martedì 19 marzo 2019

Primo amore (by Franco Ruinetti)

 





PRIMO AMORE


Il mondo corre veloce e gli anni hanno sempre più fretta. Io no. Allora mi siedo, affondo in una vecchia poltrona in un angolo della casa che mi pare dimenticato, nella penombra, per fermare il volgere del tempo padrone della vita e non della morte. Vorrei sgombrare la mente, fare pulizia, ma è impresa ardua, faccio lunghi respiri, chiudo gli occhi, resto fermo, vorrei diventare insensibile, come un mobile in soffitta. Ben presto m'arrivano pensieri e idee da ogni latitudine. Mi vedo sotto le coperte, quando aspettavo la befana, poi precipito a quando busserò alla porta dell'infinito, che si aprirà da sola, senza le cellule fotoelettriche. Le immagini arrivano a galla, si fanno largo a gomitate, sfollano, tornano di nuovo. Quella della Rosanna si afferma, mentre le altre sfumano. Mi ritrovo al tempo della scuola media, addirittura a quando frequentavo la prima classe. La ragazza aveva le labbra rosse, come un bel fiore e gli occhi neri, ma quelli allora non mi dicevano niente. Spesso, alla fine delle lezioni, la accompagnavo a casa e, al suo fianco, mi sentivo più grande. Si parlava delle interrogazioni e dei compiti. Ero contento come quando la mia mamma faceva le patate fritte e mi fregavo le mani. Però era un'altra cosa: molto meglio. Allora non mi rendevo conto, spuntava l'alba di una favola, di un giorno che non avrei vissuto. Era un lunedì. Nel pomeriggio della domenica appena trascorsa avevo visto al cinema il lungo bacio del protagonista alla sua amata. La scena mi aveva colpito: quello ero io. Così, accompagnandola, le dissi:

“Ti devo dare una cosa.”

“Che cosa?”

Superato il portone di casa, che era un grande palazzo, raccolsi tutto il coraggio e:

“Voglio darti un bacio.”

Mi guardò con quelle pupille nero china:

“Perché?”

“Ti amo, lo so da ieri.”


Glielo detti, le dissi 'Grazie', poi scappai. Fu un'esecuzione disordinata, quel bacio non poteva essere professionale e, come la prima sigaretta, non mi piacque. In seguito avevo voglia di rivederla, ma mi mancava l'ardire perché ero fuggito senza dirle niente, avevo fatto una figura meschina. Poi gli anni passarono in fretta, travolti dal lavoro e dagli altri impegni, in primis quello familiare. Talvolta la ricordavo, mi veniva la voglia di sapere come il tempo si fosse comportato con lei, che certamente non avrà dimenticato quel bacio, primizia incosciente e acerba. Quando mi sistemo più comodo nella poltrona, riemergo al presente e i quadri sulla parete di fronte mi parlano di amici cari, perduti: Leporesi, Rinaldini, Bardeggia, che continueranno a dipingere anche lassù, con i colori dell'arcobaleno. Sono di nuovo errabondo, veloce come i lampi, mi ritrovo qua e là, nelle lontananze estreme. Vado e vengo. Saltano all'attenzione avvenimenti che non vorrei rivedere. Erano dettati dalle lusinghe del demonio. Schivo tali motivi infelici. Il fluire della coscienza porta folate di foglie secche, Joyce mi ronza nelle orecchie, fa sgambetti alla sintassi e alla logica. Ecco: mi riappare il manifesto funebre con la sua fotografia. Le labbra non sono più quelle di allora, ma rimango colpito dagli occhi che ora mi guardano dentro. Quel bacio incerto è ancora in boccio: amore dolce limpido silente. E mi sono fatto la convinzione, se è vero che nulla va perduto, che lei è là ad aspettarmi dietro la porta del mondo nuovo, dove finisce la materia e il tempo non corre più. Le sue membra sono solo luce, con i lampi delle pupille. Mi viene incontro mentre porge la mano per accompagnarmi. Chissà dove.


Franco Ruinetti