ERANO GLI ANNI '49 – '50
Sotto quell'aiuola c'è tanta
fanciullezza. Passavo da lì, dietro l'antica chiesa, mi sono fermato e
d'improvviso m'è apparso il passato. Alla mia età i luoghi parlano spesso, sono
pieni di ricordi. E quel largo spiazzo ondulato vestito dall'ombra del vecchio
ippocastano, oggi silente, assorto nel primo pomeriggio, allora, qualche passo
dopo la guerra, era terra nuda, fiorita di ragazzi, quindici o venti, che
alzavano il chiasso all'unisono, come guidati dalla bacchetta di un maestro di
musica.
Su quella zona del giardino, una pettata
che si appoggia all'interno delle mura medioevali, ci si ritrovava tutti, in
ogni stagione, tempo permettendo, subito dopo pranzo, puntuali come al suono
della campanella la mattina davanti alla scuola. Si faceva il giro d'Italia con
le palline per la maggior parte di terracotta. La pista che si snodava tortuosa
come una gran serpe tra
valichi e valli era lunga una cinquantina di metri.
L'aveva fatta un manovale
con la zappa e, in certi punti, anche con la calce. Era un uomo che poi spesso
assisteva alle gare. Si trattava di una specie di budello profondo al massimo
dieci centimetri dove correvano le biglie sospinte dai concorrenti. Il loro
motore era il dito indice che scattava sul pollice o viceversa. Bisognava
calibrare giustamente la forza del 'pizzico' per non fare sbalzare il
'corridore' fuori dal tracciato, nel qual caso restava indietro. La
partecipazione costava due o tre palline a ciascuno, che costituivano il monte
premi per i vincitori.
Giovannone era il concorrente più
grande, aveva fatto le tre medie in sei anni, si specializzava. Metteva in
pista una biglia di acciaio, bella lucente, chissà dove l'aveva presa. Era
Coppi, forte passista, ma in salita pesante, meno agile della mia Bartali di coccio.
Ogni tanto avvenivano discussioni animate, ma, quando parlava lui, gli altri
stavano in silenzio. Era il regolamento in persona. E, spesso, si dilettava a
fare la radiocronaca, specialmente quando il suo capitano era in testa: “...un
uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto
Coppi.” E io ci soffrivo, ma mi prendevo la rivincita sul Tourmalet e sulle
Alpi dove con frequenza riuscivo a scollinare per primo e poca importanza aveva
il fatto che i Pirenei non fossero in Italia. Quando Coppi tagliava il
traguardo davanti a tutti gli altri, gli avversari dicevano: “Ha preso la
bomba”, senza sapere cosa fosse.
Io ci avevo pensato, forse era uno zabaione
rinforzato parecchio col vinsanto, che a me piaceva e qualche volta la mia mamma
me l'aveva fatto al mattino per darmi un po' di carica. Uno dei più piccoli
concorrenti si chiamava Giannino, che perdeva sempre, ma non si preoccupava
perché le sue tasche erano gonfie di palline. “Tu sei Malabrocca, lo apostrofò
un compagno, tutti i giorni maglia nera.” Il ragazzetto non si scompose: “Uno
deve arrivare ultimo, non lo sapevi?”
Sotto l'aiuola festosa di fiori e
colori, che si distende sulle modulazioni di quella salitella, dove oggi si
snodano ordinate le siepi di bosso, è bello vedere la mia fanciullezza, sentire
echeggiare le voci dei miei compagni. Ho sostato a lungo guardando nelle
lontananze del ricordo, troppo a lungo perché, d'improvviso, mi sono accorto
che lì da presso, sulla panchina, che quella volta non c'era, amoreggiavano due
fidanzatini. Allora la nostalgia ha voltato pagina, ho capito di essere
importuno e mi sono allontanato fingendo di non averli visti.
Franco Ruinetti
Illustrazioni di Man