Era il cane del
professore, bastardo puro, di media taglia, a pelo lungo, nero come
l'inchiostro di china, vecchio quasi quanto il fedele Argo dell'Odissea; non
era stato battezzato e il padrone lo chiamava “Pss” che non
era un nome, ma un ordine.
Da anni e annorum non era più uscito, viveva quasi sempre sdraiato sotto una tettoia in quei quattro passi di giardino privato e di notte o col tempo inclemente andava in una cuccia confortevole nel corridoio.
Il padrone gli faceva visita almeno due volte al giorno, gli voleva bene, con dignità, mantenendo la distanza. Anche quell'uomo era stagionato, aveva quasi ottant'anni, ma ne dimostrava qualcuno di meno e lui, da quando era cucciolo, lo aveva sempre considerato nonno.
Da anni e annorum non era più uscito, viveva quasi sempre sdraiato sotto una tettoia in quei quattro passi di giardino privato e di notte o col tempo inclemente andava in una cuccia confortevole nel corridoio.
Il padrone gli faceva visita almeno due volte al giorno, gli voleva bene, con dignità, mantenendo la distanza. Anche quell'uomo era stagionato, aveva quasi ottant'anni, ma ne dimostrava qualcuno di meno e lui, da quando era cucciolo, lo aveva sempre considerato nonno.
Nel fiore della
giovinezza e oltre “Pss” poteva sostare composto, in silenzio,
nello studio pieno di libri mentre l'insegnante impartiva ripetizioni, così
aveva imparato tante cose e nei lunghi ozi le ripensava. Il suo problema era la
solitudine devastata dal silenzio con le macerie dei ricordi. Meno male che
ogni tanto saltava il muro un gatto bianco giovane, garbato, un po' vanitoso
come spesso sono i belli. Lo accoglieva con piacere, gli offriva le sue
crocchette e l'acqua della bacinella.
Fecero amicizia.
Il micio gli si acciambellava nel pelo folto della pancia e pareva una manciata di neve su un mucchio di carbone. Parlavano molto, senza parole, perché gli animali s'intendono lo stesso. Quello che si dissero è solo immaginazione. Per sapere tutta la verità avrebbe dovuto essere presente un laureato in lingue mute che, benché siano stati inventati tanti corsi universitari, ancora quello non c'è.
Fecero amicizia.
Il micio gli si acciambellava nel pelo folto della pancia e pareva una manciata di neve su un mucchio di carbone. Parlavano molto, senza parole, perché gli animali s'intendono lo stesso. Quello che si dissero è solo immaginazione. Per sapere tutta la verità avrebbe dovuto essere presente un laureato in lingue mute che, benché siano stati inventati tanti corsi universitari, ancora quello non c'è.
“Sono pieno di
solitudine, diceva “Pss”, che è il mio male, la mia condanna.”
“Ma, chiedeva il
gatto, il professore non ti porta mai a spasso in libera uscita per l'ora
d'aria?”
“Mai. Mi ci portava
quando ero giovane, così correvo, vedevo il mondo, salutavo i colleghi,
scambiavo occhiate con le cagnoline, firmavo i muri per dire a tutti che
esistevo.”
“E perché smise di
portarti fuori, cosa hai combinato?”
“Io!? Niente. Il
motivo deriva dalle leggi animalesche.”
“Non capisco,
spiegati meglio.”
“Una volta che io
deposi sulla strada i miei avanzi intestinali un vigile fece la multa e da
allora è cominciata la mia prigionia”.
“Il vigile ha fatto
il suo dovere, è il professore che non lo ha fatto perché doveva raccogliere il
tuo prodotto.”
“Io lo capisco,
replicò il cane. Un uomo di quel rango non può umiliarsi a raccogliere il mio
scarto, anche se con il guanto di plastica. E comunque le cose stanno così: il
mio mondo è diventato stretto per colpa di quella maledetta legge.”
A questo punto il
gatto sollevò la testa inorgoglito.
“Noi, invece,
possiamo circolare liberi e nessuno ci fa la contravvenzione perché interriamo
sempre, con scrupolo, le nostre deiezioni. Siamo nati civili, con la legge
incorporata.
Franco Ruinetti