martedì 5 maggio 2020

Nel pensatoio (by Franco Ruinetti)


NEL PENSATOIO


Mia moglie legge i gialli, li compra all'ingrosso. Ho preso in mano quello che la impegna attualmente. Si tratta di una vicenda triste che si svolge in 600 pagine, dal peso di un chilo e cento. Invece a me questo versante della letteratura non piace perché non mi divertono i morti ammazzati. Ma una volta mi sono cimentato per conoscere quel mondo. Quando sono giunto a metà già gli omicidi erano più di quelli della Uno Bianca. Cotanto lutto mi ha dissuaso dal proseguire. E ho presto dimenticato quella trama articolata, da parte mia incompleta, mentre ricordo bene un fatto marginale, cioè che il detective si appartava nel 'pensatoio'. Non sapevo che questo potesse esistere, ma scoprii di avercelo anch'io. Però il mio, più precisamente era e continua ad essere anche il rammentatoio, che è seminascosto nell'angolo della camera da letto perduto nell'ombra, a finestra chiusa, dove, dopo aver pranzato, mi abbandono nella poltrona. Raramente mi perdo nel sonno. Nell'alato leggero dormiveglia mi compaiono talvolta delle riflessioni, ma perlopiù dei cortometraggi della memoria con gli scorci del passato. E certi avvenimenti, scene, li ripasso forse perché non scivolino nella cecità della nebbia.




La Laura


Nell'ora della siesta, affogato nel silenzio e nell'abbraccio della poltrona, sono disperso nell'immobilità, ma la mente non riposa. I fatti più o meno lontani rompono il buio. Ecco, mi rivedo a studiare con la Laura, l'unica con la quale ho provato a studiare in tandem. In casa c'era il gatto certosino acciambellato sul divano. Si stava gomito a gomito con i libri sul tavolo. 'Soli eravamo e senza alcun sospetto.'

"Che fai, t'incanti?"

La guardavo, ma fingevo d'essere assente, lontano col pensiero, mentre mi stropicciavo il mento. I suoi capelli neri, un po' mossi, lanciavano riflessi, schegge di bagliori improvvisi e mutevoli.

Lei leggeva a mezza voce, riflessiva. Poi obiettò: "Ma come scrive questo qui: -inobliabile!- E' una parola evasa dal secolo scorso...."

"Lascia perdere, chi parla così è uno che la sa lunga."

Si studiava, perlomeno si leggeva sul libro della letteratura Le confessioni di un italiano.

"Facciamo così, comincia te, ripeti quello che ho letto."

Ma io ero interessato ad altro.

"Mi piace pensare che la Pisana avesse i tuoi occhi."

"Cosa hanno i miei occhi?"

"E la tua bocca", insistetti.

"Anche? Cos'ha la mia bocca?"

"Sono un invito e una delusione."

"Delusione!? Tu vai a spasso con le parole, non hai voglia di studiare."

"Ho voglia di baciarti."

Mi pentii subito di avere fatto una richiesta fuori luogo, rimasi muto guardando nella finestra spalancata il giorno che moriva dissanguato. Aspettai una reazione. Che non venne. Quindi ripresi coraggio, azzardai.

"Soltanto sulle labbra, la brezza di un bacio, lucciola d'amore."

"Soltanto? Giura."

"Lo giuro"

Mantenni la promessa. Quasi. Perché la mano fece una corsa sotto la gonna.

"Eh, no! Questo non era nei patti", esclamò scansando quella mano.

"Hai ragione, ti chiedo scusa, ma l'istinto acceca la ragione, non me ne sono accorto."

"Ora vado a casa, non ce la faccio più a studiare."

Ci alzammo per uscire. Ma prima di aprire la porta:

"Ah, fece la Laura portandosi la mano alla fronte come per sottolineare di essersi ricordata di una cosa, ti restituisco la tua lucciola."

Quindi se ne andò, senza fretta, mentre io ero lì completamente imbambolato.

Il giorno dopo non andai a scuola. Mi presi un anno sabbatico, anche di più. Rividi la Laura dopo tre o quattro mesi nella via Maestra del paese. Passeggiava sottobraccio ad un giovane robusto, palestrato. Parlava e rideva. Quando fummo vicini si girò verso di me con disinvoltura e strizzò l'occhio. Io mi sentii imbambolato come allora, ma risentii anche la dolcezza trafugata dalla mia mano nel tepore che covava sotto la gonna.

Poi, mezzo intorpidito, nella poltrona, ho saltato in lungo alcuni decenni per incontrarla al supermercato. Quella volta feci una figuraccia perché lì per lì non la riconobbi. Fu lei a chiamarmi.

"Come, non mi riconosci?"

"Ma certo, sei sempre uguale, il tempo per te non passa."

Mi esibii in bugie galanti. Quando, d'improvviso, mi si accese un lampo della memoria.

"Ricordo la lucciola."

"Fu bello, speravo che non mi lasciassi andare, ma tu non insistesti."

Non sapevo cosa rispondere Mi sentivo ancora una volta imbambolato. Quella ragazza, quella donna, certo senza volerlo, mi annullava il senno.

Ecco: le cose sono andate così, come ho riferito e ne ho tratto la conclusione, spicciolo di filosofia. Ho pensato che ogni evento può svilupparsi in varie direzioni e noi abbiamo le briglie, ma non conosciamo la strada.

Di tanto in tanto riprendo in mano la Storia della letteratura italiana di Mario Sansone, risento la voce modulata della Laura giovane fino a quando inciampò sull'aggettivo 'inobliabile'.


Franco Ruinetti