martedì 28 marzo 2017

Nel Sacrario della Memoria (di F.Ruinetti)


Riproponiamo questo bel testo che il prof. Franco Ruinetti ha pubblicato nella rivista ARIMINUM numero 4/15.


NEL SACRARIO DELLA MEMORIA

A Rimini e dintorni, sembra ieri, erano attivi numerosi altri artisti. Alcuni di loro si sono spenti prima che tramontasse il secolo, altri di essi hanno visto l'alba breve del nuovo millennio. Ora io li evoco alla riva del presente con la luce di queste pagine e con qualche manciata di parole, ma parlo solo di quelli con i quali ho intrattenuto rapporti più frequenti anche di amicizia. Per ciascuno ho scritto recensioni, sono intervenuto alle inaugurazioni delle mostre e ho fatto interviste nelle varie televisioni. Non ho mai preso un soldo.

Li ricordo in ordine alfabetico per non fare graduatorie di merito.

C'era Guerrino Bardeggia. Era creativo senza soluzione di continuità. Ha lavorato fino all'ultimo, quando un malanno a ciel sereno l'ha ammazzato a tradimento, una botta con lo schioppo alle spalle. Nei suoi quadri il tempo è sospeso, come le ali tese di una colomba, simbolo di mitezza. I colori annunciano passione, amore, dolcezza, sangue, sofferenza. Si caricano di sentimenti di attesa, speranza, paura. Certe scene dei dipinti sono forti, lì per lì possono anche rumoreggiare nello stomaco, ma esorcizzano il male, depositano nella memoria i semi della bontà e della bellezza. E mi capita in mente il lampo di una sua poesia: Quante / spine / per una rosa / rossa.

opera di Guerrino Bardeggia

I dipinti del riminese Elvio Brici tendono verso il surreale, però non approdano in astrusi deliri, ma in un silenzio che s'adagia nell'azzurro del mare. Vediamo donne con grandi fazzoletti in testa, sedute che guardano verso il limitare, in una lunga attesa. Il tempo è pesante. In alcune tele compaiono motivi eterogenei. Ecco uno spaventapasseri che è sul punto di giocare con i palloni e può accendere contentezza, ma la luce s'incupisce in lontananza, cova insidie.

L'ultima volta che lo vidi era dimagrito, ma non aveva perduto la voglia di scherzare.

Francesco Caltagirone era riccionese solo per metà. Veniva al mare il 1° maggio e ripartiva per i defunti. Era colto. Cominciò a dipingere in pensione. Sua moglie lo chiamava Francois e gli correggeva il caffè con una carezza. Quando lo conobbi mi chiese un giudizio sui suoi lavori, voleva sapere se erano degni da far vedere. Gli dissi che per me erano molto validi. Dipingeva boschi, tramonti africani dalle solitudini dense, giovani nere che vivevano nelle capanne, non vestivano alla moda, erano eleganti di natura.

C'era Cesare Filippi, abitava nella campagna di Coriano, in un'isola di verde. Aveva uno studio sfalsato su tre livelli. Nel giardino crescevano i fiori curati da sua moglie, ma contemporaneamente sbocciavano sulle tele dove restavano sempre freschi. Era mite e cortese. Nel 2010 non partecipò all'inaugurazione della sua ultima mostra al Palazzo del Podestà di Rimini perché fu ricoverato in ospedale. Una volta mi aveva mostrato un quadretto nel quale, da giovane, aveva dipinto sua madre anziana. Ora lui mi sembrava il fratello gemello.

opera di Cesare Filippi

I dipinti di Giacomo Foglietta accendono una dimensione al di là del reale. Vediamo composizioni spesso ludiche, fughe nei sogni ad occhi aperti, dove balenano stupori fanciulli. L'artista è noto per i suoi pretini che possono fare una partita con tanti palloni, mentre altri attraversano il campo in bicicletta o salgono su scale a pioli appoggiate sulle nuvole o su un fianco del vento. Sono opere lievi, ma profonde, che rappresentano i sentimenti. In un quadretto s'incontra un prete seduto. Un cane lo guarda. La scenetta parla di amicizia e la malinconia suona una musica dolce.

opera di Giacomo Foglietta

C'era Romano Leporesi. Nativo di Brisighella, ha insegnato a Rimini dove ha vissuto gli anni fecondi della maturità. Era esperto ceramista. Con lui non ci si annoiava, aveva la battuta sempre pronta. Pittoricamente usava la lingua dell'acquarello. Certi paesaggi, per l'armonia dei colori, per le trasparenze, s'illuminano di solitudine e di poesia.

Orfeo Matteoni era stato prigioniero in Africa e, dopo i reticolati, vedeva i cavalli bradi. Tornato a casa ha disegnato e dipinto migliaia di cavalli. Per lui erano simbolo di libertà oltre che di bellezza ed eleganza. Quando andai a trovarlo a Casa Serena mi disse di prendere, nel suo studio, i quadri che volevo. Lo ringraziai e risposi che non volevo essere accusato di abigeato.

opera di Orfeo Matteoni

Luciano Palma trasferiva nel segno tutta la propria energia vitale. Le linee, spesso subito tracciate col colore, corrono libere benché raccontino i soggetti in termini realistici. In tutti i quadri si diffonde una luminosità, che è quella dei mattini sereni, della giovinezza. L'artista ha interpretato pittoricamente scorci di Rimini, città di adozione, alla quale era profondamente legato. L'Arco di Augusto o altri motivi levitano nelle tele e nella mente.

Lo scultore Elio Morri lavorava in un grande ambiente nel centro di Rimini. Aveva capelli biondi e ricci, mi sembrava un guerriero antico. Quando andavo a trovarlo una gracula gentile diceva “ciao”. Riceveva richieste da enti pubblici e privati. Al Parco Cervi c'è una sua opera in tre parti intitolata alla Resistenza. Merita sempre una sosta. Anche quando lasciavo lo studio, non so da quale angolo nascosto, la gracula ripeteva “ciao”.

Elio Morri

Giacomo Pastore: l'azzurro del mare si schianta sugli scogli e il bianco della spuma si leva alto. Questo è stato uno dei motivi privilegiati dal pittore e in numerosi locali pubblici, come in molti salotti, si può vedere e pare di sentire il fragore delle onde che esplodono in nuvole di schegge lucenti. Pastore, originario di Ostuni, la città bianca, ha trascorso la maggior parte dei suoi anni a Riccione.

Bruno Polverelli, più noto come Rusein, è nato e vissuto a Riccione. Quando era in guerra, durante la quale non ha sparato un colpo, trovò anche il modo per isolarsi e dare sfogo alla sua passione, quella della pittura. Dal fronte riportò un volto di Cristo su una pezza da piedi. Fiori e pupazzi di stoffa sono stati i suoi temi preferiti. In quei bambolotti io mi vedevo e riconoscevo tutta la gente definita, con brutta qualifica, comune o di strada, che è manovrata dai grandi burattinai.

Giorgio Rinaldini ha regalato, a chi ha incontrato la sua pittura, sogni, melodie cromatiche. Famosa quella ragazza, visione che insiste e ritorna sulle tele, portata dal primo vento d'amore, che intona dolcezza nel paese delle favole vere. E' la fidanzatina del desiderio, evocata dalla magia dell'arte, dipinta con la luce dei fiori. I suoi colori sono eterei, lievi. La delicatezza è la loro forza.

opera di Giorgio Rinaldini

L'artista, nato e vissuto a Rimini è stato, dalla fine della guerra, un protagonista nel campo dell'arte, non solo locale. Meriterebbe che la città lo ricordasse con una bella iniziativa.

C'era, a Miramare, Ugo Ugolini, persona riservata e dignitosa. La prima volta che lo incontrai ebbi l'impressione di conoscerlo da sempre. Collaborava con Annigoni all'abbazia di Montecassino. Il maestro gli aveva affidato l'incarico di dipingere a fresco due papi. Una volta mi mostrò i ritratti dei suoi figli, due ragazze e un maschio. Generati dall'amore e dal talento sembravano appena discesi dall'Olimpo.

C'era... c'era. Ma, per me, ci sono ancora tutti perché, se non ho preso soldi, ho fatto a cambio merce. E la mia casa è piena di quadri, che continuano a parlare, a raccontare emozioni. Così conosco quegli artisti più ora di allora.


Franco Ruinetti