venerdì 23 aprile 2021

Ripensando (by Franco Ruinetti)

  

RIPENSANDO

La casa è diventata una prigione col covid19 in agguato. Gli incontri sono da evitare, la vita è diversa. Bisogna stare guardinghi, il pericolo invisibile è ovunque. Si esce poco, solo per necessità. La TV è accesa tutto il giorno, ma dopo un po' stanca e la si lascia blaterare da sola. In genere, dentro quello schermo ci sono molti pontefici, poi la gente ride, scherza, sembra di un altro pianeta. Prendo un libro e leggo, ma presto sento che consumo gli occhi. Mi stanco. A questa età non ho più voglia di studiare. La mia cultura, in confronto a quella di certi mostri sacri, mi sembra quella delle elementari o giù di lì, ma ormai m'avanza.

Mi viene la noia, che è stanchezza di vivere.

Allora chiudo gli occhi e penso, anzi, di nuovo ripenso. Mi torna presente un argomento del quale, in parte, ho già parlato, ma ne scrivo ancora per liberare la mente.

Mi rivedo vagabondare con gli amici della ronda notturna nei primi anni '50. Il convegno era dopo cena, fuori porta. Ora si formava un solo gruppo, ora ci si divideva. Qualcuno preferiva sedersi sulle panchine in pietra di Trani, non certo d'inverno quando avevano il tappeto di neve.

Sui tetti del paese non c'era la folla fitta delle antenne televisive, scheletri nudi e Mike Bongiorno non aveva ancora stipato le genti nei bar. Altri tempi. La compagnia era l'approdo delle solitudini.

Io ero quasi studente, renitente alle briglie, sbalordito, randagio nella giovinezza. Covavo un grande amore, lo nascondevo dentro di me.

I nomi di tutti i componenti la brigata delle ore vecchie del giorno non li ricordo. Sono volati più di 60 anni. Ma non ho perso certe espressioni e le fisionomie. Esse, pur lontane, si fanno largo nella nebbia del tempo e appaiono distinte.

Eccolo: Cric, tozzo e forte come un bue, viene a galla nel gorgo della memoria. Lo chiamavamo così perché era capace di sollevare una macchina e, in una di queste dimostrazioni, staccò un paraurti. Una volta litigò e ne buscò perché era lento come una lumaca, poi era buono, preferiva prenderle piuttosto che far male. Sembrava non sentisse le botte, che fossero carezze. Di lui non ho saputo più niente. S'è perso nella girandola degli anni.

Nel film della memoria compaiono altri protagonisti.

Ecco Roberto alto e smilzo, con i capelli neri crespi e le sopracciglia come cespugli. Si lamentava perché, da un anno, aveva fatto domanda alla Buitoni per essere assunto, ma diceva : "Prendono tutti, ma a me no."

Finalmente gli arrivò la cartolina, però non lo chiamarono per lavorare nella fabbrica del paese. Lo spedirono a fare la pastasciutta a Parigi, dove quella ditta aveva un altro stabilimento.

Lasciò un vuoto nella ronda del buio perché era intonato, cantava sotto il lampione comunale "O sole mio", in sordina per non disturbare la notte addormentata.

Tornò con una 'Renault quattro cavalli' sgangherata solo dopo qualche mese per la morte improvvisa della sorella di 9 anni, che io ricordo distesa sul letto, pallida come il lenzuolo. Aveva le calze bianche e le scarpe nere di vernice. Andava in paradiso col vestito della domenica e con le scarpe nuove.

 
Spesso partecipava a queste adunanze un giovanotto ricco, anzi straricco. Per la morte del padre aveva ereditato una villa e una tenuta. Ora viveva con la vecchia governante. Lo chiamavamo Cozzo. Dopo le assenze si giustificava dicendo che era dovuto andare con una tale bella signora. Una volta rivelò, a mezza voce, d'essere stato con un'attrice. "Aveva perso la via di casa?" insinuò il suo confidente. Ma lui non rispose e cambiò argomento. Forse il senno, talvolta, gli si perdeva nel labirinto della grossa testa.

Seppi poi, diversi anni dopo, quando quegli incontri erano già all'orizzonte del passato, che si era accasato da una donna, madre di tre figli di padri ignoti. Si accollò tutta la famiglia. Portò il benessere in quel nido che, fino ad allora, era stato bersaglio della sfortuna.

Eccolo: Tripoli. Tutti lo chiamavano così come lo aveva ribattezzato suo padre per i capelli inchiostro di china e la pelle olivastra. Nelle passeggiate notturne era solito prendere a braccetto Cric, che ascoltava paziente le sue lamentazioni. Aveva un piccolo lavoro, faceva il garzone in uno scatolificio. Aveva il chiodo fisso delle ragazze, che non lo volevano. Si era dichiarato a diverse, ma niente, niente di niente, riteneva che la sua vita fosse una disfatta. Una sera radunò gli amici a cerchio sotto una lampada asmatica del  comune e disse: "Ho deciso, vi saluto, vado al nord dell'Europa, ho saputo che lassù è un altro mondo."

Partì e dopo un paio di mesi arrivò a Cric una lettera con la sua firma: Tripoli. La scrittura era larga, come sui quaderni di seconda elementare. Diceva che gli avevano dato un lavoro, faceva il guardiano di notte 'al posto del cane'. Inoltre: "Donne niente, potevo fare il frate." Secondo lui in quel posto tutto era un'altra cosa, la lingua era strana, il giorno era strano, il sole era scialbo e, però, anche lì le donne erano degli altri. Era capitato in un altro mondo. " Sì, all'inferno."

La lettera finiva così: "Aspettatemi, appena posso torno."

E' scomparso nel tempo e nella lontananza.

Cari amici della giovinezza! Io poi sono partito dal paese e ogni volta che sono tornato di voi ne ho rivisti sempre meno. Poi non più. Mi sento un residuato del tempo.

Alcuni compagni non hanno mai lasciato la terra dove sono nati. Sono ancora lì. Sotto terra.

A voi, amici, devo le ore più belle di sempre.

Anche le pause di silenzio erano piene di vita e compagnia.

 

 

Franco Ruinetti