I GRANDI VIAGGI
Siamo tutti a cavallo della terra che ci trasporta in un grande viaggio per l'universo e non ce ne accorgiamo o perlomeno non ci facciamo caso. Rotoliamo in continuazione a velocità incredibile, mentre passano tanti panorami, ma noi vediamo o crediamo di vedere sempre lo stesso, più bello di ogni fantasia, vero e surreale.
Siamo tutti a cavallo della terra che ci trasporta in un grande viaggio per l'universo e non ce ne accorgiamo o perlomeno non ci facciamo caso. Rotoliamo in continuazione a velocità incredibile, mentre passano tanti panorami, ma noi vediamo o crediamo di vedere sempre lo stesso, più bello di ogni fantasia, vero e surreale.
Questa escursione, uscita, fuga o
che so io è a due facce perché, contemporaneamente trascorriamo anche nel tempo,
senza vederlo, né toccarlo. Esso veleggia in incognito, non c'è, ma
è dentro e fuori. Procede soltanto in avanti, come il volo degli uccelli e il
suo unico approdo è l'eternità. Scivola sempre in discesa come il fiume che
sfocia nel mare. Viaggiare nel tempo è come salire su un vento sordo. Muto e
cieco. L'ultima stazione è l'incommensurabile, l'infinito, cioè, viene da
credere, la fine ovvero la morte, che ci tira a sé tipo calamita, e ogni giorno
la corda s'accorcia.
Ma che roba è? Perché si accendono certi
pensieri? E', invece, meglio nuotare nella luce del sole, della luna e nella
salute finché ci assiste. Il resto non lo dobbiamo chiamare, esso non dipende
da noi. Però non è facile evitare certi argomenti, che arrivano come guizzi
mentali. E ancora: ognuno è salito a bordo della vita in una
stazione che non c'era. Prima non si esisteva, poi all'improvviso siamo venuti.
Siamo sbarcati in un porto ignoto ad occhi chiusi e non si vedrà neanche
l'ultimo approdo perché, si perde la facoltà di vedere. Eppure è bello, bello
viaggiare senza sapere né il perché, né la destinazione, uso fagotto, come
diceva mio padre, che non aveva studiato nulla di filosofia e teologia o come
una valigia. Non sappiamo niente di queste cose, che sono alla base, le più
importanti. Siamo ignoranti per natura e in più soffriamo spesso di una
molteplicità di mali e malesseri eppure siamo tenacemente legati alla realtà,
veniamo carichi dell'istinto di conservazione, amiamo il giorno, il respiro è
tenace, connaturato in noi.
Ecco: mi vedo in piedi al polo, dove
spunta idealmente l'asse terrestre. Giro su me stesso come una trottola, ma non
me ne accorgo e non ho mal di testa. Poi penso che in una bella notte vediamo
le stelle fisse sulla volta celeste, lucciole azzurre, sennò con una spolverata
di rosso o di bianco. Sembrano ferme e vicine le une alle altre, ma
l'impressione è sbagliata. Sono lontane tra loro, così tanto che la misura in
chilometri non basta, è così piccola come un moscerino davanti ad un elefante e
si muovono in maniera superiore all'umana comprensione. L'unico astro che
vediamo spostarsi è la luna. Questa la conosciamo bene, è di casa.
E noi viaggiamo in groppa alla
terra, che corre senza un attimo di sosta per tirare il fiato, intorno al sole,
poi con lui e con tutta la sua famiglia veniamo precipitati oltre. Ma dove? Il
viaggio planetario è in un vagone a cielo aperto, come in una scatola senza
coperchio per vedere uno scorcio nella bellezza del mistero. E il pensiero
corre, corre ancora, precipita, sbanda.
Meglio sarebbe non pensarci, invece
ci penso e mi dispiace vivere senza un motivo palese, come una topa cieca e nel
contempo ho paura che tutto finisca. Così mi riconosco legato a filo doppio ad
una contraddizione.
Invece ci penso. Come stamattina che
sono andato a fare colazione in un bar panoramico. Il giorno d'inizio primavera
s'è svegliato nell'azzurro luminoso e io viaggiavo con la vista fino ai limiti
della valle e, con la mente navigavo aldilà delle Colonne d'Ercole,
nell'inconoscibile. In un lampo m'è comparsa l'astrofisica Hack che spiegava
ciò che non si spiega, lambiva le profondità del creato con chiarezza
elementare. Disse una volta, lo ricordo, che un infinito lo conosciamo. E'
quello dei numeri.
Ad un tratto è comparsa la cameriera
con i gelatini per due ragazzi seduti al tavolo non distante dal mio. Bella,
appena adolescente, come una favola uscita da un libro, che avevo dimenticato.
Mi è passata un'ombra davanti come i titoli di coda e mi è parso che abbia
detto: "Il lupo perde il pelo, ma non il vizio." Però mi sono ripreso
subito: guardare una moretta non è un vizio.
Uno dei due ragazzi le ha parlato:
"Elisa, sei la fine del
mondo!"
Ho pensato che quel giovane, che non
è di certo uno scienziato, abbia fatto inconsapevolmente un salto verso
l'infinito. Che ha risposto con un sorriso di luce e dolcezza.
Franco Ruinetti