martedì 13 ottobre 2020

Nell'inverno del '55 (by Franco Ruinetti)

 

 

NELL'INVERNO DEL '55

Avevo 18 anni, qualche volta andavo al circolo l'Homo Nero dove s'incontravano i giocatori di carte (qualcuno perse la casa), dove c'erano i biliardi e un paio di stanze per leggere i giornali, chiacchierare. Poi gli anni sono frullati, non ho potuto più concedermi pause piacevoli e vacanzaiole. Ora mi fanno compagnia i ricordi, che vengono dalle lontananze, luminosi di adolescenza.

Al bar c'era Chicche, animatore, professionale, anche simpatico. Aveva vinto i campionati del mondo del caffè. Che non esistevano. Il bancone dove troneggiava con la macchina dell'espresso era sopraelevato come l'altare nelle chiese romaniche.

Il barista attaccava discorso con tutti. Aveva una voce baritonale che riempiva il locale. Con me parlò del suo trisavolo che aveva partecipato alla spedizione dei Mille ed era tornato a casa con le stampelle per morire povero in canna. In suo onore copriva i tavolini con le tovaglie rosse.

"E' stato un eroe che ha liberato l'Italia per darla in mano a certi cialtroni di oggi che hanno fatto carriera sia nel fascismo che nell'antifascismo. Li conosco, li ho scritti in un quadro."

Una volta mi fermai a parlare con la signorina Celeste seduta vicino alla finestra. Era una donna enorme di mezza età. Chicche la trattava con grande gentilezza. Le faceva trovare un fiore con lo stelo infilato in una bottiglia piena di acqua in mezzo al tavolo. Le faceva i complimenti:

"Lei è più maggiorata fisica della Mangano e della Pampanini."

Poveretta! Le traboccava la ciccia da tutte le parti. A metà pomeriggio prendeva il tè all'usanza inglese. Ci inzuppava un bombolone. Camminando brancolava sui tacchi a spillo.

Seduto ad un altro tavolo stazionava il sor Angelo, detto Pastina quando non era presente. Battibeccava con Chicche. Sfogliava in continuazione le riviste mentre rigirava in bocca mezzo sigaro spento. Appresi dai suoi scambi verbali e dalle frecciate col barista, che beveva una ventina di caffè al giorno. "Mi servono per mettermi in moto, carburare."

"Che dice!? Per lei è sempre domenica, la fatica più grossa è di reggersi seduto."

"E' quella di sopportare lei."

"Non legge neanche i giornali, guarda solo le figure."

"Mi bastano per capire tutto."

Vestiva elegante: completo scuro, cappello nero a larga tesa, papillon rosso su camicia bianca, un fazzoletto rosso a tre punte sul taschino. Personaggio enigmatico, almeno per me.

"Beato lei che è nato con la camicia, voglia di lavorar saltami addosso."

"Sono uno stacanovista del pensiero, ma lei non può capire."

Solo una volta m'affacciai nella sala dei giocatori di carte. Mi sembrò un contenitore di silenzio dove veleggiava la caligine acre dei fumatori di sigarette.

Preferivo sostare un po' nella grande stanza dei biliardi dove trovavo un posto comodo in una delle sedie per gli spettatori, che erano sulle pedane alte lungo i muri. Feci anche qualche partita, ma persi sistematicamente, quindi smisi per mancanza di soldi e di avversari più principianti di me.

Ricordo: stetti qualche mese senza ripresentarmi a quel circolo. Un giorno, durante una escursione nello studio, mi avevano nauseato quelle che per me erano imbecillate presuntuose di Nietzsche, autore di danni all'umanità. Non ce la feci più a digerire il suo monologo libresco. Allora uscii, camminai svelto rasentando i muri delle case per ripararmi dalla pioggia. Pensavo di andare a prendere un caffè insieme a Pastina, il nullafacente filosofo pure lui, perditempo, ma simpatico. Però, quando arrivai ebbi la sorpresa del portone sbarrato e muto, senza alcun avviso. Silenzio, solo pioggia.

Il giorno successivo seppi, da un conoscente, che avevano trovato Chicche seduto ad un tavolo con la testa sopra le braccia appoggiate sulla tovaglia rossa. Ci rimasi male. Molto. Mi venne in mente l'avesse freddato una pallottola del fucile Mongiana, in dotazione all'esercito borbonico, vagante nello spazio che, dopo quasi un secolo aveva fatto centro nel suo cuore. Poi tolsero dal muro la piccola scritta HOMO NERO. Fu sostituita, in caratteri cubitali, col nome di una banca.


Franco Ruinetti