Conobbi Enzo Maneglia (Man) nel '73. Ero appena
arrivato a Rimini dopo aver trascorso una manciata di anni sul lago di Garda.
Non importa e non ricordo l'occasione dell'incontro, era scritto nei nostri
DNA. Più si battibeccava, più si bisticciava e più eravamo amici. Il nostro è
un sodalizio vivo, neanche l'ammucchiarsi degli anni lo ha mitigato,
al contrario, lo ha reso piccante. Già a quella data lui era personaggio
impegnato e conosciuto, collaborava con settimanali satirici a grande tiratura,
che non esistono più da un pezzo. Di tanto in tanto ne raccoglie il testimone
qualche editore locale o al massimo regionale, ma tira il fiato con i denti.
Era un big che faceva incetta di primi premi partecipando ai concorsi del
settore. Una volta, sceso dal podio, schizzò improvvisa la caricatura della
miss che lo aveva omaggiato con un bacio al merito. Quel disegno, che m'è
rimasto impresso, rappresentava la felicità della giovinezza con le labbra dai
baci giganti come quelle della Mussolini, della Parietti e della Valeria
Marini.
Ci siamo incontrati spesso nelle redazioni di giornali
e riviste. Da qualche tempo un po' meno, mentre è frequente che ci vediamo al
ristorante con famiglie o amici. E mi si accendono nella mente scorci di
memoria. Come quando, alla spiaggia, disegnava sulla pelle delle bagnanti (solo
femmine e giovani, naturalmente) gli amorini. Era bravo anche in quel
campo, sempre professionale e discreto per natura, ma anche perché, se si fosse
spinto, avrebbe incontrato l'allocuzione 'non placet' della moglie Lydia.
Quelle figurine erano vivaci, non indelebili come i tatuaggi. Scomparivano nel
mare con il primo tuffo.
Talvolta mi viene da provocarlo perché le reazioni
dell'umorista a tempo pieno sono spilli che pungono anche se non lasciano tracce.
“Quello era un verde smeraldo.” “No, gli rispondo, era un verde oltremare.” Mi
corregge: “Era il tipo di verde più luminoso che ci sia, un composto inorganico
di sintesi... Ma il verde oltremare come è?” “Non lo so.” Mi tirò un'occhiata e
ingranò la marcia del disappunto: “Il tuo verde è quello della bottiglia di
Chianti.”
Una volta eravamo in gita con alcuni amici. Lo sfidai
alla corsa stabilendo il traguardo ad una quercia distante una cinquantina di
metri. Lasciai che nel primo tratto mi precedesse. Capii che aveva meno benzina
di me. Quando fummo in prossimità della meta accelerai per superarlo, ma
l'amico mi afferrò alla cintola e giunse primo. Alle mie rimostranze rispose
scantonando nella cultura: 'à la guerre comme à la guerre', evocando perfino
Macchiavelli: 'il fine giustifica i mezzi'.
Io e lui contiamo ciecamente uno sull'altro, ripeto:
non siamo mai andati d'accordo e non abbiamo mai interrotto il nostro rapporto
perché ha le fondamenta sulla reciproca stima. Dovremmo non parlare di politica
perché è un campo minato, ma è impossibile, soprattutto a lui, che per mestiere
strapazza, col disegno, i signori del Parlamento, dà ad essi nuova linfa,
quella dell'umorismo, col sorriso che si muove a regime di brezza.
Sempre, quando s'interpone nel dialogo un movimento
politico, un onorevole o presunto tale, lui parte in tromba, rotola in discesa
e conviene aspettare che la piena passi. Il bello è che dopo tanti incontri e
scontri ancora non ho capito da che parte sta e penso, come diceva il suo omologo
della parola, lo scherzoso Giuseppe Giusti, abbia da dieci a dodici coccarde in
tasca. Però non è un opportunista. Poi a quei personaggi delle accese
conversazioni si dissolve il fumo della passione, si rasserenano, diventano
piacevoli e simpatici pupazzi inquilini di quei bidoni belli, colorati, scrigni
del pensiero, non più cassonetti.
Io e lui siamo insieme ancora una volta, dentro questo
libro, l'uno a fianco dell'altro, gomito a gomito, io con la penna, lui con la
matita e il pennello, come a dire in due mondi diversi per non pestarci i
piedi, ma negli stessi argomenti. Abbiamo recuperato momenti e motivi distanti,
briciole di ricordi, reperti venuti a galleggiare nel presente destinati
anch'essi ad inabissarsi subito nel gorgo del silenzio.
Franco Ruinetti