Pietro Crocchioni vive e lavora a Perugia e rappresenta uan delle espressioni piu' interessanti del composito universo artistico umbro. E' artista da sempre, prima studente dell'istituto statale Bernardino di Betto poi apprezzato fotoreporter per il giornale "La Nazione". Un connubio creativo che lo ha portato a lavorare come fotografo di giorno seguendo la cronaca e dipingendo spesso di notte. Molti i suoi "scoop" fotografici e anche i premi vinti nei concorsi di pittura o in estemporanee in tutta Italia.
Oggi si dedica a tempo pieno alla pittura e partecipa ai piu' importanti concorsi italiani ottenendo riconoscimenti e premi. Fra questi ricordiamo il primo premio assoluto al Premio Celommi di Roseto degli Abruzzi nel 2014. Piu' volte premiato anche al Premio Nazionale FighilleArte.
Nel 2018 Perugia gli ha dedicato una importante mostra personale presso l'ex Chiesa della Misericordia in occasione dei sui 50 anni di carriera. Dal 2017 entra a far parte della collezione permanente del Piccolomuseo di Fighille.
l'opera vincitrice del Premio Celommi a Roseto degli Abruzzi nel 2014 |
Cosi' scrive della sua arte Sandro Allegrini presentando la mostra perugina del 2018: "....le tele di Crocchioni aiutano a comprendere il
mondo, anche se, a loro modo, contestano il reale, adeguandosi a parametri di
geometrismo e perfezione che la gente comune non conosce.
Quasi volesse convincerci che il mondo è più bello di come abitualmente lo
vediamo. Tele che non rassicurano, ma turbano, perché ci interrogano e ci
rimproverano per il nostro modo di percepire la realtà: da impiegati, non da
poeti.
A quelle opere in mostra mal si adatta il termine “antologica”. Se è vero che la parola significa “cogliere fior da fiore”. La chiamerei piuttosto “silloge”, ossia “raccolta”. Perché – con straordinaria onestà – c’è un po’ di tutto, non solo “il meglio” di Pietro. Attraverso quelle opere si colgono gli inizi, gli studi di nudo in Accademia, le immagini familiari, i bollori della contestazione sessantottina, fino alle sfide più recenti.
Crocchioni visto da Fernanda Freddo |
A quelle opere in mostra mal si adatta il termine “antologica”. Se è vero che la parola significa “cogliere fior da fiore”. La chiamerei piuttosto “silloge”, ossia “raccolta”. Perché – con straordinaria onestà – c’è un po’ di tutto, non solo “il meglio” di Pietro. Attraverso quelle opere si colgono gli inizi, gli studi di nudo in Accademia, le immagini familiari, i bollori della contestazione sessantottina, fino alle sfide più recenti.
L’arte di Pietro è democratica. È impossibile non
avvertire la vagonata d’amore che ci investe davanti al trittico perugino (in
pagina): non solo un rigoroso skyline, ma un’interpretazione della città, còlta
nel suo essere la casa degli uomini e il libro della storia, squadernata in una
narrazione intensa, magica e ruvida, come solo sanno essere i profili e i
travertini della Vetusta. Pietro sfacciato e timido: lui che ha immortalato
milioni di volti e che è sempre in imbarazzo nel mettersi in posa davanti alle
sue creature. Pietro disinvolto e sensibilissimo, specie quando l’amico, per
dileggio, fa prova di non apprezzare il suo lavoro. Allora si chiude a riccio e
s’impermalisce. Poi, tutte le volte, finisce in una risata complice e
liberatoria. E la natura. Ho visto decine di volte Pietrino
frequentare le estemporanee di pittura, il suo lavoro open air, impaziente e
nervoso (quasi col panico di non farcela) quando, in poche ore, distilla il suo
quadrato con incluse le caratteristiche di luoghi noti o sconosciuti: una
magistrale striscia di rosso, il giallo e il blu. Una macchia bianca, una nera:
forse un gabbiano, forse una rondine o un corvo."