NELL'OLIVETO
Qualche volta vado nell'oliveto perché sono amico dei ricordi. Sessant'anni fa era vivo, produttivo, ma piano piano è stato soffocato da ginestre, da querce e ornelli. Quando era custodito rendeva bene, poi, con la fine della mezzadria, nessuno più l'ha curato e qualcuno a cui lo proposi disse che l'olio conviene comprarlo.
Ora il clivo abbandonato rende solo di tasse. Non lo vendo perché nessuno lo vuole. Quando ci torno è come se facessi una sosta nella mia giovinezza.
Quest'oggi, giorno di fine agosto e della rabbia del sole, non avendo niente da fare, ci sono andato a fare niente. Ho raggiunto un breve pianoro libero dalla vegetazione e mi sono disteso per terra all'ombra avara di un olivo, tipo leccino, dai frutti amari come lacrime verdi. M'è venuto vicino un pettirosso, quasi a portata di mano Faceva tre 'cip', tre balzelli avanti e indietro. Ballava il valzer e mi guardava.
Non capivo se voleva legare amicizia o mi mandava via dalla sua proprietà. Rispondevo 'cip', ma non c'era intesa, che oggi, col vocabolario del computer, si dice connessione. M'era simpatico con quella pettorina rossa da cardinale dei piccoli uccelli. Poi non gli ho dato più considerazione e lui, avutosene a male, se n'è andato rapido, a piedi, muto. Tutt'intorno non si muoveva foglia.
Le ginestre erano sonnolente, avevano perso anche le ultime sillabe gialle e il tempo aveva trovato, in quella solitudine, il suo rifugio, il riposo.Guardavo il 'concavo cielo'.
Nessun pittore racconta quella luce così perfetta. E nessuna costruzione umana può avere una tale cupola.
Qualche volta vado nell'oliveto perché sono amico dei ricordi. Sessant'anni fa era vivo, produttivo, ma piano piano è stato soffocato da ginestre, da querce e ornelli. Quando era custodito rendeva bene, poi, con la fine della mezzadria, nessuno più l'ha curato e qualcuno a cui lo proposi disse che l'olio conviene comprarlo.
Ora il clivo abbandonato rende solo di tasse. Non lo vendo perché nessuno lo vuole. Quando ci torno è come se facessi una sosta nella mia giovinezza.
Quest'oggi, giorno di fine agosto e della rabbia del sole, non avendo niente da fare, ci sono andato a fare niente. Ho raggiunto un breve pianoro libero dalla vegetazione e mi sono disteso per terra all'ombra avara di un olivo, tipo leccino, dai frutti amari come lacrime verdi. M'è venuto vicino un pettirosso, quasi a portata di mano Faceva tre 'cip', tre balzelli avanti e indietro. Ballava il valzer e mi guardava.
Non capivo se voleva legare amicizia o mi mandava via dalla sua proprietà. Rispondevo 'cip', ma non c'era intesa, che oggi, col vocabolario del computer, si dice connessione. M'era simpatico con quella pettorina rossa da cardinale dei piccoli uccelli. Poi non gli ho dato più considerazione e lui, avutosene a male, se n'è andato rapido, a piedi, muto. Tutt'intorno non si muoveva foglia.
Le ginestre erano sonnolente, avevano perso anche le ultime sillabe gialle e il tempo aveva trovato, in quella solitudine, il suo rifugio, il riposo.Guardavo il 'concavo cielo'.
Nessun pittore racconta quella luce così perfetta. E nessuna costruzione umana può avere una tale cupola.
Brunelleschi
e Buonarroti sono grandi uomini, ma il mondo è opera del Creatore e la natura,
addirittura l'universo tutto, è la chiesa più vera.
Mi sentivo al centro dell'esistenza, del silenzio, dell'abbandono e mi è venuta la voglia di pregare, ma l'incantesimo e il Padre nostro si sono rotti per l'improvviso rumore, calpestio e fruscio vicini. Forse era passato di fretta un cinghiale. Dicono che ce ne sono tanti. Dopodiché mi si è rimescolato il cervello. Il tempo era trascorso benché mi fosse parso immobile. Ho guardato al polso l'orologio che non avevo.
Sono scivolato in un quasi assopimento. Il celeste dell'infinito s'addensava grado a grado nel blu. E io sono rimasto piantato lì, perduto nel verde, come uno di quegli inutili olivi. Ho deciso di non tornare a casa, tanto a cena chi c'è c'è, chi non c'è s'arrangia.
Il giorno volgeva tra il lusco e il brusco mentre ancora mi trovavo a mezza via tra il sonno e la veglia.
Ho cominciato a sognare da semi-sveglio. Allora ha sostato davanti a me, a mezz'aria, Cerere avvolta in una sfarzosa tunica bianca con lo strascico. M'ha guardato con occhi profondi, dolci e tristi. Forse era venuta a cercare ancora Proserpina. Quindi è scomparsa e, dopo poco, sua figlia si è annunciata col chiarore sopra il Passo delle Vacche. Poi eccola, lei diventata luna, altrettanto bella quanto sua madre, con un serto di stelle, mite e pallida perché vive la maggior parte della vita nel regno dei morti dove l'ha confinata il suo amante ispido e sgradevole dopo essere scappato dai suoi antri sotterranei soltanto quella volta per rapirla. Un altro rumore improvviso mi ha mandato in frantumi la fantasia.
Mi sono alzato dalla dura terra sperando che a casa mi abbiano lasciato qualcosa da mangiare. Strada facendo pensavo a quei due, Proserpina e Plutone, lei fiore di giovinezza, lui tetro e incapace di sorridere.
Comunque ho concluso che certi accoppiamenti male assortiti succedono anche tra i mortali.
Le ragioni dell'amore sono imperscrutabili.
Mi sentivo al centro dell'esistenza, del silenzio, dell'abbandono e mi è venuta la voglia di pregare, ma l'incantesimo e il Padre nostro si sono rotti per l'improvviso rumore, calpestio e fruscio vicini. Forse era passato di fretta un cinghiale. Dicono che ce ne sono tanti. Dopodiché mi si è rimescolato il cervello. Il tempo era trascorso benché mi fosse parso immobile. Ho guardato al polso l'orologio che non avevo.
Sono scivolato in un quasi assopimento. Il celeste dell'infinito s'addensava grado a grado nel blu. E io sono rimasto piantato lì, perduto nel verde, come uno di quegli inutili olivi. Ho deciso di non tornare a casa, tanto a cena chi c'è c'è, chi non c'è s'arrangia.
Il giorno volgeva tra il lusco e il brusco mentre ancora mi trovavo a mezza via tra il sonno e la veglia.
Ho cominciato a sognare da semi-sveglio. Allora ha sostato davanti a me, a mezz'aria, Cerere avvolta in una sfarzosa tunica bianca con lo strascico. M'ha guardato con occhi profondi, dolci e tristi. Forse era venuta a cercare ancora Proserpina. Quindi è scomparsa e, dopo poco, sua figlia si è annunciata col chiarore sopra il Passo delle Vacche. Poi eccola, lei diventata luna, altrettanto bella quanto sua madre, con un serto di stelle, mite e pallida perché vive la maggior parte della vita nel regno dei morti dove l'ha confinata il suo amante ispido e sgradevole dopo essere scappato dai suoi antri sotterranei soltanto quella volta per rapirla. Un altro rumore improvviso mi ha mandato in frantumi la fantasia.
Mi sono alzato dalla dura terra sperando che a casa mi abbiano lasciato qualcosa da mangiare. Strada facendo pensavo a quei due, Proserpina e Plutone, lei fiore di giovinezza, lui tetro e incapace di sorridere.
Comunque ho concluso che certi accoppiamenti male assortiti succedono anche tra i mortali.
Le ragioni dell'amore sono imperscrutabili.
Franco Ruinetti