MASSOLO VISTO DA RUINETTI
La realtà è trasposta sulle tele
e si rivede subito con piacere, ma su essa opera la memoria e prende forma il
dato emozionale, controllato, come sospeso nell’attesa. Il risultato è quello
di una visione pacata, conseguente al desiderio di uscire da sé (tempo più o
meno breve, qualche inavvertito battere di palpebre oppure raccoglimento
profondo in una preghiera) per superare
le brume delle pene che appesantiscono il cammino e volare nella luce della
libertà. I dipinti allora hanno le note delle stagioni, continuano il lamento
del mare a Belluria nei giorni grigi di freddo, sono musica sull’onda della
collina. Rappresentano la realtà, ma questo non è lo scopo. Al proposito
vengono alla mente le parole di Goethe: basta che un artista scelga un soggetto
perché esso non appartenga più alla natura.
Mario Massolo dipinge dal vero. Non inventa né le vedute, né se stesso. Come una volta. La sincerità e la ricerca impongono l’abbandono delle comodità. Lo si può trovare nel bollore della calura oppure nel mezzo dei mattini più rigidi. L’algore dell’inverno o il sole che, calato all’orizzonte, lascia il crepuscolo, prima diventano sensazioni, poi si vestono di colori.Pittura extraurbana. In genere è così, non con intenti polemici o contestatari, ma per l’esigenza di disperdersi e riconoscersi nella natura, nei suoi elementi, di sentirsi partecipe dell’Assoluto. Quadri dalle superfici contenute e medie. Ognuno di essi significa compiutamente un ritratto spirituale dell’autore. Pittura monotematica. Anche questo è quasi vero. Rare, infatti, le nature morte, non frequenti i ritratti e le figure umane. Su una tela grande, anche per questo è un’eccezione, campeggia sua moglie. Realizzata con piani di luce, con linee essenziali, riferita col pennello in termini plastici, è fusione tra concetti di spazio e poesia. Tali lavori sono ulteriore testimonianza, se ce ne fosse bisogno, della sua preparazione che ha avuto inizio negli anni della scuola, che, si può affermare, non ha saltato un giorno e cresce intesa all’impossibile soddisfazione.
I suoi colori sono la voce
dell’anima. Non si trovano in commercio. Li prepara con collanti e
componenti naturali che seleziona scrupolosamente per accordarli alla propria
sensibilità. Pittura contemporaneamente
popolare e colta. Il linguaggio figurativo si
qualifica per una sintassi universale. Il talento, però, pur
rispettandolo, sa andare oltre il vero oggettivo, benché sia difficile, come
dichiara Renoir, stabilire “le point où doit s’arrêter dans un tableau
l’imitation de la nature”. Sono scorci del mondo
dell’esperienza comune, quasi familiari e amichevoli; subito stabiliscono
rapporti interiori e la bellezza sembra facile.
acquatinta |
In effetti il pensiero ed il
sentire, detti con parole chiare e piane, possono essere trasmessi fino alle
più profonde vibrazioni per coinvolgere ed evadere da quella grande prigione
che per Enzo Ferrari era la vita. Nei quadri di questo artista, dai colori
sicuri, dagli impasti ora densi, ora ariosi, che intonano levità poetiche e
trascendenza, c’è anche tenace attaccamento alla realtà. Non può sfuggire la
sensualità di certi rossi che declinano verso il rosa o il forte legame con la
natura di quel verde screziato, marcio, che si dissolve in altre cromie.
Quadri che raccontano la vigna
d’autunno, la quale ha nelle foglie bagliori di fiamme e l’agonia del giallo,
le nevicate che distendono sulle colline lo stupore del silenzio, i casolari
montani, idilli della nostra solitudine. Propongono talvolta grigiori di cieli,
prati dalle mescolanze stemperate nel velo del bianco o del marrone, accensioni
e sfibrature di luci calcinate, forse improbabili nella ripetizione speculare,
ma avvertite nell’equilibrio dell’insieme, per dare forma e colore alla quiete
nel sorriso nella malinconia.
Il forno di Fighille (1982) |
E c’è anche del simbolismo sui
generis in questi dipinti, prezioso e sfuggente nelle distese dei panorami che
aprono i segreti delle meditazioni. Effettuando per un attimo una visione
laterale e radente delle opere si può intuire un altro motivo. Sulla superficie
dei campi, sui fianchi dei monti, tra le fronde dei pioppi, nelle quali i vari
colori si attutiscono per la lontananza, trascorre come un fremito appena
percettibile, un soffio leggero d’oro o d’argento. Nell’iconografia
tradizionale, in particolar modo nel medioevo, certi splendori esaltano la
spiritualità. Mario Massolo intende ovunque, nel canto della luce e nei recessi
dell’ombra, nel cielo come nella nuda terra, i significati del sacro.
(Franco Ruinetti)