ILLUSIONE E
REALTA'
Ho ottanta
anni suonati, ma spesso non ci penso, me ne dimentico, vorrei non crederci.
Certamente quando faccio la coda dalla commercialista o negli uffici comunali,
dal dottore per le pasticche o, che so io, allo sportello della posta, allora
me li sento. Li vedo allo specchio, ma lo evito. Invece con frequenza evado
dalla mia età, non voglio sentire la piena del tempo, mi libero dai lacci
inventati dal progresso e metto le ali. Ci vuol poco: mi basta rileggere
qualche pagina de Le avventure di Pinocchio, ancora ragazzo, alcuni giornaletti
che conservo in garage di Mandrake o, meglio ancora, qualche album di Topolino,
giovane alla fine della guerra e mai invecchiato.
Vorrei
riprendere il motoscafo fatto a forza di sgorbia e raspa, modellando un pezzo
di travetto, una settantina di anni fa, come a dire ieri. Dovrei correggerlo e
completarlo siccome galleggiava storto, però non ce la faccio perché il lavoro
è impegnativo e i familiari, gente concreta, potrebbero preoccuparsi per la mia
serenità mentale.
Invece ho
rifatto la fionda, stavolta con una forcella di ferro. E' stata sempre la mia
arma preferita. Una volta ho costruito anche un arco e le frecce con le stecche
elastiche di un ombrello vecchio, ma quest'arma era disagevole, poco pratica.
L'ho nascosta in soffitta dov'è rimasta. Quando la impugnavo mi pareva di
essere un Robin Hood fuori tempo, da far ridere.
Angiolino
Sei passato
dalla luce del giorno a quella del paradiso come a voltare pagina di un libro.
Nel tuo nome c'era il destino e quella mattina facesti la fredda improvvisata.
Mi sembra che il tempo sfumi e che ancora frequentiamo la quarta elementare, ma
io in paese e tu in campagna. In quel pomeriggio assolato di luglio, come altre
volte, siamo stati insieme a giocare nel campo dietro casa dove si trovavano le
schegge della guerra. Tu, a piedi nudi, correvi come un 'lepro' (lo chiamavi
così perché dicevi che la lepre è la moglie). Eri più veloce di me che avevo le
scarpe e, per stuzzicarmi, mi dicevi 'signorino'. Con un temperino avevi fatto,
con l'ornello, delle forcelle perfette per la 'frombla'.
“Si dice
fionda”.
“No, la mia
mamma dice frombla.”
Abbiamo
piantato per terra un bastone e gli si è messo sopra un barattolo vecchio, come
fosse un cappello, che fungeva da bersaglio e quando, ogni tanto, si colpiva,
faceva un suono sordo, quasi un lamento. Dopo qualche tiro, alla tua arma si è
spezzato un elastico.
“Era
fracico.”
“Si dice
fradicio.”
“No, la mia
mamma dice fracico.”
Si sostituì
l'elastico tagliando una fetta di camera d'aria rossa (quelle rosse erano le
migliori) di bicicletta e continuammo la guerra contro il barattolo.
Era bello
gareggiare con quell'arma e penso che tu continui ad usarla anche in paradiso
lanciando la sfida a tutte quelle brave persone nel tempo libero, che faranno
salti di contentezza. Lassù, dove c'è la perfezione dell'ordine, non trovi di
certo barattoli vuoti, buttati via, di fagioli o sardine, ma farai il bersaglio
con un'aureola dismessa o col disco della luna, che, comunque, è già
bucherellata.
Il ginocchio
alleato dello
specchio
La fionda ce
l'ho ancora, la tengo nella cassetta degli attrezzi e non la porto in tasca
quando, su prescrizione medica, vado a camminare. E' pesa e ingombrante: io non
ho trovato un ramo di ornello adatto a fare una forcella pratica, leggera, con
la giusta apertura. Però faccio ancora le gare, ma le vivo nello schermo della
mente, con Angiolino che torna di corsa a piedi nudi, che ripete le parole del
vocabolario materno (sono belle, colorate), così è come allora e io sono
ragazzo, ho rotto il tempo e mi sento dentro una sfera magica.
Qualche
volta passo dietro quella casa, saluto l'amico da lontano, entro nel bosco,
percorro gli antichi sentieri ormai praticati soprattutto dai cinghiali.
E canto
perché mi piace, ma in sordina, dove non c'è gente, perché sono stonato. Ma
giorni or sono mi prolungai in un acuto del 'Granada' di Claudio Villa. Allora
venne fuori dal folto di ginestre e scope un uomo col paniere, che mi guardò
sorridendo:
“Se ragli
così i funghi scappano via perché hanno paura.”
Quando il
viottolo si presta mi viene voglia di correre, anzi è meglio dire di fare
footing, così sono à la page e ho diritto di cittadinanza nella presente
esterofila evoluzione linguistica.
Accelero, ma
freno subito perché al primo zompo cigola il ginocchio destro, mi duole, devo
fermarmi, così volo da 10 a 80, più veloce di una sassata con la fionda. Perché
il corpo ha un suo linguaggio perentorio e, anche lui, proclama che sono
vecchio.
Franco Ruinetti
Illustrazioni di Man