mercoledì 8 gennaio 2020

Nella sala di attesa del dentista (by Franco Ruinetti)



Nella sala di attesa del dentista 


“Signori, armatevi di pazienza, ci vuole un po' di tempo.”

Così disse una bella ragazza comparsa nella sala d'attesa, assistente alla poltrona del dentista, tutta bionda, in giacchetta bianca, con uno scampolo di minigonna colore turchese, come un cielo surreale, che faceva da vetrina a certe gambe abbronzate talmente in salute da dare alla testa.

La guardai e riflettei sull'avvertimento. Pensai che quella giovane ci vedesse doppio perché in quella stanza ero solo, mentre lei aveva parlato al plurale.

Presi, sul tavolo, una delle tante riviste, l'aprii a caso e mi misi a leggere senza interesse. Quindi arrivarono due signore di mezza età, mi salutarono con gentilezza. Le informai che c'era da aspettare.

“Abbiamo l'appuntamento.”

Tornò l'infermiera con quella sottanina che faceva gran fatica a contenere tutta quella roba e, sorridendo, disse alle nuove venute che, purtroppo, l'appuntamento slittava.

“Campa cavallo che l'erba cresce!” mi scappò detto.

La giovane mi colpì con un'occhiata nero di china, poi dette un colpo di sedere, quindi scomparve dietro l'uscio. Forse avrei dovuto stare zitto, forse no, comunque mi passò per la mente che, anche se il mio intervento era stato infelice e le era andato di traverso, lei era bella lo stesso.

Quelle due si misero a chiacchierare in presa diretta e mi destarono dalla lettura svogliata. Le loro voci non erano a tutto volume eppure riempivano la stanza. Rimisi la rivista sul tavolo. Allora m'accorsi che a parlare era sempre la solita, l'altra annuiva, interveniva talvolta a monosillabi, stirava un mezzo sorriso.

Il discorso filava. L'argomento non mi interessava, ma mi incuriosiva il soggetto, lei, rossa dai capelli alle scarpe, con le labbra bordeaux. Esprimeva grande competenza nel campo della moda, ma, per quanto la riguardava era oltre Valentino, Dolce e Gabbana, Trussardi e altri che non ricordo. Si vantava di non essere una presenza omologata, fotocopia creata dallo stilista, non un clone, non una replica come tutte e tutti, che sono dei rimorchi al traino. Aveva un eloquio sciolto, usava, a parere mio, una terminologia appropriata in quell'argomento per me nuovo perché io mi sono sempre vestito soltanto per necessità e decenza.


Nel raggio di sole che entrava dalla finestra aperta guardavo muoversi il pulviscolo, che mi pareva aria fritta come le frasi che mi piovevano addosso. Volevo pensare ad altro, ma facevo fatica, quella voce monocorde persisteva, poi rimbalzava in capriole nel cervello e, di tanto in tanto, tenzonava col trapano del dentista che rosicchiava i denti, il cui sibilo passava per la porta chiusa.

“Il mio look, che ha echi nel cappotto della Cleo, la cagnolina, continua nella presenza di mio marito con accordi, riflessi, così da stabilire armonia spirituale e fisica. La gente ci guarda... vedi, anche quel signore mi guarda.”

“E' vero, m'è passato il mal di denti.”

Pensavo che una come quella potesse essere capace di mettere gli orecchini scarlatti anche al marito.

“Oggi sono in sintonia col sole. Sai, guardo il cielo appena nasce il giorno, mi adeguo, sono figlia della meteorologia.

Chiusi gli occhi tentando ancora di assentarmi nel dormiveglia. La fragolona ripeteva che la bellezza è armonia ecc. ecc., ma lei mi pareva solo una marionetta tra ridicola e penosa. Pensavo che non aveva altro da pensare: alzarsi all'alba per decidere come abbigliarsi! Mi passavano davanti agli occhi gli accordi, le risonanze tra lei, il cane, il cielo e il marito. Per contrasto mi veniva in mente Gosto dalla voce come il “tuon di maggio”. Era il bifolco, che è diventato un insulto. Ribaltava i campi, aveva la canottiera, di lana greggia filata e fatta a mano con i ferri da sua moglie. Così mi sforzavo di evadere, tornare ragazzo, nel dopoguerra e, a tratti, le parole di quella donna si allontanavano diventando sottofondo di quell'Ercole che mi sembrava un semidio uscito dall'Iliade, la cui presenza, per via di quell'indumento, faceva pendant con le pecore. Ma inutile: il presente coprì di nuovo il passato della memoria quando quella, con tutta disinvoltura e col consueto tono vocale, disse, cambiando bruscamente rotta, che, per contrastare il normale procedere dell'età, aveva deciso di passare dal chirurgo plastico per rinforzare i glutei, il culetto. E tacque perché l'infermiera spalancò la porta:

“Signor Franco venga, tocca a lei.”

“Dalla padella sulla brace”, mormorai.

E la voce del trapano successe a quella dell'esteta.

Franco Ruinetti