sabato 30 maggio 2020

Rassegna FA2019 (49)

Rassegna delle opere presentate al Premio FighilleArte2019 - sezione opere da studio......


venerdì 29 maggio 2020

Rassegna FA2019 (48)

Rassegna delle opere presentate al Premio FighilleArte2019 - sezione opere da studio......


giovedì 28 maggio 2020

Rassegna FA2019 (47)

Rassegna delle opere presentate al Premio FighilleArte2019 - sezione opere da studio......



mercoledì 27 maggio 2020

Rassegna FA2019 (46)

Rassegna delle opere presentate al Premio FighilleArte2019 - sezione opere da studio......

 


martedì 26 maggio 2020

Nel letto (by Franco Ruinetti)





NEL LETTO



Normalmente sono a letto dalle 23 alle 7. Non chiudo la serranda così ho l'universo nella cornice della finestra, proprio come un gran quadro col vetro. Quando è spalancato il sereno e quando c'è, vedo prepotente, sempre protagonista, la luna, talvolta a tutta circonferenza, sennò in forma di falce. A questo astro, soprattutto i poeti, hanno dato, a rimorchio, un cospicuo numero di aggettivi giusti e suggestivi. Io, astronomo e poeta da guanciale, dico la mia: bugiarda, contagiosa, bella.

Mi spiego: vuole fare credere di camminare per "i sempiterni calli" come una lumaca, di essere prudente, ma non è vero, in realtà fugge a scavezzacollo. Al proposito, mi viene la rima baciata 'passeggera menzognera'. E auguriamoci che trovi sempre la strada libera perché nel caso di un incidente succederebbe l'apocalisse.

Inoltre: la gran lampada della notte non ha luce propria come vorrebbe far credere. E' solo uno specchio che raffredda e fa rimbalzare i raggi del sole.

Mi chiama, ha una forza segreta. E' priva d'aria, d'acqua, di vita e il suo cielo è nero. Ma che ci sta a fare col suo moto perpetuo a costo zero? Ormai sappiamo alcune cose. E' la calamita che provoca le maree, ma ha influenze, non così tanto appariscenti, anche negli umani. Illanguidisce gli innamorati. Talvolta la sua luminosità ipnotica evoca in me il licantropo, ma non posso ululare sennò faccio schizzare dal sonno mia moglie.

Però non c'è che dire: è soprattutto bella e consolatrice. Chiede, pretende attenzione per distrarre dalle cure che appesantiscono le giornate e che ci portiamo dietro. Non dice niente, ma nel suo silenzio s'accende l'infinito dell'incantamento.
 
Con la luna nuova, che non si vede padroneggiare sul trono del cielo, è tutta un'altra cosa. Faccio passeggiate intersiderali tra luci a forma di margherite nell'immenso prato blu con pupille vive che compaiono tra battiti di palpebre. Corro da una parte all'altra del firmamento come niente fosse e vorrei conoscere, sapere, ma anche se fossi farcito di studi quanto certi scienziati e astronomi, so che conoscerei solo qualche pagina di un gran libro.

Alle 6, per buona parte dell'anno, quando apro gli occhi, la luce ha già spento le stelle e il primo mattino, salutato da qualche passerotto cittadino, ha l'aria trasparente, nuova. Voglio pensare che sia come quella di quando il mondo era giovane, immacolato.

Il giorno sbadiglia nella finestra che guarda verso l'oriente, ma non mi alzo. Ho ancora un'ora di rodaggio, nella quale vado-vengo nella dimensione del dormiveglia. Spesso non capisco se viaggio nel sogno o nella verità. E di quello che succede nella mia testa non ricordo tutto, mi restano dei lampi. Mi sono rivisto bambino nel miracolo sempre nuovo dell'alba, mentre giocavo con le scatole delle scarpe, che le figuravo come autotreni. Per questa e altre apparizioni mi sono convinto che nulla va perduto nella corsa degli anni, ma tutto si conserva nelle lontananze del cielo. Poi una volta, dopo il tramonto delle stelle, ho rivisto l'amico Lodovico, che, a diciotto anni, con la motocicletta, precipitò in una scarpata e finì direttamente lassù, nel cielo del mattino. M'ha fatto piacere rincontrarlo dopo tanto tempo e non m'importa se può essere stato soltanto un fantasma del sonno.

Alle 7 suona la sveglia, questo moderno gallo a batteria che, se non le do una botta in testa, non smette di strepitare. Allora scendo dall'aurora e torno sulla terra dove sono contento di sedermi a colazione in compagnia di moglie, figlio, gatto.

Il resto è prosa.
Franco Ruinetti

lunedì 25 maggio 2020

Gli spilli di maneglia (406)





...lente prove di ripartenza, con l'estate alle porte e il virus in agguato sotto l'ombrellone!

sabato 23 maggio 2020

Rassegna FA2019 (45)

Rassegna delle opere presentate al Premio FighilleArte2019 - sezione opere da studio......



martedì 19 maggio 2020

Pareti di casa mia (by Franco Ruinetti)





PARETI DI CASA MIA.

Ogni parete della mia casa è come la pagina aperta di un libro che parla di me, degli incontri, degli amici e della mia famiglia. In cucina ci sono appesi i calendari con le lunazioni, con i santi, con la durata dei giorni e c'è quello di Frate Indovino con la frutta di stagione, con i consigli assortiti. Un altro calendario è pieno di gatti di diverse razze che sono, da sempre, i capi di casa. In camera da letto balza agli occhi un dipinto su vetro. E' un tramonto struggente nella solitudine del bosco innevato di un naif slavo, che ebbi occasione d'incontrare diverse volte. Poi tra santi e madonne fatti ad olio, con l'acquarello o col carboncino, c'è capitata la litografia di un nudo di donna che il prete giudicò stonata quando passò a dare la benedizione pasquale.

Non mi soffermo sui muri delle altre stanze, che pur documentano motivi della mia storia, mentre indugio nel locale che abbiamo sempre chiamato 'lo studio', che è un termine, almeno per me, solo parzialmente appropriato perché io ho studiato durante tutta la vita, ma ad avanza tempo, in quanto ho spesso dovuto fare cose più urgenti. L'impegno libresco assoluto, sempre a mio parere, era per i privilegiati che disponevano di un angolo tutto per loro, del silenzio, della volontà e non avevano i grilli nella testa, che invece cantavano nella mia.

Nella suddetta stanza le pareti sono coperte dai quadri e da vari, diversi, motivi.

Dato che mi sono interessato a pittori e scultori per oltre quarant'anni, posseggo tante opere anche di autori lontani. Gli intonaci risultano chiazzati, variopinti, ora i colori rimbalzano squillanti, ora si muovono con tenui cadenze di luce. Molte le vignette, le amenità di quel burlone, stramaturo, ma ancora ragazzo, Enzo Maneglia, il noto MAN, i cui dipinti e disegni, le cui acrobazie mentali occupano un bello spazio. E' sua una fanciulla in fiore, lieve come una farfalla. E' ancora sua un'anziana donna contigua, distesa sulla sabbia, che indossa un ridicolo bikini. Sembra di piombo. Si tratta della stessa modella riconsiderata dopo 50 anni. E', questa, una figura, vien da dire, amarognola, che sveglia il sorriso a bocca stretta, proprio dell'umorista di razza.

 

Qua e là s'affacciano alcuni miei ritratti eseguiti da diversi artisti. Non mi convincono. Penso che, con me, lo specchio sia più clemente.

C'è un dipinto che dovrò decidermi a sostituire e stipare sopra la libreria. Propone una donna molto incinta, troppo.

Dentro una cornice a cassetta, protette dal vetro, ho sistemato, in bella vista, due sponderuole, realizzate, forse cent'anni fa, dal falegname Panicucci, che è rimasto negli annali del villaggio, Fighille. E' ricordato perché lavorava recitando La Divina Commedia o L'Orlando furioso e perché la sua bottega era un punto di ritrovo più frequentato dell'osteria. Morì prima di invecchiare. Io non l'ho conosciuto, mentre ho conversato più volte con sua moglie, donna di taglia forte e che, sempre vestita di scuro, ha portato il lutto per trent'anni. Era simpatica, originale. Una volta, parlando di corna, sentenziò:

"Perfino i topi sbagliano spesso topa."

Sopra la porta si vede, dipinto, un vaso di vetro che ha la vita dei riflessi. Sembra che offra dei fiori campestri e sul piano del tavolo sono sparse delle viole. E' una bella esecuzione che l'artista, ormai ingiustamente disperso nell'ombra, aveva realizzato su una larga mattonella di ceramica, nella quale aveva praticato un foro per reggerla e appenderla con un cordino. Io la sistemai in una robusta cornice giudicandola un'opera d'arte, non un caciocavallo.

Tre quadri cosiddetti 'a giorno', purtroppo aggiornabili, che sono le mie lapidi alla memoria, propongono fotografie di numerose persone, una folla. Si tratta di amici e colleghi che via via sono trasvolati nell'infinito. E non sono tutti. Tra loro nomino Italiano che ha un'aria sospesa come se tirasse il fiato mentre si sporge dalla finestra. E' stato un mio grande compagno di vita. Quando superai il concorso per passare di grado mi regalò un elegante prosciutto con la cravatta.

Al centro di questo cimitero privato si afferma possente il Colosso di Barletta, che, con la mano destra, alza la Croce al cielo.
Franco Ruinetti

lunedì 18 maggio 2020

Gli spilli di maneglia (405)





...da oggi ulteriori riaperture
Continua la corsa verso la normalità che appare comunque lontana!

sabato 16 maggio 2020

Un'opera di Doriano Tosarelli entra nella collezione del Piccolomuseo di Fighille


 

La stagione 2020 del Piccolomuseo di Fighille continua con una nuova importante acquisizione. Entra nella collezione della pinacoteca umbra un'opera di Doriano Tosarelli. Originario di Fratta Polesine ove vive e lavora, è presente sulla scena artistica dal 1970. Si afferma come uno degli artisti piu' stimati e conosciuti del Polesine. Le sue opere sono presenti in tutte le piu' importanti manifestazioni e fiere d'arte contemporanea in Italia e all'estero, in particolare negli Stati Uniti.
Sono innumerevoli le mostre, personali e collettive, allestite in Italia cosi' come la partecipazione ai piu' importanti concorsi d'arte nazionali. Tosarelli è anche fondatore e direttore artistico del Premio Fratta Polesine. 
L'artista ha voluto donare al nostro museo l'opera di seguito riprodotta: 

l'opera donata al Piccolomuseo di Fighille

L'opera donata da Doriano Tosarelli diventa cosi' la n.210 del catalogo generale del museo. 

La sua è una pittura che potrebbe essere definita di "surrealismo cromatico" in cui la forza dell'emozione viene marcata dalle spatolate veloci che aprono l'opera. Cosi' parla della sua pittura Marta Lock: "la pittura unica di questo artista veneto, talmente veneto da non ritenere possibile non immortalare immagini delle città simbolo della sua regione, si muove a metà tra realtà e visione, dove la visione è comunque uno sguardo romantico su ciò che l’occhio osserva. I suoi paesaggi sembrano a volte luoghi sospesi nel tempo, in una dimensione onirica che lascia immaginare un mondo fantastico che si può trovare qui e ora tanto quanto dall’altra parte del mondo e in un’altra epoca, un mondo che induce alla riflessione proprio per quel suo essere calato tra le nuvole, nel rassicurante buio lunare."

Nei prossimi giorni seguiranno ulteriori approfondimenti.



mercoledì 13 maggio 2020

Rassegna FA2019 (44)

Rassegna delle opere presentate al Premio FighilleArte2019 - sezione opere da studio......


martedì 12 maggio 2020

Don Giuliano (by Franco Ruinetti)


DON GIULIANO


Era benvoluto da tutti, don Giuliano e lui voleva bene a tutti, anche ai più rossi, perfino quando li avevano scomunicati. Lo conobbi a Pratieghi dove andavo una volta all'anno, a settembre, per cercare i funghi, che altri raccoglievano mentre io non ne vedevo neanche uno, ma, in compenso, nell'accogliente ristorante casereccio trovavo sempre tagliatelle fatte con la sfoglia tirata a mano nella spianatoia col matterello, condite con un sugo il cui sapore usciva di casa con l'aroma dall'irresistibile richiamo. E poi trovavo i crostini con maghetti e fegatini di pollo che, come quelli, li sapeva fare solo la mia povera mamma. Li mangiavo con voglia e nostalgia.
Ma ho deragliato e torno a don Giuliano. Che era un prete mingherlino destinato a quella parrocchia tra i monti alla sorgente del Marecchia da quando celebrò la prima Messa. Aveva il candore di un bambino. Lo andavo a chiamare per offrirgli il pranzo e lui veniva, ma accettava solo un goccio di vino annacquato. Parlava, seduto al mio fianco, tenendomi la mano. E quello che diceva mi è restato a stampa nella memoria.
Mi raccontò che, all'età di sei anni, figlio unico, era rimasto orfano di ambedue i genitori, che trascorse la fanciullezza, l'adolescenza, la prima giovinezza nei seminari e in un convento. Gli si illuminavano gli occhi quando ricordava sua madre come una lontana e fuggevole apparizione della Madonna.
"Don Giuliano, si è mai innamorato?"
Mi strinse la mano. Ci pensò:
"Se non vivessi d'amore non sarei un uomo, non sarei un prete. L'universo intero, che è più grande di quanto lo possiamo pensare, non è un mistero, è amore."
"Le manca la famiglia?"
"Io mi sento padre, fratello, nonno dei miei parrocchiani. Non mi manca, anzi: la mia famiglia è numerosa. E si è allargata perché vado anche nelle chiese viciniori, dove, purtroppo non c'è più il prete."
Un giorno mi portò a visitare la sua chiesa, che mi parve bella proprio perché essenziale, francescana.
Poi ho saputo che quella volta lo portarono di corsa all'ospedale di Arezzo. Fu ricoverato in condizioni di salute preoccupanti.
Dopo alcuni giorni di degenza insistette per tornare a Pratieghi, ma i medici cercarono di dissuaderlo. Lui non si arrese, doveva celebrare le funzioni del periodo pasquale. Allora firmò per essere dimesso assumendosene la responsabilità. Quella firma credo che gli abbia aperta la porta del paradiso, anche senza la bolla papale.
E' stato sepolto nel cimitero locale, piccolo e ordinato giardino dei morti. I parrocchiani lo hanno voluto nel centro in un'arca di marmo a rilievo. Da lì può vedere la chiesa e benedire la sua grande famiglia.
Io sono tornato a Pratieghi dopo tre anni, solo per andare da lui perché avevo l'impressione che, di tanto in tanto, mi chiamasse. Non per altro motivo. Infatti, ormai, ho definitivamente rinunciato a cercare i funghi e, dato che il medico mi ha prescritto una dieta severa, non entro in quel ristorante dalla cucina antica, buona come l'aria e l'acqua della montagna.
Don Giuliano non aveva parenti consanguinei eppure, dopo tre anni dalla morte, sul suo sepolcro, c'era un mazzo di fiori freschi.
Franco Ruinetti