E' morto a Sansepolcro l'artista Mario Baragli, figura di spicco e punto di riferimento per l'arte in Valtiberina. Gli rendiamo omaggio riproponendo questo testo critico realizzato qualche anno fa da Franco Ruinetti.
“Non c'è pittura senza il disegno” scrisse Annigoni nel suo Diario e questa verità, anzi questo assioma si evidenzia nelle opere pittoriche di Mario Baragli, il cui segno è attento, dice tutto della realtà che rappresenta ed interpreta senza alcun cedimento al calligrafismo. Si svolge fluido, spontaneo, facile come il respirare. E' sempre rispettoso del soggetto perché l'autore ha una cultura saldamente radicata nella classicità, non avverte l'urgenza di procedere oltre l'apparire e la tradizione.
Il genere, se vogliamo definirlo, cosa tra l'altro non necessaria, è, a pieno titolo, 'figurativo', però ogni classificazione risulta limitativa, d'altronde, in diverse sezioni dei lavori perfino l'astratto viene alla mente, come ad esempio guardando le articolazioni dei rami spogliati dall'inverno (Quercia a Montevicchi, 2005) oppure soffermandoci sulle ombre frastagliate e distese in uno specchio d'acqua (Riflessi sul Tevere, 1997) che sembra nascondano memorie smarrite e ricordano la casualità di Pollok, la dinamica gestuale di Vedova.
Riflessi dul Tevere - 1997 - cm 36x36 |
Il disegno, rapido,
coglie la prima luce dell'ispirazione e resta la base del dipinto; è la traccia
di un embrione generalmente coperta dal colore, ma che un occhio esercitato
riconosce nelle proporzioni, nell'equilibrio della composizione. L'intera
produzione artistica di Baragli è la riprova di una appropriata, felice agilità
disegnativa.
Baragli dipinge dal
vero. I paesaggi, frequenti, sono realizzati o almeno impostati all'aria aperta,
sul posto. Molti gli acquerelli. Per essi ha conseguito premi e riconoscimenti
anche all'estero. Certe declinazioni della luce, trasparenze e velature parlano
di sensibilità e talento rari, che invitano a restare. Le vedute per le quali
si avvale di questa tecnica sono eteree,
quasi levitanti, mentre gli scorci eseguiti con il linguaggio dell'olio hanno
una maggiore concretezza e tuttavia sono ugualmente interessanti. Di norma le
cromie non salgono alle vertigini degli
acuti ed è pur bello perdersi nelle mescolanze e nelle loro dissolvenze.
Si può dire che i
motivi rappresentati sono familiari,
appartengono all'esperienza comune delle genti del luogo. I dipinti parlano dei
panorami che si stendono sulla vallata, della cittadina di Sansepolcro sotto un
manto di neve, delle fiere di mezza quaresima e così via.
La pratica di
pitturare all'aperto evoca il grande capitolo dell'impressionismo, ma con esso
il Nostro ha in comune solo la fedeltà al vero e l'esigenza di andare fuori,
lasciare i muri di casa. Quel movimento di fine '800, che ha prodotto una
straordinaria rivoluzione culturale è una festa smagliante di colori
(Jean Cassou). Gli acquerelli e gli oli di Baragli, invece, non fanno chiasso.
Ogni suo paesaggio è uno stato d'animo. Egli è un intimista.
I paesaggi, le tante
nature morte, che sembrano riposte nei segreti della solitudine, conducono
nelle alture del silenzio. E sul greto del torrente, come nell'oblio di una
mulattiera, in un girotondo di bambini, sulle brocche di rame o di terraglia,
sui vetri sparsi di un fiasco rotto si avverte qualcosa di magico. Che è
poesia.
Nei rami nudi e
tortuosi di una pianta e nei grovigli del sottobosco (Quercia a Santarsa,
1988) insiste un fascino, si direbbe
arcano della realtà. Motivi come questi potrebbero facilmente indurre a
considerare la natura sofferente. Invero l'intonazione generale non è
disperante. La bellezza lega alla vita. Si ha l'impressione che l'arte si
rivolga al tempo perché produca una sosta, nella quale fermare e rappresentare
l'emozione. Ciascuno scorcio e panorama è intensamente vissuto. Di essi restano
sulle tele i ricordi, lembi del passato, con l'alone della nostalgia.
Nevicata - 1985 - cm 34x25 |
Quercia a Montevicchi, Gennaio - 2005 - cm 37x37 |
Mario Baragli è un
conversatore che apprezza la compagnia. E' un cultore della parola, il suo dire
è rappresentativo, conciso, piacevole senza perdersi nei rivoli,
però ama anche restare da solo, nel suo studio, fucina dell'arte oppure sotto i
cieli delle stagioni.
Riconsideriamo le
cosiddette nature morte. Sono tante e offrono combinazioni, composizioni,
soggetti diversi e di varia natura. Ogni quadro pare presenti un angolo della
casa, forse della soffitta, dove sostare immersi nella luce morbida, accesa in
qualche accento sulle rotondità della frutta o dei metalli, che brilla
brevemente quando incontra le superfici curve di bicchieri o bottiglie di
vetro.
Nel settore delle
nature morte si annoverano i molti dipinti sulla cacciagione. Ecco Lepre e
beccacce (1998) appesi per le zampe ad un sostegno, Starne (1987), Germani
reali (1992) e molti altri volatili. Di certo chi è avverso alla caccia
potrà storcere il naso, ma al proposito è giusto rammentare il Bove
squartato di Rembrandt, “Così ingrato come soggetto, così ammirevole
come pittura” (Marangoni). Quegli sfondi neutri, dai colori aeriformi
commisti, inducono ad orientare l'attenzione sugli argomenti protagonisti,
sugli spenti animali dai piumaggi quali vesti fatte con suggestive armonie
cromatiche.
Infine riconsideriamo
i paesaggi e tra essi quelli delle nevicate. Baragli con tali opere rivive e sa
farci rivivere intatti gli stupori di quando eravamo fanciulli. Il suo bianco è
un silenzio immenso, tensione verso la purezza, luce incantata di un mondo surreale,
con l'orizzonte vicino, indecifrabile, come se nascondesse il dopo.
Lepre e beccacce - 1998 - cm 60x70 |
Quercia a Santarsa - 1988 - cm 36x36 |
Note sull'artista:
Mario Baragli nasce a Sansepolcro (Arezzo) il 25 febbraio 1919. Muore nel gennaio 2018.
Un anno dopo aver conseguito la maturità classica, si arruola
nell'esercito. E' il 30 agosto 1919. Di lì a un giorno scoppia la seconda
guerra mondiale che lo vedrà impegnato in prima linea come tenente del 183°
Reggimento Paracadutisti “Nembo”, poi Gruppo Combattimento “Folgore”. Quando nel 1945 ottiene il congedo, ha già conseguito la laurea in
giurisprudenza che gli permette di esercitare fin da subito la professione di
avvocato. Durante i suoi 50 anni di attività legale, Baragli si impegna
attivamente anche in politica: ricopre l'incarico di Sindaco di Sansepolcro dal
1946 al 1950 e quello di Consigliere provinciale per quattro legislature. Fin
da giovanissimo si dedica alla pittura, allestendo la sua prima mostra nel 1945. Da allora le sue opere sono state
esposte in numerose esibizioni, in Italia e all'estero. In particolare si
ricorda la sua partecipazione nel 1993, unico artista italiano, all'annuale
“Summer Open Exibition” di Londra, organizzata dalla Royal Watercolours
Society, presieduta dalla Regina d'Inghilterra.