svelto, ma batte in testa a chi non lo conosce."
Cominciò a farmi, per sommi capi e dietro mia richiesta, la sua autobiografia. Non si fece pregare.
Ascoltavo con interesse. Ora, secondo i motivi che le sue parole dipingevano, mi fumigava nell'animo la rabbia, altra volta mi inondava la commozione. Certamente quel vino evidenziava i sentimenti. Così conobbi la storia di Nino.
Ricordo.
Era un ragazzo del '99. Ricevette la cartolina precetto nel '17 e fu coscritto anche con la sua altezza, piuttosto bassezza, di 1,64.
Lassù, negli scenari della guerra, il silenzio tremava di paura per la morte in agguato. La trincea era la prima fossa dei morti, che venivano raccolti al buio, furtivamente.
Nino si soffermò, come fosse, di botto, caduto in trance, su un episodio che avvenne in una notte di luna nuova, col cielo in buona parte coperto dalle nuvole. Quella volta, col fucilone '91, che con la baionetta in canna era alto quasi quanto lui, lo mandarono di guardia, in un posto abbastanza riparato, vicino ai cavalli di Frisia. Ad un tratto vide un'ombra avanzare cauta oltre i rotoli del filo spinato. Lui si strinse di più nel nascondiglio e si dispose a sparare. Vedeva e non era visto. Il lampo di un bengala rimbalzò sull'elmetto del nemico. E gli apparve un ragazzo pressappoco della sua età. Era a portata di tiro, gli bastava prendere la mira e piegare l'indice sul grilletto. Ma non aveva la forza di dargli la morte, sarebbe stato come rubargli la vita. E non poteva proprio perché aveva l'impressione che le sue dita della destra fossero paralizzate, percorse dalle formiche in fuga. Vide anche la madre di quel soldatino, che poteva essere suo fratello. Così rimase a lungo col fiato sospeso fino a che, finalmente, spuntò la prima luce dell'alba all'orizzonte. Quindi strisciò come una lucertola e tornò al sicuro nel budello della montagna.
Tante volte Nino aveva rivissuto questo fatto in solitudine. Solo in un'altra occasione lo aveva raccontato durante una veglia in un inverno fascista, intorno ad un gran focolare. Gli chiesero di parlare della sua Grande Guerra ad uno studentello che la stava studiando. Ma lui, tra un bicchiere e l'altro di mezzo vino, cercava di divagare. Disse che, tornato dal fronte, gli era saltata addosso la 'spagnola'..."
"No, Nino, torna al fronte."
Allora non poté scantonare e, quando disse di quella volta, la Menchina, commossa, si alzò dalla sedia e gli stampò un bacio sulla guancia. La qual cosa non piacque a Gero, che, dopo avergli sparato parole come smidollato, sfascista e compagnia bella, se n'andò di fretta senza salutare.
Di seguito Nino visse per qualche tempo sulle spine per paura della spiata. All'epoca erano di moda le spedizioni punitive, l'olio di ricino e il manganello.
Dopo poco tempo sposò la Menchina e toccò il cielo con un dito quando la sua sposa rimase in stato interessante. Ma il cielo gli crollò addosso subito dopo perché il parto generò la morte della madre e del figlio.
Dopo qualche anno, in seconde nozze, per evadere dall'immensità della solitudine, si unì a Concetta, una brava e operosa vedova. Ma anche questo matrimonio durò poco tempo perché la febbre 'asiatica' gli portò via la moglie. Così lui, di nuovo, affogò nella solitudine.
La sua vita è stata all'insegna del lavoro, sempre lavoro. Mai un periodo, neanche breve, lontano da casa, soprattutto la stalla glielo impediva. I suoi giorni erano pressappoco tutti uguali, con poche novità, pieni di ricordi.
Passati un paio di anni io Nino l'ho rincontrato. L'ho visto da lontano nella fotografia all'incrocio della croce. Era al cimitero, nell'ultima trincea.
E mi capita di vederlo lassù, in alto, dove non tramonta il sole, in compagnia del soldatino austriaco, anche lui scampato dalla guerra, dove non ci sono lingue né stati diversi e non ci sono neppure i cavalli di Frisia a dividere le genti col filo spinato.