GIOSTRA D'AMORE
La mora, la bionda
E' trascorso mezzo secolo, che pesa
come un sacco di mezzo quintale caricato sulle spalle, ma i ricordi sono
presenti, pare che tanto tempo non sia passato. Ritengo di avere buona memoria,
così, con la mente, torno a scuola: classe quinta, sez. A. All'ultimo banco,
accanto al muro, erano sedute la Dina e la Berta, ambedue belle come il sole,
la prima con una gran chioma inanellata nero-china, l'altra bionda con la coda
di cavallo. Loro e non la finestra davano la luce all'aula. Erano anche brave,
alla maturità presero il massimo dei voti.
La Berta non l'ho più rivista. Ho
saputo che si è sposata e ha generato numerosi figli, che vive al nord, non so
se dell'Italia o dell'Europa. Comunque la sua appare essere una storia di
serena normalità.
Diversa è la storia della Dina, che
conosco, credo bene, perché l'ho periodicamente rincontrata. Partecipò anche
alla 'rimpatriata', alla cena della nostalgia o, come titolava l'invito, alla
'maturità d'argento', cioè dopo 25 anni, alla quale fummo presenti 17 su 25.
La Dina ha resistito bene agli
assalti del tempo. Di certo si è sempre avvalsa di un trucco sapiente. Diventò,
come si diceva una volta, una maggiorata per le rotondità pronunciate nei punti
giusti.
Ricordo molto di lei. Ma non ero un
suo aspirante perché non all'altezza: con i tacchi mi superava di 15 cm. e la
guardavo dal basso in alto.
Nell'incontro a tavola, piacevole,
ma anche velato di malinconia, ebbi conferma, ascoltando chiacchiere sparse, di
quanto fosse stata precoce in amore questa avvenente studentessa. Aveva
cominciato a correre la cavallina dalla terza media. Aveva flirtato con mezza
squadra di calcio under 21, compreso un segnalinee.
Marco le ricordò:
"A me non mi volesti."
"Non facevi sport, eri troppo
serio."
Smise di frequentare gli atleti dopo
che il medio-massimo, campione regionale, le fece un occhio blu. In seguito
sposò un bancario e fu fedele, ma rimase vedova che non aveva trent'anni.
La incontrai due volte al cimitero.
La prima volta era inconsolabile e
mi disse, indicandomi la fotografia del marito:
"Gli parlo, mi risponde, muove
la testa in segno che non devo cedere, ancora lui mi ama, l'amore vero è
eterno, ti ricordi Eloisa?"
La seconda volta mi prese
sottobraccio:
"Lo vedi? Gli dico che Mario
insiste e lui non risponde più. Che devo fare?"
"Fai quello che ti dice il
cuore, di eterno, dov'è tuo marito, c'è solo la pace e poi chi tace
acconsente."
Il cacciatore di precisione
Stamattina, come sempre quando mi
alzo, mi sono affacciato alla finestra, che dà sul giardino di una gran villa.
Roba da ricchi. Guardavo alla pozza d'acqua e dintorni perché cercavo la rana
che ieri sera non ha cantato. Non l'ho vista. Ho visto, invece, una scena
straziante. Una merla, tendente al grigio, strattonava suo marito merlo
stecchito, steso a terra, con le zampette in aria e le ali aperte come se fosse
in croce. Moglie e marito, li conosco, hanno il nido nel cipresso argentato. Mi
è venuto in mente che, se tornasse, il poeta Pascoli avrebbe motivo di scrivere
un'altra poesia simile a quella della rondine che cadde tra i spini. Ogni tanto
la merla lasciava la presa e batteva il becco sul petto del merlo forse
sperando di rianimarlo con gli ultimi baci.
Mi sono ritirato, non volevo più
guardare. Quella rappresentazione di amore e morte mi rattristava anche se i
protagonisti erano semplici uccelli.
Nel pomeriggio quell'uomo che abita
sopra di me, un giovane sui trent'anni, mi ha domandato:
"Stanotte hai dormito
meglio?"
"Perché me lo chiedi?"
"Perché il ranocchio non ha
cantato."
"Come mai, ha mal di
gola?"
"Ho sparato a lui e al
merlo."
"Davvero!? Non ho sentito gli
spari."
"Ho una carabina che tira
pallini ad aria compressa e è dotata del cannocchiale di precisione. Non fa rumore,
è infallibile, un divertimento..."
"Peccato perché a me il
gracidio e il pigolio facevano compagnia."
Me ne sono andato lasciandolo con
mezzo sorriso smarrito stampato in faccia.
Una paternità
Ogni tanto vado a camminare in
collina fino ad una casa abbandonata dalle pietre angolari perfette che mi
rappresentano il lavoro e la bravura degli scalpellini. Le fanno compagnia il
fosso col mormorio lento e il pioppo gigante sempre festoso, che saluta con le
foglie mosse dal respiro della brezza.
Mi è caro questo pioppo, lo vedo con
piacere, è mio amico. Gli è cresciuto vicino, quasi addosso, un figlio ormai
giunto all'età della prima adolescenza. Sembra che, con i rami bassi, lo
abbracci, protegga. A me dà l'idea di una paternità che è un argomento raramente
considerato in arte. Mentre, al contrario, ho spesso incontrato le maternità.
Franco Ruinetti