In prossimità del secondo anniversario della scomparsa vogliamo rendere omaggio alla figura dell'artista Giorgio Rinaldini,
per anni protagonista della scena artistica nazionale e amico della
nostra associazione, riproponendo alcune sue celebri opere e alcuni testi
critici a lui dedicati.
Con questo testo il prof. Franco Ruinetti introduceva il catalogo della sua mostra personale presso il Piccolomuseo di Fighille nell'aprile 2004:
Questo pittore usa le ali del pennello per volare
nei colori della poesia. I quali sono eterei eppure tenaci, soffusi e tuttavia
profondi. I colori sono vibrazioni di campane, diceva Emil Nolde, d’argento e
di bronzo, sono veicoli di sentimenti. Questi di Rinaldini si espandono come
soffi impalpabili, che s’addensano e dileguano.
Ora si afferma, più o meno insistente, qualche
parvenza figurale, che ha luce propria, bella e sospesa, quasi una visione o un
miraggio, indefinita, che sembra sul punto di scomparire. Ogni quadro è una
nuova avventura, direbbe Braque, dall’atmosfera giovane e trasparente, in cui
il sorriso della dolcezza stempera la malinconia.
opera premiata nel concorso FighilleArte del 2008 |
Si può considerare pittore figurativo, ma è meglio
non catalogare. Talvolta si vedono approdi nelle musiche dell’astratto, con i
colori portati dal vento. Non sono subiti leggibili, ma l’attenzione che
insiste conquista le immagini, comprende, entra dentro. Aveva ragione Paul
Valery sostenendo che il merito più sicuro per giudicare una pittura è di non
riconoscervi, da principio, nulla. Ecco, compaiono, tra i fiori della memoria,
che non sono Liberty, piuttosto assumono
significato di simboli, voci pudicamente segrete e accorate, una
finestra, un muro, una teoria di casa ormai lontane nel tempo. È un paese,
spesso presente che, ricordando Pavese, vuol dire non essere soli.
I suoi dipinti sono echi del reale, che passa perché
il tempo consuma tutto, mentre la verità si ferma nella mente e rinasce col
linguaggio dell’arte, con le luci delle emozioni. Pittura, quindi, derivante
dal mondo aperto dell’esperienza, dalla vita, che cerca le luci nell’infinito
mistico del silenzio. La tematica è ampia. Certi argomenti ritornano, quasi
un’idea fissa, mai uguali a se stessi. La vastità del discorso figurativo si
evince anche da qualche titolo. “Pensieri nel Blu”, “Sogno liberatorio”, “Il
Castello dove nessuno spera”, “Paese-luna con Chagall”, “Interni nell’interno”.
Questi lavori sono eseguiti dal vero, che è soprattutto quello interiore. Sono
il risultato di una filtrazione, che conferisce le proprietà levitanti della
lirica ed è il motivo fondamentale della continuità stilistica.
l'opera con cui vinse la Biennale di Soliera (Mo) nel 1977 |
Talvolta gli esiti sembrano più prossimi alla
tradizione figurativa. Si può ricordare una marina con le cabine, gli
ombrelloni, il giallo della sabbia confinante con l’azzurro del mare. È
esplicitamente comprensibile, ma del “solito” c’è ben poco, perché la vista
spazia sospinta dalla brezza e tutto è sereno, luminoso, dolce in un mattino
della giovinezza. Pare un sorriso che viene dalla distanza degli anni, mai
spento, recuperato con i colori della nostalgia.
Giorgio Rinaldini, professionista serio, ha lavorato
da sempre, ogni giorno, al cavalletto. Preferisce il linguaggio dell’olio, ma è
esperto in ogni versante delle tecniche. Alcuni volti realizzati con gli
acquarelli oppure al tratto, seppur veloci, lampi d’occhiate, non vanno
considerati solo studi o appunti. Sono opere che recano compiutamente
l’impronta dell’autore.
Rinaldini al lavoro nel suo studio ritratto da Enzo Maneglia |
La pittura trae forza dal disegno, anche quando
questo non si vede. Il segno corre fluido, dà respiro ad immagini a tutto
tondo, terrene quanto immateriali.
Le cromie dei quadri sono invitanti. È con piacere
che ci si ferma di fronte. Sono le luci della memoria. Dapprima comunicano
soltanto note di vari colori, bene accordati; portano via il pensiero, che si
trova all’improvviso altrove, con stupore, in una cucina, tanto per fare un
riferimento, nell’immediato dopoguerra. Lo dice il piatto di metallo smaltato,
portalampada, sospeso al centro della stanza, lo rivelano le sedie, la credenza. Siamo tornati
indietro, in un’altra dimensione della vita. Le vibrazioni atmosferiche
prendono forme di suppellettili e mobili, in alto, nel ricordo della
fanciullezza.
E con una certa frequenza, come un’apparizione e con
la veste candida, ritorna un’adolescente. Un fantasma della mente, espressione
di grazia e di delicatezza, di bellezza tenera. Forse è il primo amore,
soltanto fatto di luce e fiori. Visione diafana, nella serenità del celeste. È
un’illusione, figura non vera, ma vorremmo lo fosse.
Franco Ruinetti