NEL SACRARIO DELLA
MEMORIA
A Rimini e dintorni,
sembra ieri, erano attivi numerosi altri artisti. Alcuni di loro si sono spenti
prima che tramontasse il secolo, altri di essi hanno visto l'alba breve del
nuovo millennio. Ora io li evoco alla riva del presente con la luce di queste
pagine e con qualche manciata di parole, ma parlo solo di quelli con i quali ho
intrattenuto rapporti più frequenti anche di amicizia. Per ciascuno ho scritto
recensioni, sono intervenuto alle inaugurazioni delle mostre e ho fatto
interviste nelle varie televisioni. Non ho mai preso un soldo.
Li ricordo in ordine
alfabetico per non fare graduatorie di merito.
C'era Guerrino
Bardeggia. Era creativo senza soluzione di continuità. Ha lavorato fino
all'ultimo, quando un malanno a ciel sereno l'ha ammazzato a tradimento, una
botta con lo schioppo alle spalle. Nei suoi quadri il tempo è sospeso, come le
ali tese di una colomba, simbolo di mitezza. I colori annunciano passione,
amore, dolcezza, sangue, sofferenza. Si caricano di sentimenti di attesa,
speranza, paura. Certe scene dei dipinti sono forti, lì per lì possono anche
rumoreggiare nello stomaco, ma esorcizzano il male, depositano nella memoria i
semi della bontà e della bellezza. E mi capita in mente il lampo di una sua
poesia: Quante / spine / per una rosa / rossa.
opera di Guerrino Bardeggia |
I dipinti del riminese
Elvio Brici tendono verso il surreale, però non approdano in astrusi deliri, ma
in un silenzio che s'adagia nell'azzurro del mare. Vediamo donne con grandi
fazzoletti in testa, sedute che guardano verso il limitare, in una lunga
attesa. Il tempo è pesante. In alcune tele compaiono motivi eterogenei. Ecco
uno spaventapasseri che è sul punto di giocare con i palloni e può accendere
contentezza, ma la luce s'incupisce in lontananza, cova insidie.
L'ultima volta che lo
vidi era dimagrito, ma non aveva perduto la voglia di scherzare.
Francesco Caltagirone
era riccionese solo per metà. Veniva al mare il 1° maggio e ripartiva per i
defunti. Era colto. Cominciò a dipingere in pensione. Sua moglie lo chiamava
Francois e gli correggeva il caffè con una carezza. Quando lo conobbi mi chiese
un giudizio sui suoi lavori, voleva sapere se erano degni da far vedere. Gli
dissi che per me erano molto validi. Dipingeva boschi, tramonti africani dalle
solitudini dense, giovani nere che vivevano nelle capanne, non vestivano alla
moda, erano eleganti di natura.
C'era Cesare Filippi,
abitava nella campagna di Coriano, in un'isola di verde. Aveva uno studio
sfalsato su tre livelli. Nel giardino crescevano i fiori curati da sua moglie,
ma contemporaneamente sbocciavano sulle tele dove restavano sempre freschi. Era
mite e cortese. Nel 2010 non partecipò all'inaugurazione della sua ultima
mostra al Palazzo del Podestà di Rimini perché fu ricoverato in ospedale. Una
volta mi aveva mostrato un quadretto nel quale, da giovane, aveva dipinto sua
madre anziana. Ora lui mi sembrava il fratello gemello.
opera di Cesare Filippi |
I dipinti di Giacomo
Foglietta accendono una dimensione al di là del reale. Vediamo composizioni
spesso ludiche, fughe nei sogni ad occhi aperti, dove balenano stupori
fanciulli. L'artista è noto per i suoi pretini che possono fare una partita con
tanti palloni, mentre altri attraversano il campo in bicicletta o salgono su
scale a pioli appoggiate sulle nuvole o su un fianco del vento. Sono opere
lievi, ma profonde, che rappresentano i sentimenti. In un quadretto s'incontra
un prete seduto. Un cane lo guarda. La scenetta parla di amicizia e la
malinconia suona una musica dolce.
opera di Giacomo Foglietta |
C'era Romano Leporesi.
Nativo di Brisighella, ha insegnato a Rimini dove ha vissuto gli anni fecondi
della maturità. Era esperto ceramista. Con lui non ci si annoiava, aveva la
battuta sempre pronta. Pittoricamente usava la lingua dell'acquarello. Certi
paesaggi, per l'armonia dei colori, per le trasparenze, s'illuminano di
solitudine e di poesia.
Orfeo Matteoni era
stato prigioniero in Africa e, dopo i reticolati, vedeva i cavalli bradi.
Tornato a casa ha disegnato e dipinto migliaia di cavalli. Per lui erano
simbolo di libertà oltre che di bellezza ed eleganza. Quando andai a trovarlo a
Casa Serena mi disse di prendere, nel suo studio, i quadri che volevo. Lo
ringraziai e risposi che non volevo essere accusato di abigeato.
opera di Orfeo Matteoni |
Luciano Palma
trasferiva nel segno tutta la propria energia vitale. Le linee, spesso subito
tracciate col colore, corrono libere benché raccontino i soggetti in termini
realistici. In tutti i quadri si diffonde una luminosità, che è quella dei
mattini sereni, della giovinezza. L'artista ha interpretato pittoricamente
scorci di Rimini, città di adozione, alla quale era profondamente legato.
L'Arco di Augusto o altri motivi levitano nelle tele e nella mente.
Lo scultore Elio Morri
lavorava in un grande ambiente nel centro di Rimini. Aveva capelli biondi e
ricci, mi sembrava un guerriero antico. Quando andavo a trovarlo una gracula
gentile diceva “ciao”. Riceveva richieste da enti pubblici e privati. Al Parco
Cervi c'è una sua opera in tre parti intitolata alla Resistenza. Merita sempre
una sosta. Anche quando lasciavo lo studio, non so da quale angolo nascosto, la
gracula ripeteva “ciao”.
Elio Morri |
Giacomo Pastore: l'azzurro
del mare si schianta sugli scogli e il bianco della spuma si leva alto. Questo
è stato uno dei motivi privilegiati dal pittore e in numerosi locali pubblici,
come in molti salotti, si può vedere e pare di sentire il fragore delle onde
che esplodono in nuvole di schegge lucenti. Pastore, originario di Ostuni, la
città bianca, ha trascorso la maggior parte dei suoi anni a Riccione.
Bruno Polverelli, più
noto come Rusein, è nato e vissuto a Riccione. Quando era in guerra, durante la
quale non ha sparato un colpo, trovò anche il modo per isolarsi e dare sfogo
alla sua passione, quella della pittura. Dal fronte riportò un volto di Cristo
su una pezza da piedi. Fiori e pupazzi di stoffa sono stati i suoi temi
preferiti. In quei bambolotti io mi vedevo e riconoscevo tutta la gente
definita, con brutta qualifica, comune o di strada, che è manovrata dai grandi
burattinai.
Giorgio Rinaldini ha
regalato, a chi ha incontrato la sua pittura, sogni, melodie cromatiche. Famosa
quella ragazza, visione che insiste e ritorna sulle tele, portata dal primo
vento d'amore, che intona dolcezza nel paese delle favole vere. E' la
fidanzatina del desiderio, evocata dalla magia dell'arte, dipinta con la luce
dei fiori. I suoi colori sono eterei, lievi. La delicatezza è la loro forza.
opera di Giorgio Rinaldini |
L'artista, nato e
vissuto a Rimini è stato, dalla fine della guerra, un protagonista nel campo
dell'arte, non solo locale. Meriterebbe che la città lo ricordasse con una
bella iniziativa.
C'era, a Miramare, Ugo
Ugolini, persona riservata e dignitosa. La prima volta che lo incontrai ebbi
l'impressione di conoscerlo da sempre. Collaborava con Annigoni all'abbazia di
Montecassino. Il maestro gli aveva affidato l'incarico di dipingere a fresco
due papi. Una volta mi mostrò i ritratti dei suoi figli, due ragazze e un
maschio. Generati dall'amore e dal talento sembravano appena discesi
dall'Olimpo.
C'era... c'era. Ma,
per me, ci sono ancora tutti perché, se non ho preso soldi, ho fatto a cambio
merce. E la mia casa è piena di quadri, che continuano a parlare, a raccontare
emozioni. Così conosco quegli artisti più ora di allora.
Franco Ruinetti