Ma da che ora comincia la sera? Per
molti già subito dopo mezzogiorno, per me, invece, dopo la cena, insomma dallo
spegnersi del crepuscolo, cioè da quando cala il buio e dura fino a mezzanotte,
quando i due giorni si danno la mano. In questi ultimi tempi le mie sere sono
spesso solitarie perché mia moglie va a dormire con le galline e io chiedo
compagnia alla televisione, ma è raro che mi interessi, allora la spengo e
prendo un libro, però mi stanco presto, lo lascio a bocca aperta e non mi resta
che pensare, ricordare, rivivere.
Dagli
amici chiassosi a
quelli dei silenzi
Appena
finito di cenare nessuno, nell'età dell'adolescenza, poteva tenermi in casa,
neanche i divieti di mia madre. Andavo ai giardini in tutte le stagioni e con
ogni tempo. Mi univo ai compagni, più o meno numerosi. La consistenza della
brigata dipendeva in gran parte dalla meteorologia. Io avevo in tasca due o tre
sigarette, che vendevano anche alla spicciolata. Si fumava per essere più
grandi. Allora la droga non era ancora arrivata, almeno non nella nostra
compagnia Ogni tanto qualcuno la nominava, ma la si pensava lontana, roba da
ricchi.
Eravamo
tutti maschi. A quel tempo, di notte, le ragazze non si vedevano, ma erano
frequente argomento di chiacchiere, in genere molto fumo e poco arrosto.
Si
parlava di calcio, io ero l'unico per la Fiorentina, ma se perdeva non ne
facevo una croce. Gli altri erano per il bomber Nordahl o per Boniperti. Ma le
discussioni più accese vedevano protagonisti Bartali e Coppi, per i quali si
escogitavano giustificazioni acrobatiche quando venivano preceduti, per
esempio, da Magni o Clerici.
Si
passeggiava, si sostava intorno a qualche panchina fino all'una o alle due e,
d'inverno, il fiato faceva la condensa. Tra di noi alcuni erano garzoni di
bottega, alcuni erano studenti o quasi, come me, altri operai, altri ancora con
le mani in tasca in attesa di lavoro o di partire per Francia, Svizzera,
Germania.
Il
giovane Chiodo, cosiddetto per la magrezza, era l'unico fanatico per il
pugilato. Tifava per il campione del mondo Roki Marciano. All'improvviso tirava
cazzotti a chi gli era vicino, saltellando, senza affondare. Una volta, però,
mi dette un pugno sul braccio, con la nocca, che mi fece vedere le stelle. Io
risposi con un ceffone. E la cosa non finì lì perché lui si mise in guardia e
ne seguì un match, nel quale mi scoprii bravo a schivare i colpi. Però
l'incontro durò poco perché i compagni alzarono un polverone di chiasso per
incitarci, tanto che un uomo in pigiama, dal balcone, ci lanciò una catinella
d'acqua, che fu come il suono del gong. Infatti noi, improvvisi avversari, ci
convertimmo in alleati nell'indirizzare parolacce all'innaffiatore dei nostri
bollenti spiriti.
Le ore
notturne erano libertà, ci allungavano il giorno e la vita. Ci si accontentava
di far tardi e stare insieme in un mondo che allora era diverso e, al giorno
d'oggi, c'è chi dice che si stava meglio quando si stava peggio, chi tornerebbe
indietro e chi non ci tornerebbe. Ma sono discorsi inutili perché il tempo
corre e marcia solo in presa diretta.
Ecco:
un lunedì mattina tuonò a ciel sereno: fui colpito dalla notizia e rimasi
meravigliato, stordito. Venni a sapere che dietro l'orizzonte si preparava a
venire al mondo mio figlio. A ragion veduta, poi la colpa si trasformò in
merito perché fu lui il motivo per cui detti la svolta al mio modo di vivere.
Infatti, non cambiai l'abitudine di precipitare nelle notti, ma cambiai la
compagnia. I nuovi amici, quasi tutti, ora provenivano da altre ere. Erano pochi
i contemporanei. Riempivano le mie nuove sere, li incontravo nelle pagine dei
libri e incidevano le loro voci nel silenzio. Così ero fermo e viaggiavo; nella
solitudine facevo grandi conoscenze.
Correva
allora il periodo della ripresa, del miracolo economico e anche a me, per una
volta, la dea bendata spostò la benda e strizzò l'occhio perché riuscii a far
fronte ai miei impegni. Però dovetti allontanarmi dal paese per qualche anno,
andare in Puglia, distante, dove la luna, che vedevo dalla finestra sul mare,
mi pareva più vicina.
Le
sere solitarie
Poi
gli anni sono fuggiti, il passato si è spento, ma non nella memoria. Alcuni di
quegli amici notturni sono in terra o sotto terra lontana, altri chissà dove
sono, altri ancora li guardo quando passo davanti alle lapidi e mi guardano.
Ora, per loro, la notte del mondo non finisce più. Incontro, talvolta, Chiodo,
che è in carrozzella. Lo saluto e sorride, gli parlo e sorride.
Io non
ho perso l'abitudine di tirare tardi la sera, almeno fino a quando il giorno
passa il testimone e rinasce. Raramente ho trascorso quelle ore al bar, alla
televisione, al cinema o con i colleghi. Le ho passate e tuttavia le passo su
una comoda poltrona che, da quanto l'ho usata, ho dovuto cambiarle il vestito e
m'è venuta bene. Specialmente in questi ultimi anni m'ha sopportato di più in
quanto la televisione, che è in cucina, la considero solo per le notizie
giornalistiche, però mi fermo davanti a lei, volentieri, anche quando irrompe
Sgarbi, per la cultura e l'anticultura.
Sto
lì, nello 'studiolo'. Consumo le ore parcheggiato nascosto in quell'angolo
della casa e della notte, dove, ogni tanto, m'arriva la voce del mondo tradotta
nella lingua di un cane che è sull'attenti e dorme con un occhio solo. Leggo e
rileggo, tra gli altri Dante e Collodi, alcune satire di Orazio in gran parte
già tradotte perché è calata la nebbia sul mio latino.
E così
non sono spiritualmente solo. Anche gli autori che conosco da quando ero
ragazzo hanno sempre in serbo delle novità, parlano, sono con me.
Sere
fa, ad esempio, trasvolato sull'ermo colle, mi trovavo dietro la siepe seduto
di fronte al Leopardi, il teorico del male di vivere. Questo poeta è disperato,
però ha frasi e immagini che legano alla vita, non fa di certo pensare alle
ombre eterne. E, di seguito a lui, non saprei con quanta coerenza e affinità
'mi sovvenne', cioè m'è venuto incontro l'acuto discolaccio Benigni, per il
quale la vita è bella benché esista il campo di sterminio, come a conferma che
in un giardino malato nascono dei fiori.
Quindi
anch'io penso, perché, come tutti, ne ho facoltà. Penso che la vita sarebbe
bella, ma il verbo al condizionale dice che non lo è. Ha per nemici vincenti la
fame della ricchezza e l'arroganza del progresso, che sono i lacci della
libertà e lentamente avvelenano anche il mondo.
Così
ho tanti compagni nelle sere della mia solitudine, nella quale, spesso,
s'affacciano improvvisi anche quelli di una volta, che non hanno perduto la
luce della giovinezza.
Franco Ruinetti