QUASI UN CONSUNTIVO
E' da quando ero in terza classe elementare che non scrivevo più il riassunto della mia vita oltre la scuola o il diario. Allora lo assegnava, come compito a casa, il giovane maestro Botta, che è un bel ricordo all'orizzonte del tempo, morto da poco, intorno ai cento anni. Era bravo, frequentavo le lezioni volentieri. Non procedeva nel programma se tutti non eravamo al passo. In un tempo in cui le bocciature erano normali anche in prima elementare, lui non bocciava.
Assegnando quel compito (che poteva avere vari titoli (Cosa ho fatto ieri dopo la scuola oppure Diario degli ultimi giorni) Botta voleva sapere come si passava il tempo libero per conoscerci meglio. Io parlavo di mia mamma, che faceva da mangiare e tagliava, cuciva i vestiti per me e mia sorella. Parlavo di mia nonna, sempre vestita di nero, che spesso mangiava la pappa col pomodoro perché non aveva 'né spine, né ossi', che firmava piano piano con la croce e, alle votazioni, mise la croce su tutti i simboli dei partiti per non fare torto a nessuno. Una volta raccontai che una domenica pomeriggio la portai al cinema. Allorché sulle schermo passò silenzioso un funerale, lei si fece il Nome del Padre e mormorò una preghiera.
Scrivevo di qualsiasi argomento, dei calci negli stinchi durante le partite di calcio, che una notte avevo visto il diavolo con la lingua di fuoco, che non mi piaceva il baccalà (a quel tempo costava poco) e lo mangiavo per non fare torto a mia madre che lo preparava con amore.
Allora, per lo più, nel compito scrivevo la cronaca di un giorno, che corrisponde ad una capriola del mondo intorno a se stesso. Ora, una tantum, il compito me lo assegno da solo. Giunto in prossimità dell'occidente, voglio riflettere, per quanto m'è consentito, su qualche motivo occorsomi durante il percorso che ho fatto, a cavallo del pianeta dove sono capitato, intorno al sole, per otto e più decenni, ad oltre 100.000 Km orari.
E già qui comincio a perdere il comprendonio, non ci ho mai capito niente. Ma mi conforta il fatto che anche i grandi geni, affogano nel tempo e nello spazio.
E' così: nacqui con i semi delle domande, che crebbero fino ad essere alberi senza i frutti Avevo fretta di diventare grande per l'illusione che gli adulti sapevano tutto: perché c'erano, chi erano, dove andavano a finire. Ero filosofo in nuce, cercavo le risposte che erano ermeticamente nascoste nella nebbia della mente.
La mia fanciullezza è stata una favola bella e triste. Occhi tondi, colmi di stupori, volti verso l'alto luminoso e vuoto. Ricordo i periodi, due o tre giorni, di febbre, durante i quali dovevo restare a letto, sempre solo in quella grande camera. Di notte sentivo il fornaio cantare: 'libiamo, libiamo ne' lieti calici che la bellezza infiora...'
Sul fare dell'alba il barrocciaio parlava ad alta voce con la cavalla, come fosse sorda, mentre le sistemava i finimenti.
Passò il periodo dei perché. La prima e seconda adolescenza furono il periodo più spensierato. O più stupido. Galleggiavo alla deriva nella vita. Nessuno poteva prendermi per la cavezza. Non ce l'avevo. Ero il centro del mondo. Una mattina, quando la primavera esplodeva nei giardini, nei boschi e mi rimescolava il cervello, convinsi quattro amici a saltare la scuola. Di conseguenza ci sospesero, ma io non tornai più in classe, studiai da solo, soprattutto di notte, quasi di nascosto.
Nell'arco della maturità mi sono impegnato molto, m'è mancato il tempo per fare tutto quello che m'è capitato in testa. Cose belle e brutte, ma il diario o il riassunto non è il confessionale. Ora tiro qualche somma, come a dire: faccio un inventario all'ingrosso. Mi sono sposato una volta sola, fedele per pigrizia. La convivenza si è svolta ad intermittenza, tra le burrasche, anche baruffe e gli stagni delle bonacce. Salute buona, non ho fatto un giorno d'ospedale. In vecchiaia qualche pillola, poche, non sono convinto che siano l'elisir di lunga vita, penso che se da una parte giovano, da un'altra parte provocano danni.
Ho fatto qualche viaggio. Più volte sono tornato nell'antico Egitto, che m'ha stregato. Ma soprattutto ho navigato nei libri per spaziare, con la vista che ho, in varie direzioni.
Nella trasvolata dell'esistenza me ne sono successe di tutti i colori. Ora non voglio rammentare le tinte tristi di quando annaspavo nell'oscurità.
Mi innamorai presto di Eva, che era la prima ed unica ragazza al mondo. Aveva un altro nome. Con me non mangiò la mela. E ci rimasi di stucco quando seppi che aveva incontrato il vero Adamo col quale mangiava tutte le mele del melo.
Ma così è la vita: raramente ho avuto quello che volevo, invece m'è capitato, non so quante volte, quello che non meritavo. Va a capire!
Ecco: d'inverno sono sempre aumentato di qualche chilo, d'estate dimagrivo. Mia moglie diceva che avevo la pancia a fisarmonica.
Ora continuo a briglia sciolta. Ho vissuto più giorni felici o infelici? Per me sarebbe come a dire: ho fatto più discese o più salite? Penso che Berlusconi abbia trovato una strada favorevole. Ma certamente non esiste una regola valida per tutti.
Nello schermo della mente si alternano motivi anche lontani, eterogenei. Mi vedo ragazzo, quando avevo un amico incredibile. Si trattava di un albero di fico vetusto dal tronco enorme screpolato. Sorgeva sul ciglio del campo dietro casa. Vi salivo facilmente e mi mettevo seduto su un comodo ramo. Guardavo le foglie, mani grandi aperte al sole, alla pioggia, al vento. Non c'è più quell'albero da anni e anni, ma mi capita che per distrarmi dalla malinconia ci salgo ancora agile come allora.
Il mio lavoro è stato quello di insegnante. Cominciai nelle elementari e ho finito come preside di liceo. M'era capitato di salire un altro gradino, ma non ne approfittai. Il mio primo incarico fu in Puglia, in un paese addosso alle Murge. Tutti gli scolari avevano le stelle negli occhi. Compresi che il miglior metodo per insegnare, nessun pedagogista l'ha scritto, è quello di voler bene a tutti i ragazzi. Così, per quanto è dipeso da me, (come Botta) non ho bocciato nessuno.
Di allora voglio ricordare solo Pupillo. Ripetente cronico, era arrivato in quinta a 14 anni. Frequentava due o tre volte alla settimana. Arrivava quando poteva, mai in orario. Viveva in una masseria, aiutava il padre nei lavori dei campi. veniva a scuola col cavallo, che era buono, grosso, un maggiorato fisico. Lo lasciava in un angolo dell'orto abusivo del custode, dietro il grande edificio dalla facciata fascista. Una mattina il custode mi prese a parte per lamentarsi che quella 'bestia' faceva 'lo sporco', ma ne faceva tanto. Gli spiegai che doveva essere contento per quel concime gratuito. Niente da fare, a casa sua non voleva 'quello scostumato'. Ma quando gli suggerii, serio, di portargli l'orinale sembrò sgonfiarsi e se ne andò borbottando come una pentola di fagioli in ebollizione.
Pupillo: appena conseguita la licenza elementare mi portò un cestello di vimini con le uova. Non ho saputo più niente di lui. Spero che la vita gli sia stata maestra migliore della scuola.
Ma ora basta scorribandare nel passato, non voglio più parlare di giorni lontani sotterrati nel tempo. Già: il tempo: trasforma tutto, ha cambiato anche me, che da adolescente avevo guizzi azzurri di libera pazzia, poi gli anni mi hanno messo il giogo e sono diventato un altro.
E vengo ad oggi. Il sole, che è nella costellazione del leone, declinava verso i monti.
Era l'ora dolce, raccolta dell'Angelus e io stavo seduto su una panchina di legno prossima ad un muretto basso sopra il quale transitavano, come su una superstrada, file disordinate, orde, di formiche. Ce n'era una vecchia, obesa, incedeva con difficoltà. Vigliacche le colleghe, non si preoccupavano di lei, avevano fretta. Addirittura qualcuna non la evitava, le passava sopra.
Anche gli umani, spesso, si comportano come quelle formiche, non possono perdere tempo.
All'orizzonte il sole intonava, bella e struggente, la propria agonia con nuvole rosse e nere, mentre nel concavo cielo insisteva la memoria azzurra del primo mattino.