martedì 12 maggio 2020

Don Giuliano (by Franco Ruinetti)


DON GIULIANO


Era benvoluto da tutti, don Giuliano e lui voleva bene a tutti, anche ai più rossi, perfino quando li avevano scomunicati. Lo conobbi a Pratieghi dove andavo una volta all'anno, a settembre, per cercare i funghi, che altri raccoglievano mentre io non ne vedevo neanche uno, ma, in compenso, nell'accogliente ristorante casereccio trovavo sempre tagliatelle fatte con la sfoglia tirata a mano nella spianatoia col matterello, condite con un sugo il cui sapore usciva di casa con l'aroma dall'irresistibile richiamo. E poi trovavo i crostini con maghetti e fegatini di pollo che, come quelli, li sapeva fare solo la mia povera mamma. Li mangiavo con voglia e nostalgia.
Ma ho deragliato e torno a don Giuliano. Che era un prete mingherlino destinato a quella parrocchia tra i monti alla sorgente del Marecchia da quando celebrò la prima Messa. Aveva il candore di un bambino. Lo andavo a chiamare per offrirgli il pranzo e lui veniva, ma accettava solo un goccio di vino annacquato. Parlava, seduto al mio fianco, tenendomi la mano. E quello che diceva mi è restato a stampa nella memoria.
Mi raccontò che, all'età di sei anni, figlio unico, era rimasto orfano di ambedue i genitori, che trascorse la fanciullezza, l'adolescenza, la prima giovinezza nei seminari e in un convento. Gli si illuminavano gli occhi quando ricordava sua madre come una lontana e fuggevole apparizione della Madonna.
"Don Giuliano, si è mai innamorato?"
Mi strinse la mano. Ci pensò:
"Se non vivessi d'amore non sarei un uomo, non sarei un prete. L'universo intero, che è più grande di quanto lo possiamo pensare, non è un mistero, è amore."
"Le manca la famiglia?"
"Io mi sento padre, fratello, nonno dei miei parrocchiani. Non mi manca, anzi: la mia famiglia è numerosa. E si è allargata perché vado anche nelle chiese viciniori, dove, purtroppo non c'è più il prete."
Un giorno mi portò a visitare la sua chiesa, che mi parve bella proprio perché essenziale, francescana.
Poi ho saputo che quella volta lo portarono di corsa all'ospedale di Arezzo. Fu ricoverato in condizioni di salute preoccupanti.
Dopo alcuni giorni di degenza insistette per tornare a Pratieghi, ma i medici cercarono di dissuaderlo. Lui non si arrese, doveva celebrare le funzioni del periodo pasquale. Allora firmò per essere dimesso assumendosene la responsabilità. Quella firma credo che gli abbia aperta la porta del paradiso, anche senza la bolla papale.
E' stato sepolto nel cimitero locale, piccolo e ordinato giardino dei morti. I parrocchiani lo hanno voluto nel centro in un'arca di marmo a rilievo. Da lì può vedere la chiesa e benedire la sua grande famiglia.
Io sono tornato a Pratieghi dopo tre anni, solo per andare da lui perché avevo l'impressione che, di tanto in tanto, mi chiamasse. Non per altro motivo. Infatti, ormai, ho definitivamente rinunciato a cercare i funghi e, dato che il medico mi ha prescritto una dieta severa, non entro in quel ristorante dalla cucina antica, buona come l'aria e l'acqua della montagna.
Don Giuliano non aveva parenti consanguinei eppure, dopo tre anni dalla morte, sul suo sepolcro, c'era un mazzo di fiori freschi.
Franco Ruinetti