DALLA TV AD ABELARDO
L'amore è il motore
del mondo, dell'universo, lo dice Dante e c'è da credergli, non fa notizia e
non deve scandalizzare. Questo pensai quando la Barbara D'Urso televisiva, dal
cuore in mano, propose nel suo salotto aperto a milioni di spettatori,
gettandola in pasto a certi invitati arcinoti sputasentenze, la notizia di
alcune suore incinte, quindi donne consacrate, chiuse o quasi nei conventi. Mi bastò
conoscere l'argomento della discussione per spegnere la TV, ma non il motivo.
Allora, ricordai la bella e grande storia di Abelardo ed Eloisa, che
periodicamente mi viene voglia di rileggere e penso rispondano a verità tutti i
fatti che riempiono le pagine. E' una vicenda, almeno in gran parte,
documentata, non soltanto letteraria e poetica come quella di Giulietta e
Romeo. Lui era chierico (come lo sarà, più avanti Francesco Petrarca),
filosofo, teologo benedettino, uomo di grande cultura, ammirato e avversato,
che ancora oggi gli studenti incontrano nel corso degli studi liceali. Lei,
nipote di Fulberto, canonico di Notre Dame, era una giovane non solo precoce,
anche procace. E non sto a farla lunga, s'innamorò perdutamente del suo
maestro, ben più attempato, ma la differenza di età non conta quando il
sentimento è travolgente, quando l'amore è imperativo.
Ebbero un figlio e lo
chiamarono Astrolabio, che è un nome impossibile, ma bello perché vuol dire
'colui che abbraccia le stelle'. Che fine fece questo pargolo non lo so, non ho
indagato, non mi interessa. So che lei si fece o fu fatta suora, poi badessa
del convento. E so quello che capitò a lui, che l'aveva segretamente sposata
benché il suo ruolo non glielo consentisse. Avvenne che, per ordine di Fulberto,
una notte, quattro uomini entrarono nella sua camera e, mentre tre lo
inchiodavano nel letto, l'altro, il castrino dei maiali, lo evirò. Così si
compì l'atroce vendetta dell'ecclesiastico zio. L'umiliazione per il filosofo
fu grande e, da allora sembra non abbia più visto Eloisa. Ma il loro amore
continuò. Ne sono testimonianza le lettere che si scambiarono 'usque ad
mortem'. Esse sono belle e contagiose, parlano di un sentimento padrone
incontrastato del corpo e dell'anima, atto puro, al di sopra delle convenzioni
e convenienze, oltre i sensi e il sesso, che continua anche nelle tenebre
oppure nelle aurore dell'aldilà. E' passione libera, trasparente innocenza, è
il desiderio più alto, quello cioè di volere il bene dell'altro, pertanto non è
peccato e il solo pensare così nell'undicesimo secolo, al centro del medioevo,
è cosa incredibile. Neanche il più alto di tutti i poeti giunse a tanto perché
condannò all'inferno Paolo e Francesca, benché ne provasse profonda pietà.
Nemmeno per questi due innamorati della Divina commedia il confine ultimo della
vita rappresenta la fine della passione, che continua nel mondo ultraterreno.
Ora vengo al mio
incontro con loro. Questo mio desiderio si è realizzato l'ultima volta che fui
a Parigi. Dissi ad un collega:
"Vieni con me,
andiamo in un bel posto."
Così lasciammo la
comitiva e ci dirigemmo al cimitero monumentale Père Laschaise.
"E' vero: m'hai
portato in un bel posto, al camposanto!"
Pensai che avevano
pensato bene di celebrare la storia di tanto amore con un tempietto, che,
considerando il loro tempo doveva, però, essere intonato al romanico piuttosto
che al gotico.
Allo stanco collega
rappresentai sbrigativamente la vicenda dei due titolari di quel monumento, che
vivono ancora il loro grande amore. Dissi anche che, nel corso di un'ispezione,
furono trovate le ossa degli scheletri incrociate, come in un abbraccio eterno.
Così riferì Victor Hugo.
Sempre più stanco e
scocciato, il mio amico mi chiese:
"Ma, insomma,
questi due che facevano?"
"Facevano gli
amanti."
"Bel mestiere!"
Franco Ruinetti