CAPITOLO 19
Testi e opere scelte
Ecco un testo su Guerrino Bardeggia a cura del prof. Franco Ruinetti:
La materia vince nel buio
dell’anima, ma nella stessa si avvertono tracce o motivi che orientano alla
perfezione della luce. Gli aspetti profani e le note della purezza, che
contemporaneamente urgono in ciascuno di noi, assumono valenze figurali e
cromatiche capaci di sorprendere per inedita profondità espressiva, nelle opere
di Guerrino Bardeggia.
Il lettore che entra nei suoi
quadri può trovarsi immerso nello strazio del dolore, in una bolgia dei sensi,
ma ugualmente è attratto dai cieli, nei quali il giorno non tramonta.
Se qualcuno cercasse in queste
opere lo svolgimento calligrafico degli argomenti resterebbe deluso. I soggetti
conservano l’eco del vero, riferiscono l’essenzialità delle intuizioni che
vengono dal silenzio, dai gorghi, fuori dal tempo, della concentrazione, nei
quali la mano risponde alla volontà, ma in primo luogo all’istinto. Così i
volti, le membra, le intonazioni ambientali non rispecchiano fedelmente il dato
reale, ma scavano dentro, alla individuazione del significato, senza orpelli,
nudo, perché l’arte, affermò Picasso, è una menzogna che ci aiuta a concepire
la verità.
La produzione di Guerrino
Bardeggia è ricca, perché lavora in continuazione. Spesso s’alza dal letto di
notte per modellare o dipingere. E talvolta, mentre il pennello risponde al
ritmo, ad un automatismo psichico, registra parole e pause, versi di poesie,
albe di emozioni. L’arte e l’esistenza si identificano.
Forme ingrate, spasmi di colori,
segni ripetuti come brividi in tessiture sfibrate, maligne, convivono con la
dolcezza, con tenui fluenze di linee, con chiarità brevi oppure diffuse, con
allusioni che si levano lievi, ma sicure sulle insidie e ipocrisie della mente.
In questo coesistere dell’orrore e della salvezza, anzi nella tensione tra gli
opposti, sta la forza della figurazione. C’è, sottesa, la speranza, la certezza
della resurrezione, della Pasqua, che vuole dire passaggio dalla schiavitù,
dall’Egitto, alla libertà, dalla morte alla vita.
Colori e forme balzano
improvvisi, lampi e sequenze di visioni, certe macchie sono sparate, vere e incomprensibili come
acuti della disperazione oppure belle simili alla pienezza del sorriso. E’
sempre una concezione drammatica che prelude alla salvezza. L’autore ha vissuto
questa esperienza: quando tutto era perduto, ha respirato il profumo del
domani.
Quei colori di Bardeggia! Il
rosso è rovente intriso di sangue, in esso ricorrono chiazze di un nero, così
difficile da trattare, che sembrano lacerare il supporto, trapassare la
superficie. Quello stesso rosso, quando declina, diviene arioso e morbido, come
in certe maternità, allora s’accende d’amore e la dolcezza suona nella mente.
Bardeggia, che in una poesia dice
”io canto i miei silenzi a Dio”, che confessa d’aver pianto alla morte del suo
rosmarino antico, proprio per questa sensibilità non è uno facile e
accomodante.
“La gente va dove tira il vento”
mentre abitiamo in una “Natura morente”. Il cielo è malato, le rondini non
portano più le primavere, i veleni corrono nei fiumi. Ma il mondo non può
naufragare, lo salverà l’amore. Ecco, dunque,frequenti più figure umane nel
quadro. La vicinanza è amicizia. Ecco quei bambini, nati dalla creta o dal
pennello, anche se appena suggeriti, quasi solo delle sagome, che hanno
pronunce intense, tali da scuotere il sonno ed il pensiero. Urlano amore.
A proposito del bianco ricordiamo
un dipinto dal titolo “Genesi”. Un’unica figura umana, piccola e volutamente
incompiuta, in un ampio spazio, emerge su quel colore uniforme che li contiene
tutti. Il bianco, pressappoco notava Kandinskij, è vuoto e muto, come il nulla
prima della nascita delle cose. Il bianco è volo di colomba, trascendenza,
luce, guizza fino ai bagliori, s’addensa e dirada. Ma i colori di questo
artista sono sempre diversi e nuovi, perché di volta in volta, una pennellata
dopo l’altra, li elabora e fonde. L’arte è vita e questa non si ripete, non si
ripetono uguali un respiro o una foglia.
La capacità disegnativa di
Bardeggia rivela doti naturali ed esercitate da sempre. Le immagini figurali o
plastiche rispondono alle armonie dell’equilibrio. I volti, ad esempio, possono
essere solo degli ovali oppure scavati oltre il vero, con la pelle gualcita.
L’artista procede e si ferma quando raggiunge il momento più alto del
significato. Le mani di una madre sono grandi, protettive, hanno il calore
delle carezze; altra volta sono come ali scarne protese verso chi le guarda,
che cercano e non trovano l’aria per volare.
Ci sono quadri cosiddetti
astratti, in cui i colori, i suoi colori, sono portati dal vento. Le emozioni e
lo spirito fluiscono liberi. Ma può capitare che, prestando maggiore
attenzione, s’intravveda un passerotto bianco, fiocco di luce, in un cielo
bianco. Spunta un amico pettirosso, sennò un papavero o la faccia di un
bambino. Hanno la vita di pochi segni, fantasmi evocati dalla memoria.