giovedì 1 marzo 2018

Spigolature nei nascondigli del passato (by Franco Ruinetti)


I ricordi ad una certa età (terza o, ancor più, quarta, così si definiscono i vecchi, con garbata circonlocuzione eufemistica) s'accendono nella mente, prendono per mano, rappresentano la retromarcia del tempo. Sono il ripasso degli episodi, vengono, si spengono, e, quando meno te l'aspetti, tornano. Ecco, al proposito, la Luana. Frequentava al Borgo la seconda liceo. Anch'io ero studente, ma più spesso assente che presente alle lezioni. L'aspettai quasi tutti i giorni d'aprile all'uscita dalla scuola cercando di mettermi in vista a cavallo di quella Gilera vecchia, riverniciata di rosso fiamma e con i capelli impiastrati di brillantina solida. Infine mi feci coraggio e le parlai. Fu subito carina e, dopo una settimana fissammo un appuntamento per il pomeriggio. Venne. 

Attraversammo in moto la valle piena di sole e di contentezza, quindi sostammo nel piazzale davanti al Santuario di Petriolo e, mano nella mano, veleggiammo dall'Alpe della Luna al Monte Catria. Entrati in chiesa, ci inginocchiammo. Ero al centro del silenzio e del mondo. 
Le sussurrai un nugolo di parole, che non ricordo, mentre non ho dimenticato che ad un tratto le proposi: “Ci sposiamo?” “C'è tempo”, rispose. Ma io insistetti: “Qui e subito, abbiamo come testimoni i santi e gli angeli, che valgono più di qualche bellimbusto. Questo è un matrimonio senza pranzo, né torta, segreto, ma per sempre”.

Ci abbracciammo commossi. Io almeno lo ero profondamente.

Va bene, siamo sposi a nascondino”.

Qualche giorno dopo eravamo in un praticello tra le ginestre accese di verde e di giallo su una sponda del torrente Afra. Lei diceva con risolutezza che dovevo legarmi le mani.

Sono prigioniero d'amore, ma senza catene”.

Allora d'improvviso s'alzò, tornò a casa a piedi e io rimasi come un baccalà. Così, solo dopo una sessantina di baci (questo fu il mio rendiconto), finì il nostro matrimonio indissolubile. Non tornai ad aspettarla all'uscita dalla scuola anche perché fui centrato in pieno da un colpo di fulmine, con la coda di cavallo, nera come l'inchiostro di china e come gli occhi dai luccicori improvvisi, che si chiamava Laura. Dopo un breve corteggiamento e ripetute insistenze la condussi al bar dove, pagando un gelato ed un caffè, dilapidai i miei averi, infatti io non partecipavo proprio alla festa del boom economico. Quindi ci avviammo in moto verso il Tevere. Volevo ripetere il sacramento a Petriolo. Per prepararlo feci sosta a San Leo, nello spiazzo davanti al cimitero. Ma, quando m'avvicinai e capì le mie intenzioni, che, in verità, non erano troppo spinte, mi sferrò un pugno condito con parolacce. Ero impacciato, non sapevo come nascondermi, mentre un uomo fermo sulla bicicletta, con un piede piantato per terra, ci guardava muto. Feci fatica a calmarla e a restituirla al Borgo.

Questo fatto mi ferì e mi inibì almeno per un paio di mesi. Il tempo, anche poco, guarisce certi malesseri, e poi m'aiutò Charlie Chaplin perché incontrai, non rammento dove, un suo aforisma: ”Un giorno senza un sorriso (di una ragazza) è un giorno perso”. Infine mi imbattei in quella che sposai davanti ad un prete vero, tanto vero che pesava un quintale e mezzo.

Questo matrimonio dura ancora, cioè da una sessantina di anni. E' fuori moda, considerato che nell'era corrente sono sempre di più le separazioni e le libere unioni. Io e mia moglie abbiamo fatto tutte le battaglie, gli armistizi e i trattati di pace che si trovano in un libro di storia.
Ma non ci siamo mai arresi.

Franco Ruinetti