mercoledì 12 febbraio 2020

Le mie sere (By Franco Ruinetti)

 

Ma da che ora comincia la sera? Per molti già subito dopo mezzogiorno, per me, invece, dopo la cena, insomma dallo spegnersi del crepuscolo, cioè da quando cala il buio e dura fino a mezzanotte, quando i due giorni si danno la mano. In questi ultimi tempi le mie sere sono spesso solitarie perché mia moglie va a dormire con le galline e io chiedo compagnia alla televisione, ma è raro che mi interessi, allora la spengo e prendo un libro, però mi stanco presto, lo lascio a bocca aperta e non mi resta che pensare, ricordare, rivivere.

Dagli amici chiassosi a quelli dei silenzi 

Appena finito di cenare nessuno, nell'età dell'adolescenza, poteva tenermi in casa, neanche i divieti di mia madre. Andavo ai giardini in tutte le stagioni e con ogni tempo. Mi univo ai compagni, più o meno numerosi. La consistenza della brigata dipendeva in gran parte dalla meteorologia. Io avevo in tasca due o tre sigarette, che vendevano anche alla spicciolata. Si fumava per essere più grandi. Allora la droga non era ancora arrivata, almeno non nella nostra compagnia Ogni tanto qualcuno la nominava, ma la si pensava lontana, roba da ricchi.

Eravamo tutti maschi. A quel tempo, di notte, le ragazze non si vedevano, ma erano frequente argomento di chiacchiere, in genere molto fumo e poco arrosto.

Si parlava di calcio, io ero l'unico per la Fiorentina, ma se perdeva non ne facevo una croce. Gli altri erano per il bomber Nordahl o per Boniperti. Ma le discussioni più accese vedevano protagonisti Bartali e Coppi, per i quali si escogitavano giustificazioni acrobatiche quando venivano preceduti, per esempio, da Magni o Clerici.

Si passeggiava, si sostava intorno a qualche panchina fino all'una o alle due e, d'inverno, il fiato faceva la condensa. Tra di noi alcuni erano garzoni di bottega, alcuni erano studenti o quasi, come me, altri operai, altri ancora con le mani in tasca in attesa di lavoro o di partire per Francia, Svizzera, Germania.

Il giovane Chiodo, cosiddetto per la magrezza, era l'unico fanatico per il pugilato. Tifava per il campione del mondo Roki Marciano. All'improvviso tirava cazzotti a chi gli era vicino, saltellando, senza affondare. Una volta, però, mi dette un pugno sul braccio, con la nocca, che mi fece vedere le stelle. Io risposi con un ceffone. E la cosa non finì lì perché lui si mise in guardia e ne seguì un match, nel quale mi scoprii bravo a schivare i colpi. Però l'incontro durò poco perché i compagni alzarono un polverone di chiasso per incitarci, tanto che un uomo in pigiama, dal balcone, ci lanciò una catinella d'acqua, che fu come il suono del gong. Infatti noi, improvvisi avversari, ci convertimmo in alleati nell'indirizzare parolacce all'innaffiatore dei nostri bollenti spiriti. 

 

Le ore notturne erano libertà, ci allungavano il giorno e la vita. Ci si accontentava di far tardi e stare insieme in un mondo che allora era diverso e, al giorno d'oggi, c'è chi dice che si stava meglio quando si stava peggio, chi tornerebbe indietro e chi non ci tornerebbe. Ma sono discorsi inutili perché il tempo corre e marcia solo in presa diretta.
Ecco: un lunedì mattina tuonò a ciel sereno: fui colpito dalla notizia e rimasi meravigliato, stordito. Venni a sapere che dietro l'orizzonte si preparava a venire al mondo mio figlio. A ragion veduta, poi la colpa si trasformò in merito perché fu lui il motivo per cui detti la svolta al mio modo di vivere. Infatti, non cambiai l'abitudine di precipitare nelle notti, ma cambiai la compagnia. I nuovi amici, quasi tutti, ora provenivano da altre ere. Erano pochi i contemporanei. Riempivano le mie nuove sere, li incontravo nelle pagine dei libri e incidevano le loro voci nel silenzio. Così ero fermo e viaggiavo; nella solitudine facevo grandi conoscenze.

Correva allora il periodo della ripresa, del miracolo economico e anche a me, per una volta, la dea bendata spostò la benda e strizzò l'occhio perché riuscii a far fronte ai miei impegni. Però dovetti allontanarmi dal paese per qualche anno, andare in Puglia, distante, dove la luna, che vedevo dalla finestra sul mare, mi pareva più vicina. 

Le sere solitarie 

Poi gli anni sono fuggiti, il passato si è spento, ma non nella memoria. Alcuni di quegli amici notturni sono in terra o sotto terra lontana, altri chissà dove sono, altri ancora li guardo quando passo davanti alle lapidi e mi guardano. Ora, per loro, la notte del mondo non finisce più. Incontro, talvolta, Chiodo, che è in carrozzella. Lo saluto e sorride, gli parlo e sorride.

Io non ho perso l'abitudine di tirare tardi la sera, almeno fino a quando il giorno passa il testimone e rinasce. Raramente ho trascorso quelle ore al bar, alla televisione, al cinema o con i colleghi. Le ho passate e tuttavia le passo su una comoda poltrona che, da quanto l'ho usata, ho dovuto cambiarle il vestito e m'è venuta bene. Specialmente in questi ultimi anni m'ha sopportato di più in quanto la televisione, che è in cucina, la considero solo per le notizie giornalistiche, però mi fermo davanti a lei, volentieri, anche quando irrompe Sgarbi, per la cultura e l'anticultura.

Sto lì, nello 'studiolo'. Consumo le ore parcheggiato nascosto in quell'angolo della casa e della notte, dove, ogni tanto, m'arriva la voce del mondo tradotta nella lingua di un cane che è sull'attenti e dorme con un occhio solo. Leggo e rileggo, tra gli altri Dante e Collodi, alcune satire di Orazio in gran parte già tradotte perché è calata la nebbia sul mio latino.


E così non sono spiritualmente solo. Anche gli autori che conosco da quando ero ragazzo hanno sempre in serbo delle novità, parlano, sono con me.

Sere fa, ad esempio, trasvolato sull'ermo colle, mi trovavo dietro la siepe seduto di fronte al Leopardi, il teorico del male di vivere. Questo poeta è disperato, però ha frasi e immagini che legano alla vita, non fa di certo pensare alle ombre eterne. E, di seguito a lui, non saprei con quanta coerenza e affinità 'mi sovvenne', cioè m'è venuto incontro l'acuto discolaccio Benigni, per il quale la vita è bella benché esista il campo di sterminio, come a conferma che in un giardino malato nascono dei fiori.

Quindi anch'io penso, perché, come tutti, ne ho facoltà. Penso che la vita sarebbe bella, ma il verbo al condizionale dice che non lo è. Ha per nemici vincenti la fame della ricchezza e l'arroganza del progresso, che sono i lacci della libertà e lentamente avvelenano anche il mondo.

Così ho tanti compagni nelle sere della mia solitudine, nella quale, spesso, s'affacciano improvvisi anche quelli di una volta, che non hanno perduto la luce della giovinezza. 

Franco Ruinetti