venerdì 25 gennaio 2019

PSS....(by Franco Ruinetti)




Era il cane del professore, bastardo puro, di media taglia, a pelo lungo, nero come l'inchiostro di china, vecchio quasi quanto il fedele Argo dell'Odissea; non era stato battezzato e il padrone lo chiamava Pss” che non era un nome, ma un ordine. 
Da anni e annorum non era più uscito, viveva quasi sempre sdraiato sotto una tettoia in quei quattro passi di giardino privato e di notte o col tempo inclemente andava in una cuccia confortevole nel corridoio. 
Il padrone gli faceva visita almeno due volte al giorno, gli voleva bene, con dignità, mantenendo la distanza. Anche quell'uomo era stagionato, aveva quasi ottant'anni, ma ne dimostrava qualcuno di meno e lui, da quando era cucciolo, lo aveva sempre considerato nonno.

Nel fiore della giovinezza e oltre Pss poteva sostare composto, in silenzio, nello studio pieno di libri mentre l'insegnante impartiva ripetizioni, così aveva imparato tante cose e nei lunghi ozi le ripensava. Il suo problema era la solitudine devastata dal silenzio con le macerie dei ricordi. Meno male che ogni tanto saltava il muro un gatto bianco giovane, garbato, un po' vanitoso come spesso sono i belli. Lo accoglieva con piacere, gli offriva le sue crocchette e l'acqua della bacinella. 
Fecero amicizia. 
Il micio gli si acciambellava nel pelo folto della pancia e pareva una manciata di neve su un mucchio di carbone. Parlavano molto, senza parole, perché gli animali s'intendono lo stesso. Quello che si dissero è solo immaginazione. Per sapere tutta la verità avrebbe dovuto essere presente un laureato in lingue mute che, benché siano stati inventati tanti corsi universitari, ancora quello non c'è.


“Sono pieno di solitudine, diceva “Pss”, che è il mio male, la mia condanna.”

“Ma, chiedeva il gatto, il professore non ti porta mai a spasso in libera uscita per l'ora d'aria?”

“Mai. Mi ci portava quando ero giovane, così correvo, vedevo il mondo, salutavo i colleghi, scambiavo occhiate con le cagnoline, firmavo i muri per dire a tutti che esistevo.”

“E perché smise di portarti fuori, cosa hai combinato?”

“Io!? Niente. Il motivo deriva dalle leggi animalesche.”

“Non capisco, spiegati meglio.”

“Una volta che io deposi sulla strada i miei avanzi intestinali un vigile fece la multa e da allora è cominciata la mia prigionia”.

“Il vigile ha fatto il suo dovere, è il professore che non lo ha fatto perché doveva raccogliere il tuo prodotto.”

“Io lo capisco, replicò il cane. Un uomo di quel rango non può umiliarsi a raccogliere il mio scarto, anche se con il guanto di plastica. E comunque le cose stanno così: il mio mondo è diventato stretto per colpa di quella maledetta legge.”

A questo punto il gatto sollevò la testa inorgoglito.

“Noi, invece, possiamo circolare liberi e nessuno ci fa la contravvenzione perché interriamo sempre, con scrupolo, le nostre deiezioni. Siamo nati civili, con la legge incorporata.

Franco Ruinetti