mercoledì 3 aprile 2019

Flake e Tizzo (by Franco Ruinetti)

 

FLAKE e TIZZO

Liberi di girare per casa, nel chiostro interno, ma anche nella strada, soprattutto di poltrire in salotto, due gatti maschi vivevano insieme nella stessa famiglia coccolati dalle figlie che studiavano ad alta voce così anche loro avevano imparato qualcosa. Quello bianco lo chiamavano Flake, quello nero era Tizzo. Il primo era sempre sereno, mangiava, dormiva, faceva le fusa, non era mai sazio di carezze. L'altro era ombroso, sull'orlo dell'esaurimento e, siccome i giorni correvano tutti uguali, secondo lui, la vita durava solo 24 ore. Così Tizzo meditò a lungo la fuga e una volta, prima di pranzo, scappò, raggiunse furtivo la periferia, si dette alla macchia e alla libertà vera e assoluta.
Da allora il tempo non fu più lo stesso per loro due. Quello di Tizzo era pieno: si dava da fare per cercare gli alimenti, che comunque trovava. Stava sempre allerta per prevenire agguati.
Quello di Flake era diventato un abisso di vuoto, di lunghi silenzi, solitudini penose anche per l'assenza delle ragazze andate via a continuare gli studi. Quindi decise di evadere da quella situazione almeno per un po', di cercare Tizzo. E così fece. Giunse nel bosco, trovò le sue tracce, lo vide sul ramo di una quercia. Fecero nasino.
“Che bello rivederti!”
“Anche per me.”
“Stai bene, sei ingrassato!”
“La fatica è tanta, ma non mi manca niente. Resta qui, il posto è grande, tutto per noi”.
“No. Non voglio fare il barbone.”
“Io non appartengo a quella categoria che campa a spalle degli altri. Ho scelto d'essere un primitivo, di vivere secondo natura. Ho ripudiato la civiltà che ti dà molto, ma ti toglie moltissimo: ti lega con una ragnatela di laccioli e spesso, sempre più spesso, ti strappa anche la virilità.”

Stettero insieme l'uno appoggiato all'altro in una unione di vita, nella musica delle fusa, come quando erano in poltrona o sul letto. Ogni tanto parlavano con miagolii sommessi, ma comunicavano anche senza l'uso della voce. La luce del giorno faceva il suo corso, ma loro erano lontani dal tempo.
“Torna a casa, qui, prima o poi, muori dal freddo o azzannato da una volpe.”
“Qui sono vero, mangio quello che capita: lucertole, uccelli, topi. Ho lanciato, in una notte incantata, nel folto della boscaglia, gli acuti dell'urlo e trovato l'amore, non quello delle ragazze, che è un'altra cosa, ma quello che crea il futuro. Non torno anche se m'insegue il ricordo dell'amicizia, che è il sentimento più puro che ci sia. Invece ti ripeto: rimani.”
Flake era tormentato: dopo l'operazione non sapeva se era ancora un gatto. Era tentato di restare con Tizzo, ma il calore della famiglia, le seduzioni della civiltà erano forti. In più aveva un debito di riconoscenza perché lui e il fratello erano stati salvati dall'inceneritore quando li tolsero dal cassonetto e poi li allevarono col biberon. Guardò Tizzo, fecero nasino e prese la strada del ritorno. Camminava lento, meditabondo, quando vide trascorrere un topino. Allora fece un balzo, lo acchiappò, gli sentì fare l'ultimo fremito, poi lo depose dietro un cespuglio, perché lui era abituato alle crocchette griffate. Però rifletté che aveva fatto la caccia, quindi aveva ancora la stoffa del gatto o, almeno, del quasi-gatto.
A casa, durante i lunghi ozi, affogato nelle piume dei guanciali oppure in grembo alle padrone era pervaso dal ricordo. Lo pensava, risentiva la sua voce che gli scaldava il cuore, mentre piangeva senza il conforto delle lacrime. Tornò ancora nel bosco, ma non trovò più le sue tracce. Non lo rivide. “Chissà a che fine sarà andato incontro il coraggioso rivoluzionario della comodità?” Nelle lunghe e penose riflessioni stabilì che lui non era né un leone, né una pecora. Aveva saputo che un individuo in libertà ha la vita più corta, allora si chiedeva: “Meglio sarebbe essere un leone o una pecora? E io chi sono?”
Le ragazze, tornate a casa, lo baciavano e carezzavano. Anche le loro amiche, che lo tenevano in grembo, lo spupazzavano amorevolmente. Ecco, gli venne l'illuminazione, si convinse e rassegnò: “Sono una bambola. “


Franco Ruinetti