Una serie di piccoli particolari rubati ad alcune opere esposte al PiccoloMuseo di Fighille.....
mercoledì 31 gennaio 2018
martedì 30 gennaio 2018
lunedì 29 gennaio 2018
domenica 28 gennaio 2018
sabato 27 gennaio 2018
venerdì 26 gennaio 2018
giovedì 25 gennaio 2018
mercoledì 24 gennaio 2018
La morte di Mario Baragli
E' morto a Sansepolcro l'artista Mario Baragli, figura di spicco e punto di riferimento per l'arte in Valtiberina. Gli rendiamo omaggio riproponendo questo testo critico realizzato qualche anno fa da Franco Ruinetti.
“Non c'è pittura senza il disegno” scrisse Annigoni nel suo Diario e questa verità, anzi questo assioma si evidenzia nelle opere pittoriche di Mario Baragli, il cui segno è attento, dice tutto della realtà che rappresenta ed interpreta senza alcun cedimento al calligrafismo. Si svolge fluido, spontaneo, facile come il respirare. E' sempre rispettoso del soggetto perché l'autore ha una cultura saldamente radicata nella classicità, non avverte l'urgenza di procedere oltre l'apparire e la tradizione.
Il genere, se vogliamo definirlo, cosa tra l'altro non necessaria, è, a pieno titolo, 'figurativo', però ogni classificazione risulta limitativa, d'altronde, in diverse sezioni dei lavori perfino l'astratto viene alla mente, come ad esempio guardando le articolazioni dei rami spogliati dall'inverno (Quercia a Montevicchi, 2005) oppure soffermandoci sulle ombre frastagliate e distese in uno specchio d'acqua (Riflessi sul Tevere, 1997) che sembra nascondano memorie smarrite e ricordano la casualità di Pollok, la dinamica gestuale di Vedova.
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Riflessi dul Tevere - 1997 - cm 36x36 |
Il disegno, rapido,
coglie la prima luce dell'ispirazione e resta la base del dipinto; è la traccia
di un embrione generalmente coperta dal colore, ma che un occhio esercitato
riconosce nelle proporzioni, nell'equilibrio della composizione. L'intera
produzione artistica di Baragli è la riprova di una appropriata, felice agilità
disegnativa.
Baragli dipinge dal
vero. I paesaggi, frequenti, sono realizzati o almeno impostati all'aria aperta,
sul posto. Molti gli acquerelli. Per essi ha conseguito premi e riconoscimenti
anche all'estero. Certe declinazioni della luce, trasparenze e velature parlano
di sensibilità e talento rari, che invitano a restare. Le vedute per le quali
si avvale di questa tecnica sono eteree,
quasi levitanti, mentre gli scorci eseguiti con il linguaggio dell'olio hanno
una maggiore concretezza e tuttavia sono ugualmente interessanti. Di norma le
cromie non salgono alle vertigini degli
acuti ed è pur bello perdersi nelle mescolanze e nelle loro dissolvenze.
Si può dire che i
motivi rappresentati sono familiari,
appartengono all'esperienza comune delle genti del luogo. I dipinti parlano dei
panorami che si stendono sulla vallata, della cittadina di Sansepolcro sotto un
manto di neve, delle fiere di mezza quaresima e così via.
La pratica di
pitturare all'aperto evoca il grande capitolo dell'impressionismo, ma con esso
il Nostro ha in comune solo la fedeltà al vero e l'esigenza di andare fuori,
lasciare i muri di casa. Quel movimento di fine '800, che ha prodotto una
straordinaria rivoluzione culturale è una festa smagliante di colori
(Jean Cassou). Gli acquerelli e gli oli di Baragli, invece, non fanno chiasso.
Ogni suo paesaggio è uno stato d'animo. Egli è un intimista.
I paesaggi, le tante
nature morte, che sembrano riposte nei segreti della solitudine, conducono
nelle alture del silenzio. E sul greto del torrente, come nell'oblio di una
mulattiera, in un girotondo di bambini, sulle brocche di rame o di terraglia,
sui vetri sparsi di un fiasco rotto si avverte qualcosa di magico. Che è
poesia.
Nei rami nudi e
tortuosi di una pianta e nei grovigli del sottobosco (Quercia a Santarsa,
1988) insiste un fascino, si direbbe
arcano della realtà. Motivi come questi potrebbero facilmente indurre a
considerare la natura sofferente. Invero l'intonazione generale non è
disperante. La bellezza lega alla vita. Si ha l'impressione che l'arte si
rivolga al tempo perché produca una sosta, nella quale fermare e rappresentare
l'emozione. Ciascuno scorcio e panorama è intensamente vissuto. Di essi restano
sulle tele i ricordi, lembi del passato, con l'alone della nostalgia.
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Nevicata - 1985 - cm 34x25 |
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Quercia a Montevicchi, Gennaio - 2005 - cm 37x37 |
Mario Baragli è un
conversatore che apprezza la compagnia. E' un cultore della parola, il suo dire
è rappresentativo, conciso, piacevole senza perdersi nei rivoli,
però ama anche restare da solo, nel suo studio, fucina dell'arte oppure sotto i
cieli delle stagioni.
Riconsideriamo le
cosiddette nature morte. Sono tante e offrono combinazioni, composizioni,
soggetti diversi e di varia natura. Ogni quadro pare presenti un angolo della
casa, forse della soffitta, dove sostare immersi nella luce morbida, accesa in
qualche accento sulle rotondità della frutta o dei metalli, che brilla
brevemente quando incontra le superfici curve di bicchieri o bottiglie di
vetro.
Nel settore delle
nature morte si annoverano i molti dipinti sulla cacciagione. Ecco Lepre e
beccacce (1998) appesi per le zampe ad un sostegno, Starne (1987), Germani
reali (1992) e molti altri volatili. Di certo chi è avverso alla caccia
potrà storcere il naso, ma al proposito è giusto rammentare il Bove
squartato di Rembrandt, “Così ingrato come soggetto, così ammirevole
come pittura” (Marangoni). Quegli sfondi neutri, dai colori aeriformi
commisti, inducono ad orientare l'attenzione sugli argomenti protagonisti,
sugli spenti animali dai piumaggi quali vesti fatte con suggestive armonie
cromatiche.
Infine riconsideriamo
i paesaggi e tra essi quelli delle nevicate. Baragli con tali opere rivive e sa
farci rivivere intatti gli stupori di quando eravamo fanciulli. Il suo bianco è
un silenzio immenso, tensione verso la purezza, luce incantata di un mondo surreale,
con l'orizzonte vicino, indecifrabile, come se nascondesse il dopo.
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Lepre e beccacce - 1998 - cm 60x70 |
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Quercia a Santarsa - 1988 - cm 36x36 |
Note sull'artista:
Mario Baragli nasce a Sansepolcro (Arezzo) il 25 febbraio 1919. Muore nel gennaio 2018.
Un anno dopo aver conseguito la maturità classica, si arruola
nell'esercito. E' il 30 agosto 1919. Di lì a un giorno scoppia la seconda
guerra mondiale che lo vedrà impegnato in prima linea come tenente del 183°
Reggimento Paracadutisti “Nembo”, poi Gruppo Combattimento “Folgore”. Quando nel 1945 ottiene il congedo, ha già conseguito la laurea in
giurisprudenza che gli permette di esercitare fin da subito la professione di
avvocato. Durante i suoi 50 anni di attività legale, Baragli si impegna
attivamente anche in politica: ricopre l'incarico di Sindaco di Sansepolcro dal
1946 al 1950 e quello di Consigliere provinciale per quattro legislature. Fin
da giovanissimo si dedica alla pittura, allestendo la sua prima mostra nel 1945. Da allora le sue opere sono state
esposte in numerose esibizioni, in Italia e all'estero. In particolare si
ricorda la sua partecipazione nel 1993, unico artista italiano, all'annuale
“Summer Open Exibition” di Londra, organizzata dalla Royal Watercolours
Society, presieduta dalla Regina d'Inghilterra.
martedì 23 gennaio 2018
lunedì 22 gennaio 2018
domenica 21 gennaio 2018
sabato 20 gennaio 2018
Il Chiellini di Man
Giorgio Chiellini: «Mi taglio lo stipendio per aiutare gli altri»
Il
prossimo capitano della Nazionale è il primo italiano ad aver aderito
al progetto Common Goal: calciatori di tutto il mondo rinunciano all’1%
lordo del compenso. La somma raccolta va in beneficenza.
venerdì 19 gennaio 2018
giovedì 18 gennaio 2018
mercoledì 17 gennaio 2018
Segnalazioni d'arte (225) - Margherita d'argento - Cesena
Torna anche quest'anno uno dei piu' longevi ed importanti concorsi di pittura in Italia. Si svolgerà infatti dal 20 al 25 febbraio 2018 la 43° edizione del Premio Margherita d'Argento a Cesena. Organizzato dalla Parrocchia di San Rocco costituisce uno dei concorsi piu' longevi e partecipati a livello nazionale. In palio un montepremi molto importante fra cui n. 3 primi premi da € 1000,00.
martedì 16 gennaio 2018
lunedì 15 gennaio 2018
domenica 14 gennaio 2018
sabato 13 gennaio 2018
venerdì 12 gennaio 2018
Le vacanze della mente.... (by Franco Ruinetti)

LE VACANZE DELLA MENTE E I RIENTRI DI UN OTTUAGENARIO
I ricordi si accendono come lucciole nel campo della
fanciullezza. Ogni fiammella ruba all'improvviso l'attenzione. Per quel tanto
che resta, la invade tutta. E' padrona.
Spesso torno fanciullo, indosso i
pantaloni alla zuava marroni cuciti dalla mamma su una gonnella di fustagno
smessa. Vado tutte le sere con Tino, che è contadino falegname muratore grosso
forte e ride come un trattore, alla vasca con le vacche e lui frulla fra le
labbra un fischio, così loro bevono più volentieri. L'acqua cala a vista
d'occhio. Dice che il fischio è una lingua, quando è sibilato aiuta a fare la
pipì.
Vorrei essere tutta la vita fanciullo, tornare insieme alla
nonna che firma con la croce e ha la laurea nella bontà. E' più santa dei santi
degli altari perché non ha l'aureola.
Il gatto nero qualche notte va fuori casa e fa urli
“disumani” per spaventare il lupo mannaro. Il mio babbo invece dice che suona
il violino alle gatte.
Una ventata fredda, alla svolta della strada, m'ha fatto
traballare.
Continuo a scappare dal presente. Ho fatto un camion con la
scatola dalle scarpe, il coperchio è diventato rimorchio. Trasporta gomitoli di
lana bianca nera gialla e le patate, ma poche sennò si spezza il filo del
traino.
La mattina della domenica, più o meno una sì e una no, è
festa col pane burro e marmellata.
Quando ho la febbre e rimango a letto conto i travetti del
soffitto e ce n'è sempre uno di meno o uno di più. I conti non tornano.
Allora la mamma mi porta una tazza di latte della capra che
è tutta un'altra cosa.
E quando, per via della guerra, si dorme nel rifugio alla
macchia io conto le stelle, ma mi devo arrendere perché sono più numerose dei
numeri.
“Mamma sento bruciare”, ha urlato mia sorella Giuliana,
svegliando tutti. Una scheggia di granata s'era conficcata rasente al suo
fianco.
Checco, il fratello di Tino, ci ha il clarinetto che una
volta chiama “lo strumento”, un'altra “il piffero”. E' bravo, ha suonato anche
al matrimonio. Una sera ha radunato noi ragazzi dietro al pagliaio, vicino alla
cuccia della Lola, poi ha drizzato il dito sulla bocca e ha fatto “Ssst”. Dopo
aver detto “Ouverture” ha cominciato il concerto. Ma il suo vecchio babbo, che
fuma la pipa seduto sulle scale, gli ha berciato di smetterla sennò le galline
non fanno più le uova.
Il mio amico Vittorio, più grande di me, mi ha confidato
sottovoce d'aver sentito che, se al comando c'era la Delia, la figlia del
Trippone, non sarebbe avvenuta la guerra perché lei fa la pace con tutti.

La Gismunda, pallida allampanata, quando suonano le campane
per i vespri, sente le voci. Non dice quello che dicono. Invece di andare a
cenare, se ne va da sola in fondo al campo dietro la siepe e stringe in mano la
corona. Prega per suo figlio che hanno mandato in Russia. E' di poche parole,
che le ho sentito ripetere: “Armiamoci e partite”. “Li hanno mandati a morire e
loro ingrassano”. Una donna, non conosco il nome, la chiamano “Signora”, ha
giudicato quelle frasi vere come è vero un vangelo ridotto all'osso. Una volta
la Gismunda, che ha la chioma di stoppa, m'ha dato un bacio screpolato sulla
fronte e, sillabando “Dio ti benedica”, m'ha passato una mano leggera sulla
testa. Quella carezza non è andata persa, neanche quando ho perso i capelli.
Il sor Gigi, importante ragioniere del Comune, sempre col
cappello e la cravatta, mentre faceva i suoi bisogni in un separé della
concimaia, che è uno dei gabinetti satelliti della stalla, è stato beccato nel
sedere dal gallo. Gli ha fatto uscire il sangue perché lui ha la pelle come
quella di un bambino. Quando racconta il fatto, scrollando la testa, conclude:
“Non esiste più il rispetto”.
Il mio babbo, ogni tanto, ha qualche caramella di menta in
tasca che, mi sembra, non lo fanno fumare meno, ma di più. A me non me ne dà
perché mi ricordano quella volta dell'ammoniaca. Sono forti, mi farebbero
restare a bocca aperta. Ne ha data una a Pietrino. L'ha scartata, messa in
bocca e subito sputata.
“Perché?” gli ha chiesto il mio babbo.
“E' ancora acerba!” ha risposto.
Spesso, così rompendo il tempo, mi ritrovo in quella
chiesetta, poco più di una cappella, dove l'oscurità tremola alle fiamme delle
due candele. Nella piccola bara c'è la Rosina, che non ha ancora sette anni.
L'ha colpita in mezzo al petto la scheggia, una briciola della guerra.
Camminava, correva, sempre scalza, dietro alla chioccia e alla scolaresca dei
pulcini, anche dove ci sono le stoppie. Ora ha il vestitino della domenica e le
scarpe quasi nuove, ma non le servono più perché il prete ha detto che è un
angelo e sulle nuvole non ci sono i sassi aguzzi, né gli spini. Ad un certo
punto io non resisto. Scappo al torrente per nascondermi. Mi metto a sedere su
uno scoglio, scaglio un sasso nell'acqua, con rabbia. Poi penso e dico a denti
stretti: ”Il mondo è cattivo”. Alzando la testa il sole gioca con i lucciconi.
“Il mondo è cattivo, ma è bello”.
Corollario
I vecchi tornano fanciulli. Verissimo. E' una fortuna.
Allora scendo, senza farne richiesta, né pagare alcuna gabella, dal carrozzone
del tempo corrente e questo, soprattutto quando la memoria è garbata,
rappresenta un privilegio. La terra volge al contrario, assisto ad un film di
svariati spezzoni indipendenti, liberi, imprevedibili. Ripercorro i fatti
stando in poltrona o a letto. Mi muovo da fermo, vedo chi non c'è, ad occhi
chiusi, ascolto le parole del silenzio. Verso il crepuscolo della mia giornata
suona la brezza della nostalgia, mentre rimbalzano gli echi del primo mattino.
E scappo, sempre senza volerlo, mi allontano a volo radente, approdo altrove in
tempo reale, come oggi si dice, Riconosco in lontananza, purché nella caligine,
mio nonno, con i baffi alla Cecco Beppe, battezzato Solferino, nome strano per
una persona. Evoca un grande evento e quell'amor di patria, che non c'è più e
ormai suona stonato. Roba vecchia, fuori moda.
La “vacanze” nel passato sono vita tra parentesi. Simili a
sogni. Il risveglio immediato è come scendere da una pagina a colori e
ritrovarsi in un'altra in bianco e nero. Rompe l'incanto la voce di mia moglie,
che mi chiama per andare a fare la spesa, del postino che porta le fatture, del
telefono che insiste perché cambi gestore.
Negli anni stramaturi la piazza si sfolla perché gli amici
di sempre cambiano residenza. Riempio la solitudine col computer, poco sennò mi
ubriacherebbe, con i giornali e i telegiornali carichi di notizie tristi. Seguo
la politica e i politici che dovrebbero sempre avere davanti e ringraziare i
martiri morti per unire l'Italia. Quando giornalisti e scienziati parlano di
certi disastri e minacce penso che l'intelligenza tenta di distruggere tutto.
Allora automaticamente scappo nella fanciullezza e riscopro
la vita, ogni giorno è un'avventura nel mondo. Ripasso anche i fatti amari.
Però la luce è sempre quella di una favola.
Franco Ruinetti
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