LE VACANZE DELLA MENTE E I RIENTRI DI UN OTTUAGENARIO
I ricordi si accendono come lucciole nel campo della
fanciullezza. Ogni fiammella ruba all'improvviso l'attenzione. Per quel tanto
che resta, la invade tutta. E' padrona.
Spesso torno fanciullo, indosso i
pantaloni alla zuava marroni cuciti dalla mamma su una gonnella di fustagno
smessa. Vado tutte le sere con Tino, che è contadino falegname muratore grosso
forte e ride come un trattore, alla vasca con le vacche e lui frulla fra le
labbra un fischio, così loro bevono più volentieri. L'acqua cala a vista
d'occhio. Dice che il fischio è una lingua, quando è sibilato aiuta a fare la
pipì.
Vorrei essere tutta la vita fanciullo, tornare insieme alla
nonna che firma con la croce e ha la laurea nella bontà. E' più santa dei santi
degli altari perché non ha l'aureola.
Il gatto nero qualche notte va fuori casa e fa urli
“disumani” per spaventare il lupo mannaro. Il mio babbo invece dice che suona
il violino alle gatte.
Una ventata fredda, alla svolta della strada, m'ha fatto
traballare.
Continuo a scappare dal presente. Ho fatto un camion con la
scatola dalle scarpe, il coperchio è diventato rimorchio. Trasporta gomitoli di
lana bianca nera gialla e le patate, ma poche sennò si spezza il filo del
traino.
La mattina della domenica, più o meno una sì e una no, è
festa col pane burro e marmellata.
Quando ho la febbre e rimango a letto conto i travetti del
soffitto e ce n'è sempre uno di meno o uno di più. I conti non tornano.
Allora la mamma mi porta una tazza di latte della capra che
è tutta un'altra cosa.
E quando, per via della guerra, si dorme nel rifugio alla
macchia io conto le stelle, ma mi devo arrendere perché sono più numerose dei
numeri.
“Mamma sento bruciare”, ha urlato mia sorella Giuliana,
svegliando tutti. Una scheggia di granata s'era conficcata rasente al suo
fianco.
Checco, il fratello di Tino, ci ha il clarinetto che una
volta chiama “lo strumento”, un'altra “il piffero”. E' bravo, ha suonato anche
al matrimonio. Una sera ha radunato noi ragazzi dietro al pagliaio, vicino alla
cuccia della Lola, poi ha drizzato il dito sulla bocca e ha fatto “Ssst”. Dopo
aver detto “Ouverture” ha cominciato il concerto. Ma il suo vecchio babbo, che
fuma la pipa seduto sulle scale, gli ha berciato di smetterla sennò le galline
non fanno più le uova.
Il mio amico Vittorio, più grande di me, mi ha confidato
sottovoce d'aver sentito che, se al comando c'era la Delia, la figlia del
Trippone, non sarebbe avvenuta la guerra perché lei fa la pace con tutti.
La Gismunda, pallida allampanata, quando suonano le campane
per i vespri, sente le voci. Non dice quello che dicono. Invece di andare a
cenare, se ne va da sola in fondo al campo dietro la siepe e stringe in mano la
corona. Prega per suo figlio che hanno mandato in Russia. E' di poche parole,
che le ho sentito ripetere: “Armiamoci e partite”. “Li hanno mandati a morire e
loro ingrassano”. Una donna, non conosco il nome, la chiamano “Signora”, ha
giudicato quelle frasi vere come è vero un vangelo ridotto all'osso. Una volta
la Gismunda, che ha la chioma di stoppa, m'ha dato un bacio screpolato sulla
fronte e, sillabando “Dio ti benedica”, m'ha passato una mano leggera sulla
testa. Quella carezza non è andata persa, neanche quando ho perso i capelli.
Il sor Gigi, importante ragioniere del Comune, sempre col
cappello e la cravatta, mentre faceva i suoi bisogni in un separé della
concimaia, che è uno dei gabinetti satelliti della stalla, è stato beccato nel
sedere dal gallo. Gli ha fatto uscire il sangue perché lui ha la pelle come
quella di un bambino. Quando racconta il fatto, scrollando la testa, conclude:
“Non esiste più il rispetto”.
Il mio babbo, ogni tanto, ha qualche caramella di menta in
tasca che, mi sembra, non lo fanno fumare meno, ma di più. A me non me ne dà
perché mi ricordano quella volta dell'ammoniaca. Sono forti, mi farebbero
restare a bocca aperta. Ne ha data una a Pietrino. L'ha scartata, messa in
bocca e subito sputata.
“Perché?” gli ha chiesto il mio babbo.
“E' ancora acerba!” ha risposto.
Spesso, così rompendo il tempo, mi ritrovo in quella
chiesetta, poco più di una cappella, dove l'oscurità tremola alle fiamme delle
due candele. Nella piccola bara c'è la Rosina, che non ha ancora sette anni.
L'ha colpita in mezzo al petto la scheggia, una briciola della guerra.
Camminava, correva, sempre scalza, dietro alla chioccia e alla scolaresca dei
pulcini, anche dove ci sono le stoppie. Ora ha il vestitino della domenica e le
scarpe quasi nuove, ma non le servono più perché il prete ha detto che è un
angelo e sulle nuvole non ci sono i sassi aguzzi, né gli spini. Ad un certo
punto io non resisto. Scappo al torrente per nascondermi. Mi metto a sedere su
uno scoglio, scaglio un sasso nell'acqua, con rabbia. Poi penso e dico a denti
stretti: ”Il mondo è cattivo”. Alzando la testa il sole gioca con i lucciconi.
“Il mondo è cattivo, ma è bello”.
Corollario
I vecchi tornano fanciulli. Verissimo. E' una fortuna.
Allora scendo, senza farne richiesta, né pagare alcuna gabella, dal carrozzone
del tempo corrente e questo, soprattutto quando la memoria è garbata,
rappresenta un privilegio. La terra volge al contrario, assisto ad un film di
svariati spezzoni indipendenti, liberi, imprevedibili. Ripercorro i fatti
stando in poltrona o a letto. Mi muovo da fermo, vedo chi non c'è, ad occhi
chiusi, ascolto le parole del silenzio. Verso il crepuscolo della mia giornata
suona la brezza della nostalgia, mentre rimbalzano gli echi del primo mattino.
E scappo, sempre senza volerlo, mi allontano a volo radente, approdo altrove in
tempo reale, come oggi si dice, Riconosco in lontananza, purché nella caligine,
mio nonno, con i baffi alla Cecco Beppe, battezzato Solferino, nome strano per
una persona. Evoca un grande evento e quell'amor di patria, che non c'è più e
ormai suona stonato. Roba vecchia, fuori moda.
La “vacanze” nel passato sono vita tra parentesi. Simili a
sogni. Il risveglio immediato è come scendere da una pagina a colori e
ritrovarsi in un'altra in bianco e nero. Rompe l'incanto la voce di mia moglie,
che mi chiama per andare a fare la spesa, del postino che porta le fatture, del
telefono che insiste perché cambi gestore.
Negli anni stramaturi la piazza si sfolla perché gli amici
di sempre cambiano residenza. Riempio la solitudine col computer, poco sennò mi
ubriacherebbe, con i giornali e i telegiornali carichi di notizie tristi. Seguo
la politica e i politici che dovrebbero sempre avere davanti e ringraziare i
martiri morti per unire l'Italia. Quando giornalisti e scienziati parlano di
certi disastri e minacce penso che l'intelligenza tenta di distruggere tutto.
Allora automaticamente scappo nella fanciullezza e riscopro
la vita, ogni giorno è un'avventura nel mondo. Ripasso anche i fatti amari.
Però la luce è sempre quella di una favola.
Franco Ruinetti