Rassegna delle opere presentate al Premio FighilleArte2019 - sezione opere da studio......
venerdì 31 gennaio 2020
giovedì 30 gennaio 2020
mercoledì 29 gennaio 2020
lunedì 27 gennaio 2020
27 gennaio - Il Giorno della Memoria
Ogni anno, nel mondo, il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, la ricorrenza durante la quale vengono ricordati 15 milioni di vittime dell'Olocausto rinchiusi e uccisi nei campi di sterminio nazisti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Sei milioni appartenevano al popolo ebraico: il loro genocidio viene chiamato Shoah.
Diamo il nostro contributo a questa giornata proponendo un'opera dell'artista Gianni Mastrantoni che fa parte della collezione del Piccolomuseo di Fighille.
sabato 25 gennaio 2020
giovedì 23 gennaio 2020
mercoledì 22 gennaio 2020
Il traguardo dei 42000 ingressi virtuali al Piccolomuseo di Fighille !

In questi giorni il Piccolomuseo di Fighille taglia il traguardo dei 42.000 biglietti virtuali! Tanti infatti sono i visitatori che hanno cliccato sulla pagina di ingresso al museo e hanno poi visionato le opere e le schede degli artisti.
martedì 21 gennaio 2020
Il Bigio (By Franco Ruinetti)

IL BIGIO
Che
fine avrà fatto?
Lo
chiamavano Bigio, ma questo era un soprannome che gli derivava dal colore del
vestito, sempre uguale d'estate e d'inverno. Qualcuno lo chiamava Berto, che
forse era l'abbreviativo veloce di Alberto. Lo ricordo, lo rivedo nello schermo
della mente: era un bell'uomo, con una folta chioma nera mossa, con un po' di
nebbia spruzzata sulle basette. Mi faceva pensare ad un divo di Hollywood, di
quelli che mandano in brodo di giuggiole milioni di donne. Viveva con la
vecchia madre e col cane in una casupola col tetto del capanno a lastre, sulla
collina a tre chilometri circa dal paese.
Quest'uomo
suscitava curiosità, tanto che sembrava o forse a me pareva che tutti sapessero
tutto, anche il contrario, di lui. Qualcuno lo stigmatizzava un po' lento di
comprendonio, ma era certo che sapesse fare bene i propri interessi, che era
legato ai soldi, sparagnino. Non era sposato, non aveva un'amante, né una
fidanzata perché la capo di casa glielo impediva: “Le donne vogliono solo i
tuoi soldi.” Questo e molto altro seppi da lui stesso perché alcune volte,
durante le mie escursioni a piedi, passavo da lì e mi fermavo volentieri quando
lo vedevo trafficare nell'aia. Mi piaceva conversare col Bigio, che, al contrario
del giudizio corrente, trovavo interessante, addirittura con guizzi di
originalità. Si esprimeva col rispetto della grammatica, rimbalzava
correttamente dal condizionale al congiuntivo. Ma la logica incespicava in
improvvisi sobbalzi. Mi disse che aveva frequentato il corso superiore della
scuola elementare e conservava in un cassetto la relativa licenza come quella
del maresciallo dei carabinieri comandante di stazione. E sicuramente possedeva
una buona riserva di risparmi, però le sue tasche, quasi sempre, erano vuote o
leggere perché la borsa la custodiva l'arcigna genitrice, che, probabilmente,
aveva la banca sotto il materasso.
Le
spese della famigliola erano ridotte al minimo. L'orto e il pollaio fornivano
la maggior parte del necessario per il sostentamento.
Scendeva
in paese la mattina di ogni sabato, giorno di mercato. Lo si vedeva passeggiare
lentamente, vien da dire solenne, per il corso, sostare nell'affollata piazza
del centro, sempre perfetto, sempre grigio, compresa la cravatta, con un fazzoletto
rosso a spicchio che spuntava dal taschino. Reggeva, di solito, una borsa,
probabilmente similpelle, marrone sbiadito, paragonabile, come forma, a quelle
che usano i medici, qualche volta piena, gonfia, altra volta più o meno
flaccida. Parlava con tutti, conoscenti e no e a tutti dava del voi, ma non per
reminiscenza fascista, ché di politica non s'interessava, forse per un suo
senso di rispetto, per un certo disagio esistenziale o per inveterata abitudine
familiare, timidezza o va a capire perché. Aveva i suoi affezionati clienti e
le poste fisse. Infat ti la borsa era il suo negozio, sempre più o meno carica
di selvaggina. I tartufi, che però non aveva sempre, li teneva in un mini
cartoccio di carta paglierina nella tasca interna della giacca, che, all'occorrenza,
apriva per fare annusare il loro profumo. Era un mistero: come si procurava
fagiani, allodole e, talvolta, anche la lepre? Che, se non vendeva, barattava
dai negozianti con zucchero, vino, farina e altro ancora. Comprava a sua volta
la cacciagione? Forse. Però girava il sospetto che facesse il bracconiere.
Comunque, se davvero cacciava di frodo, doveva essere proprio bravo per farla
in barba ai carabinieri e per catturare tante bestiole. Invece la provenienza
dei preziosi funghi sotterranei non era un arcano. Li trovava. Aveva addestrato
il cane memore degli insegnamenti di suo padre purtroppo deceduto ancora in
giovane età. Possedeva la relativa licenza. Li vendeva a prezzi ragionevoli.
Glieli acquistava sempre il proprietario dell'albergo pagandoli sull'unghia,
senza battere ciglio.
Tutti
i sabati riusciva a vuotare la borsa e la tasca della giacca, mentre a casa
vuotava il borsello nelle mani della madre. Ma faceva la cresta. Aveva anche
lui le sue private necessità.
Il
paese è piccolo, la gente mormora e lui era spesso protagonista di facezie,
racconti non sempre rispettosi della verità. Dicevano che faceva il bagno al
fiume una volta all'anno, prima di Pasqua, quando si fanno le pulizie di casa
in attesa che passi il parroco per la benedizione rituale. Ne dicevano tante.
Ripenso all'ultima volta che mi fermai a parlarci. Lo trovai, quasi
abbandonato, seduto sull'ultimo gradino della scala esterna di casa e mi parve
strano perché lo avevo visto sempre lavorare, instancabile. Mi fermai e sedetti
senza invito.
“State
male?”
“Chi
ve lo ha detto?”
Aveva
risposto senza rispondere, dribblando la domanda. Poi parlammo, cioè parlò
quasi sempre lui e alcune espressioni mi parvero belle, da scrivere sui libri.
Ne ho disperse molte nella corsa del tempo. A casa non era grigio. Mi saltano
in mente i suoi pantaloni di fustagno marrone, informi, col cavallo basso
quando ancora certamente non era di moda, sostenuti in vita da una cintola
senza la fibbia, annodata come fosse una corda, “umile capestro”. Qualcosa
ricordo, con piacere e nostalgia. Ricordare è ritrovare, rivivere. Quel modo di
parlare saltando da palo in frasca, acrobazie di un atleta della mente, faceva
stare in campana, cioè con l'attenzione sospesa.
“Il
mio babbo era l'uomo più bravo, che si nascondeva nell'umiltà, guadagnava come
fuochista nel treno, scialacquava in carità, prendeva le botte dalla mia mamma,
è morto prima della pensione. Lo so: dicono che ho perso tutti i venerdì, voi
lo sapete?”
“Non
date ascolto alle chiacchiere.”
“Dicono
che vado a rubare...”
“Questo
non l'ha detto nessuno...”
“I
miei insegnanti sono bravi: il silenzio e la solitudine; l'aula è la vallata,
viva, continuamente nuova dall'alba al tramonto, che di notte viaggia nella
paura, ma ride alla nascita del giorno. Il sole e la luna sono marito e moglie.
Vanno d'accordo perché s'incontrano di sfuggita per salutarsi. E uno campa di
giorno, lei di notte Invece il mio babbo e la mia mamma combattevano perché
stavano sempre insieme... All'incrocio, se c'è una donna bella la carica il
camionista. Io ho visto quella con la lacca rossa sulla bocca, con la cipria e
lo stucco sul viso.”
“Sarà
il trucco, il fondotinta...”
“Sì,
come l'intonaco, il restauro.”
Al bar
il Bigio non aveva mai messo piede, ma era presente nelle chiacchiere,
protagonista dopo lo sport e la politica. Lo sapevo, che di tanto in tanto,
faceva visita alle professioniste dell'amore fuggente nella camionabile a poche
centinaia di metri in linea d'aria da casa sua. La frequenza delle uscite non
la conoscevo, però rispondeva al vero che frequentasse quel luogo, difatti me
lo aveva accennato. Ma poi i racconti lievitavano. Un cliente, tra una beccata
e un'altra nella tazza del cappuccino, che apertamente si dichiarava solo
osservatore occasionale dell'amore libero, affermò di averlo visto contrattare
la prestazione, lo aveva sentito chiedere lo sconto come fanno spesso le e gli
acquirenti al mercato. Lo descrisse sempre ben vestito anche in quelle
occasioni, con la cravatta e la borsa d'ordinanza. Una volta raccontò un
episodio, penso però fosse una novella di pessimo gusto. Disse che il Bigio,
non avendo intera la somma richiesta, tirò fuori dalla borsa una starna, ma la
professionista rifiutò l'offerta con decisione.
“Voi
di uccelli non ve ne intendete, ma questo ha il suo costo!”
Al che
la donna, forse erroneamente colpita nell'orgoglio, lo prese a botte con la
borsetta e gli scagliò contro delle male parole. Quando la furia si placò lui
si ricompose e, rimettendo nella borsa il pennuto, le disse con garbo: “Vi
saluto, signora.”
I
presenti risero, io rimasi serio e uno di loro mi rivolse una sguardo fisso,
interrogativo.
Poi il
Bigio scomparve. Appena morta sua madre, in quattro e quattro otto vendette
casa, cane e nessuno seppe più niente di lui. Ancora, dopo tanti anni me lo
chiedo:
“Che
fine avrà fatto?”
Franco Ruinetti
lunedì 20 gennaio 2020
sabato 18 gennaio 2020
Ricordando Fernando Fusco.....
Si parla di FighilleArte anche in Portogallo.
Nel blog portoghese di TEX, uno dei personaggi piu' noti del mondo del fumetto internazionale, qualche anno fa fu dedicato un articolo al grande disegnatore Fernando Fusco e al suo impegno per FighilleArte: dalla mostra di grafiche presso il piccolomuseo alla Via Crucis Fighille-Petriolo.
Il servizio, in lingua originale, lo potete trovare qui.
TexWillerBlog è uno dei siti piu' seguiti in Portogallo ed in America Latina, in particolare in Brasile, dagli amanti del fumetto Bonelli.
Lo riproponiamo per omaggiare Fernando Fusco e per ricordare la sua grande figura d'artista.

Nel blog portoghese di TEX, uno dei personaggi piu' noti del mondo del fumetto internazionale, qualche anno fa fu dedicato un articolo al grande disegnatore Fernando Fusco e al suo impegno per FighilleArte: dalla mostra di grafiche presso il piccolomuseo alla Via Crucis Fighille-Petriolo.
TexWillerBlog è uno dei siti piu' seguiti in Portogallo ed in America Latina, in particolare in Brasile, dagli amanti del fumetto Bonelli.
Lo riproponiamo per omaggiare Fernando Fusco e per ricordare la sua grande figura d'artista.
mercoledì 15 gennaio 2020
Dalla TV ad Abelardo (by Franco Ruinetti)

DALLA TV AD ABELARDO
L'amore è il motore
del mondo, dell'universo, lo dice Dante e c'è da credergli, non fa notizia e
non deve scandalizzare. Questo pensai quando la Barbara D'Urso televisiva, dal
cuore in mano, propose nel suo salotto aperto a milioni di spettatori,
gettandola in pasto a certi invitati arcinoti sputasentenze, la notizia di
alcune suore incinte, quindi donne consacrate, chiuse o quasi nei conventi. Mi bastò
conoscere l'argomento della discussione per spegnere la TV, ma non il motivo.
Allora, ricordai la bella e grande storia di Abelardo ed Eloisa, che
periodicamente mi viene voglia di rileggere e penso rispondano a verità tutti i
fatti che riempiono le pagine. E' una vicenda, almeno in gran parte,
documentata, non soltanto letteraria e poetica come quella di Giulietta e
Romeo. Lui era chierico (come lo sarà, più avanti Francesco Petrarca),
filosofo, teologo benedettino, uomo di grande cultura, ammirato e avversato,
che ancora oggi gli studenti incontrano nel corso degli studi liceali. Lei,
nipote di Fulberto, canonico di Notre Dame, era una giovane non solo precoce,
anche procace. E non sto a farla lunga, s'innamorò perdutamente del suo
maestro, ben più attempato, ma la differenza di età non conta quando il
sentimento è travolgente, quando l'amore è imperativo.
Ebbero un figlio e lo
chiamarono Astrolabio, che è un nome impossibile, ma bello perché vuol dire
'colui che abbraccia le stelle'. Che fine fece questo pargolo non lo so, non ho
indagato, non mi interessa. So che lei si fece o fu fatta suora, poi badessa
del convento. E so quello che capitò a lui, che l'aveva segretamente sposata
benché il suo ruolo non glielo consentisse. Avvenne che, per ordine di Fulberto,
una notte, quattro uomini entrarono nella sua camera e, mentre tre lo
inchiodavano nel letto, l'altro, il castrino dei maiali, lo evirò. Così si
compì l'atroce vendetta dell'ecclesiastico zio. L'umiliazione per il filosofo
fu grande e, da allora sembra non abbia più visto Eloisa. Ma il loro amore
continuò. Ne sono testimonianza le lettere che si scambiarono 'usque ad
mortem'. Esse sono belle e contagiose, parlano di un sentimento padrone
incontrastato del corpo e dell'anima, atto puro, al di sopra delle convenzioni
e convenienze, oltre i sensi e il sesso, che continua anche nelle tenebre
oppure nelle aurore dell'aldilà. E' passione libera, trasparente innocenza, è
il desiderio più alto, quello cioè di volere il bene dell'altro, pertanto non è
peccato e il solo pensare così nell'undicesimo secolo, al centro del medioevo,
è cosa incredibile. Neanche il più alto di tutti i poeti giunse a tanto perché
condannò all'inferno Paolo e Francesca, benché ne provasse profonda pietà.
Nemmeno per questi due innamorati della Divina commedia il confine ultimo della
vita rappresenta la fine della passione, che continua nel mondo ultraterreno.
Ora vengo al mio
incontro con loro. Questo mio desiderio si è realizzato l'ultima volta che fui
a Parigi. Dissi ad un collega:
"Vieni con me,
andiamo in un bel posto."
Così lasciammo la
comitiva e ci dirigemmo al cimitero monumentale Père Laschaise.
"E' vero: m'hai
portato in un bel posto, al camposanto!"
Pensai che avevano
pensato bene di celebrare la storia di tanto amore con un tempietto, che,
considerando il loro tempo doveva, però, essere intonato al romanico piuttosto
che al gotico.
Allo stanco collega
rappresentai sbrigativamente la vicenda dei due titolari di quel monumento, che
vivono ancora il loro grande amore. Dissi anche che, nel corso di un'ispezione,
furono trovate le ossa degli scheletri incrociate, come in un abbraccio eterno.
Così riferì Victor Hugo.
Sempre più stanco e
scocciato, il mio amico mi chiese:
"Ma, insomma,
questi due che facevano?"
"Facevano gli
amanti."
"Bel mestiere!"
Franco Ruinetti
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